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Renato Vallanzasca, la parabola triste del bandito che fece tremare Milano

In questa puntata Dario Campione ci racconta «Malanotte. Rimpiango quasi tutto» scritto dall'ex bandito con Micaela Palmieri e pubblicato da Baldini & Castoldi
© CdT/Archivio
Dario Campione
14.09.2024 06:00

Oggi vi racconto il libro di Renato Vallanzasca Malanotte. Rimpiango quasi tutto, scritto con Micaela Palmieri e pubblicato da Baldini & Castoldi.

Renato Vallanzasca, il bandito dagli occhi di ghiaccio, il personaggio forse più violento della mala milanese degli anni ’70, l’uomo protagonista di libri, film e serie Tv dedicati alle imprese sanguinarie e alle fughe rocambolesche che gli sono costate quattro ergastoli, affronta oggi l’ultima, più dura battaglia della sua vita. A 74 anni, 52 dei quali trascorsi in carcere, Vallanzasca non è più in grado di comprendere pienamente ciò che gli accade e di gestire consapevolmente la sua vita. Deve fare i conti con una grave malattia neurodegenerativa che lo mette in uno stato di confusione e di sfinimento.

Già nello scorso mese di giugno, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa, aveva revocato il divieto di semilibertà per le aggravate condizioni di salute del bandito. Adesso, lo stesso Tribunale si è pronunciato sulla richiesta di trasferimento di Vallanzasca in una residenza sanitaria assistita.

Impietosa la relazione stilata all’inizio di settembre dall’ambulatorio di psichiatria del servizio di medicina penitenziaria, la quale mostra quanto il personaggio Vallanzasca (alimentato da lui stesso anche durante la detenzione-record, ma al contempo sfruttato da non pochi attorno a lui da quando non c’è più con la testa) non abbia ormai più nulla a che vedere con la persona Vallanzasca, più simile a tanti altri anziani minati da decadimento cognitivo: «Ha perso completamente il controllo» della propria quotidianità, scrivono i medici, «non è assolutamente in grado di badare» a sé, «è disorientato nel tempo e nello spazio», «a tratti emerge la sofferenza di non riuscire a esprimere con il linguaggio quello che si produce nel suo pensiero», ed è ormai «visibile lo stato di prostrazione».

Un uomo finito. Del quale, tuttavia, resiste - per certi aspetti anche in maniera forte - l’inossidabile mitologia del fuorilegge, la fascinazione del criminale. Figlie di una vera e propria «agiografia degli uomini con il mitra» da cui però, è stato giustamente sottolineato, sono assenti il dolore delle vittime e la crudezza di quegli anni di morti e violenze. Perché gli anni ’70, a Milano, non furono i tempi gloriosi di una malavita «con regole e codici d’onore», ma anni in cui si sparava, e si moriva per niente.

Negli spiragli di lucidità che la malattia tiene aperti, Renato Vallanzasca ha raccontato nuovamente spezzoni della propria vita alla giornalista del Tg1 Rai Micaela Palmieri. Ne è nato un libro di memorie molto diverso dai soliti. Scorrevole, costellato più di riflessioni che di ricordi, per nulla autocelebrativo. «La Storia parla da sola - dice Vallanzasca - non ho capito un cazzo. Ho sempre giocato d’azzardo, sempre. Non con le carte o nelle bische da cui mi tenevo ben lontano ma, peggio, con la vita. E ho perso».

Il titolo del libro, Malanotte, edito da Baldini & Castoldi, ha una postilla: Rimpiango quasi tutto. Non c’è, nelle pagine della vita di Vallanzasca, alcuna rivendicazione dei propri errori. Al contrario: la vicenda umana del bandito è intrisa quasi esclusivamente di dolore. È narrata nel tono del dramma e la sua grandezza somiglia più a un abisso dal quale è impossibile risalire.

Buon ascolto!

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