Tibet

Un viaggio sul tetto del mondo

Alla scoperta di una cultura portata storicamente a prediligere l’essere all’avere. Nonostante si tratti di un paese militarmente occupato dai cinesi, l’animo profondamente mistico di questo popolo lo si respira visitando affascinanti monasteri (tra cui il mitico Potala) e il centro storico di Lhasa, che raggiungiamo a bordo del «Treno del cielo». Una gita di due giorni, attraverso paesaggi lunari e cime elevatissime (oltre i 5 mila metri) alla scoperta dei monasteri più celebri del Tibet. Questo soggiorno in Tibet fa parte di un viaggio in Cina.
Giò Rezzonico
01.02.2011 12:00

Itinerario

(febbraio 2011)

  • 1° giorno Milano - Pechino
  • 2° giorno Pechino e Tempio del Cielo
  • 3° giorno Le tombe della dinastia Ming - La Grande Muraglia
  • 4° giorno La città proibita - Crociera sul Lago Kunming
  • 5° giorno Xining - Il monastero di Kumbum - Lhasa
  • 6° giorno La Ferrovia tibetana - Lhasa
  • 7° giorno Lhasa - Il Palazzo del Potala - Il Tempio di Jokhang
  • 8° giorno Il monastero di Drepung
  • 9° giorno Il Lago Yamdrok - Gyantse
  • 10° giorno Xigatse
  • 11° giorno Lhasa
  • 12° giorno Chengdu - Shanghai
  • 13° giorno Shanghai 
  • 14° giorno Shanghai - Milano

  

Durata del viaggio: 14 giorni

Operatore turistico: Mondial Tours

 

 

  

 

A Lhasa con la ferrovia più alta del mondo

Il «Treno del cielo» che ci porterà a Lhasa, la capitale del Tibet, lo prendiamo a Xining, a 90 minuti di volo da Pechino (si veda l’itinerario «A Shanghai, Pechino e Xi’an»). A 37 chilometri da Xining sorge Ta'er Si, Kumbum nella lingua del Paese delle Nevi, città natale di Tsongkhapa (1357-1419) il fondatore del buddhismo tibetano, a cui è dedicato un vasto monastero fondato nel 1560, luogo sacro con pellegrini che giungono da tutto il paese. Non lontano, il 6 luglio 1935 è nato anche l’attuale capo religioso del Tibet, il XV Dalai Lama, in esilio e molto noto in occidente per aver vinto il premio Nobel per la pace.

 

Il treno del cielo

Raggiungiamo Lhasa con la Transtibetana, la linea ferroviaria che collega Pechino alla capitale del Tibet. Soprannominato il «Treno del cielo» questo capolavoro ingegneristico è frutto di un’idea del presidente Mao, ma è stato costruito ed inaugurato solo nel 2006, trent’anni dopo la sua scomparsa. La sua costruzione ha richiesto cinque anni di duri lavori. È una ferrovia sul tetto del mondo: il suo percorso si snoda sempre sopra i 4 mila metri e a tratti supera i 5 mila. Una buona metà del tracciato poggia sul ghiaccio. Per evitare la deformazione dei binari, a causa del disgelo estivo, è stato necessario realizzare in molte tratte un sistema di raffreddamento con tubature sotterranee che mantengono il terreno ghiacciato durante tutto l’anno. Secondo l’establishment cinese quest’opera serve a «consolidare l’unità nazionale», mentre a parere del Dalai Lama è solo un tassello della politica di cinesizzazione del Tibet. Al di là di queste tristi considerazioni politiche il viaggio sulle carrozze pressurizzate della Transtibetana è estremamente suggestivo. Soprattutto quando per una decina di ore si attraversa un vastissimo altipiano ricco di piccoli villaggi rurali, dove l’attività principale è costituita della pastorizia. Dai finestrini si vedono migliaia di yak, una mucca locale, pascolare in paesaggi mai monotoni ed in continuo divenire. Ai confini della smisurata pianura, attraversata da fiumi e laghi d’inverno gelati, si intravedono le cime innevate delle montagne, che toccano i 7 mila metri. Durante il percorso in treno sono rimasto come un bimbo per ore e ore con il naso incollato al finestrino, incantato da quel paesaggio di alta montagna tanto differente dal nostro. Prima di giungere in Tibet si passa un territorio desertico, non abitato, e quindi meno interessante, anche se ci ha permesso di osservare alcuni animali selvatici. 

Dopo 24 ore di treno da Xining e una notte trascorsa nelle cuccette si arriva a Lhasa. L’itinerario previsto in Tibet è piuttosto faticoso a causa dell’altezza elevata: la capitale è situata a 3'600 metri e durante gli spostamenti in torpedone si tocca quota 5 mila. Ma dopo un periodo di acclimatazione di un paio di giorni ci si muove comunque di nuovo senza fatica.

 

Un paese occupato dai cinesi

«Le mie camminate, i miei viaggi sono stati e sono ancora oggi, in fondo, una fuga: non la fuga da sé stessi, l’eterna fuga dell’interiorità verso l’esterno, ma proprio il contrario: un tentativo di fuga da questo tempo della tecnica e del denaro, della guerra e dell’avidità, da un tempo che pretende avere splendore e grandezza, ma che la parte migliore di me non può né accettare né amare, al massimo sopportare». Questa riflessione dello scrittore tedesco Hermann Hesse può essere una buona introduzione per un viaggio alla scoperta della cultura tibetana, storicamente portata a prediligere l’essere all’avere, ma duramente minacciata dall’«occupazione» cinese, che allo spiritualismo del Dalai Lama contrappone il suo materialismo.

Ma giungendo in Tibet si ha la netta impressione di trovarsi in un paese occupato. I militari cinesi, che invasero il paese nel 1950 all’indomani dell’ascesa al potere di Mao in Cina, si trovano ovunque. Alla fine di febbraio, pochi giorni prima del capodanno tibetano, durante il nostro soggiorno, i turisti erano pochissimi e a partire dal primo marzo l’ingresso al paese era vietato agli stranieri, perché si temevano manifestazioni di protesta contro gli occupanti. Il clima era gelido in tutti i sensi, ma i monasteri agibili erano frequentati da moltissimi contadini impossibilitati a coltivare le terre a causa del gelo. La potente Cina, immersa nel pragmatismo, dopo aver perso la sua fede nel comunismo, si trova in difficoltà a gestire la profonda religiosità di questo popolo, che non potrà certo sconfiggere con la forza. Sta pertanto tentando di risolvere il problema «cinesizzando» il Tibet, con una politica che premia la migrazione interna verso il cosiddetto tetto del mondo nell’intento – sostengono – di «modernizzarlo». Ed i tibetani sono già diventati una minoranza in casa propria. La Cina sta cercando anche di museizzare i principali monasteri considerati turisticamente interessanti, ma pericolosi se favoriscono la religiosità locale non controllata. La provocazione vuole che i pellegrini debbano addirittura pagare il biglietto d’entrata per recarsi a pregare. Dopo la morte di Mao, comunque, l’esercizio del culto non è più proibito. La politica cinese nei confronti del Paese delle Nevi, non a caso è stata denominata «genocidio culturale» da diversi studiosi occidentali.

La politica di cinesizzazione ha invaso anche la sfera religiosa tentando di controllarla. Dopo la morte del decimo Panchen Lama nel 1989, che deteneva una carica considerata al secondo posto nella gerarchia delle autorità spirituali tibetane, come vuole la tradizione, toccava al Dalai Lama in esilio identificare la reincarnazione del prossimo Panchen Lama. Nel 1995 lo ha individuato in un bambino di sei anni: Gedhun Choekyi Nyima. Nel giro di un mese le autorità cinesi lo hanno fatto sparire «per proteggerlo» e di lui – che fu considerato il più giovane prigioniero politico al mondo – da allora non si hanno più avuto notizie. Il governo di Pechino ha chiesto in seguito ai lama anziani del monastero di Tashilhunpo di effettuare una nuova nomina gradita al governo. È stato scelto un figlio di iscritti al Partito comunista. Una mossa importante per i cinesi, perché alla morte dell’attuale Dalai Lama spetterà al Panchen Lama in carica l’identificazione del suo successore. 

 

La mistica Lhasa

Tra anonimi viali a più corsie e squallidi quartieri dormitorio a Lhasa sopravvivono interessanti monumenti del passato. Il luogo più piacevole della città è senza dubbio il cosiddetto Barkhor, il quadrilatero di animatissime stradine su cui si affaccia un coloratissimo mercato che circonda il Jokhang, l’edificio sacro più venerato del paese. Come fa giustamente notare l’autore della guida Lonely Planet, «si tratta di una zona che non ha eguali in tutto il Tibet per il modo straordinario in cui le più sincere espressioni di fede si armonizzano con le manifestazioni di un’improvvisata economia di mercato», simpaticamente espressa da bancarelle e negozietti che hanno resistito a qualsiasi infiltrazione del mondo moderno. Così come sembra appartenere ad altre epoche la religiosità dei numerosi pellegrini che pregano con tutto il corpo e si prostrano gettandosi a terra davanti al tempio, tanto da aver lucidato nel corso dei secoli le grosse pietre del selciato. In questo quartiere si respira ancora la magica atmosfera di un tempo, malgrado la minacciosa presenza di giovani militari cinesi catapultati dal potere politico in un mondo a loro estraneo. La sera, di ritorno dalle gite fuori città, si torna sempre volentieri in questo centro storico, dove è bello lasciarsi trascinare lungo il cammino percorso in senso orario dalla massa di pellegrini che si recano al Jokhang, il tempio che ospita la statua del Buddha più venerata del Tibet. La visita di questo luogo sacro è una delle esperienze più autentiche che si possono vivere in questo paese.

 

Potala tesoro tibetano

Ma il simbolo del «Tetto del Mondo» è il Potala, considerato uno dei tesori più preziosi dell’intera architettura asiatica. Era il cuore pulsante e il punto di riferimento religioso, sociale e culturale di tutto lo sterminato «Paese delle Nevi». Prima di entrarvi i pellegrini lo circoambulano con deferenza. Si tratta di un’imponente struttura seicentesca, simile per molti aspetti a un’inviolabile fortezza, che non mancherà di stregarvi. È stata per molti secoli sede del governo tibetano e dimora di tutti i Dalai Lama che si sono susseguiti. Dopo aver salito a fatica gli scalini che vi portano ai tredici piani di questo monumento è deludente notare come sia ormai privo di pathos: è infatti stato trasformato in museo dai cinesi, persino nella sua parte religiosa (Il Palazzo Rosso), dove al posto dei monaci vi accolgono guardie armate.

Decisamente più vissuto è invece il Drepung, situato a 8 chilometri dalla capitale. Un tempo, con i suoi 8 mila monaci, era considerato il più grande monastero al mondo. Fu costruito nel XV secolo ed i Dalai Lama esercitarono da queste mura il loro potere religioso prima di trasferirsi nel Potala. Visto da lontano assomiglia a un piccolo villaggio con i suoi edifici bianchi ammassati sul fianco della collina. Quando lo abbiamo visitato, la settimana precedente il capodanno tibetano, era frequentatissimo da pellegrini, che giungevano dalla campagna. Questo monastero, come quello di Sera, che dista pochi chilometri, era famoso per i suoi collegi dove si insegnava il buddismo.

 

Verso il Nepal

Lasciamo Lhasa il mattino di buonora per una gita di due giorni in torpedone lungo l’antica strada che porta verso Kathmandu nel Nepal. Attraversiamo paesaggi lunari, brulli, color della pietra, dove tutto ad un tratto sbuca un ghiacciaio. Le case dei contadini sono in sasso. Il piano terreno è solitamente adibito a stalla, sopra abita la famiglia. Data l’assenza assoluta di legna, per riscaldare gli ambienti durante l’inverno, si utilizza lo sterco d’animale seccato a forma di mattonelle durante la bella stagione e ordinatamente sistemato in bella vista davanti alle abitazioni. Dopo alcune ore di viaggio raggiungiamo un piccolo pianoro a quota 4794 metri da cui si gode una splendida vista sul lago Yamdrok dall’insolita forma tortuosa e con la superficie ghiacciata. A sud svettano le alte montagne innevate dell’Himalaya. Si notano piccoli terrazzamenti che nella bella stagione sono coltivati ad orzo, cereale che cresce anche sopra i 4000. Il lago è considerato sacro dai tibetani. Credono sia la dimora delle divinità irate, ma ospita anche la maggiore centrale idroelettrica del paese. Proseguiamo e di tanto in tanto sulle vette scorgiamo i cosiddetti cavalli del vento, corde a cui sono appese bandierine colorate che recano preghiere stampate, trasportate simbolicamente di montagna in montagna e di valle in valle dal vento che qui non manca mai. Dopo aver superato il passo più alto del viaggio a quota 5200 metri raggiungiamo Gyantse, un’affascinante cittadina cinta dalle mura e dominata da un imponente castello, considerata anticamente la porta del Nepal. Circondato da un uno splendido anfiteatro di monti aridi che lo proteggono naturalmente, sorge il grande complesso architettonico del monastero del Pelkor Chode, che accoglieva quindici monasteri in cui coesistevano tre diversi ordini del buddismo tibetano. È certamente uno dei siti più suggestivi visitati durante il soggiorno in Tibet, per la sua autenticità e l’elevato numero di pellegrini che si recano in quel luogo per pregare. Il sito ospita un tempio quattrocentesco, unico al mondo, costruito con la forma di un mandala a 108 facce e composto da 112 cappelle riccamente affrescate, che i fedeli percorrono in senso orario pregando.

In serata raggiungiamo Xigatse, dove trascorriamo la notte e il mattino seguente visitiamo un altro suggestivo monastero, Tashilhunpo, molto frequentato dai credenti. È la discussa sede ufficiale dei Panchen Lama: l’undicesimo scelto dai cinesi risiede qui a Pechino. È considerato oggi la più grande sede monastica del Tibet. Fondato alla metà del Quattrocento è perfettamente conservato e appare ai visitatori come un’imponente città fortificata. Custodisce, oltre alle tombe dei Panchen Lama, la più grande statua dorata al mondo. Raffigura il Buddha del futuro e per realizzarla sono stati impiegati 300 chilogrammi d’oro.

La nostra parentesi tibetana è terminata. Rientriamo a Lhasa per una strada in gran parte non asfaltata, che percorre due valli disabitate e offre paesaggi lunari. Giungiamo nella capitale troppo tardi per visitare la residenza estiva del Dalai Lama – Norbulingka – da cui nel 1959 fuggì travestito da soldato tibetano l’attuale leader religioso in esilio.

 

 

Per saperne di più

  • Lonely Planet e Polaris (Firenze) pubblicano un’edizione dedicata alla Cina ed una al Tibet. Per il Tibet si veda anche Pietro Angelini, Tibet mito e storia, Viterbo 2008.
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