L'intervista

A tu per tu con Matteo Benz, windsurfista ticinese che sogna le Olimpiadi di Parigi 2024

A distanza di un anno, il Corriere del Ticino ha contattato il giovano velista – Quali i progressi nell’ultimo anno? Le Olimpiadi restano un sogno o sono divenute un obbiettivo concreto?
© Swiss Sailing Team
Matteo Generali
11.12.2022 11:32

A tu per tu con Matteo Benz. A distanza di un anno. il Corriere del Ticino ha contattato il giovano velista ticinese che sogna le Olimpiadi di Parigi 2024.

Partiamo da dove ci siamo lasciati, ossia al termine degli europei, finiti senza aver brillato. L’ultimo anno come è stato?

«Anche nell’ultimo anno ho vissuto una stagione non al top, non ho avuto cali vertiginosi in termini di prestazioni, ma non ho fatto un exploit, diciamo nella media. Nelle regate disputate mi sono sempre classificato tra il 50% e 30% dei concorrenti. Come detto, non ho fatto un exploit, ma la prossima stagione è fondamentale: è quella che precede le Olimpiadi, il mio sogno. Soprattutto il mondiale ad agosto in Olanda è di vitale importanza, perché le prime dodici nazioni classificate avranno l’accesso diretto a Parigi. Le Olimpiadi sono strane, i partecipanti alla mio sport saranno solamente 24, uno per nazione. I mondiali olandesi decreteranno i primi dodici velisti, poi ci saranno altre due o tre regate dove verranno allocati i posti rimanenti».

Tu ed Elia Colombo, altro ticinese windsurfista, vi giocherete l’accesso ai giochi parigini, come è il vostro rapporto?

«Sicuramente c’è una forte competizione tra di noi. Infatti soltanto uno dei due, forse, potrà partecipare alla manifestazione. Il nostro è uno sport individuale, ma soprattutto per una nazione piccola come la Svizzera, le persone che lo praticano ad un livello alto sono veramente poche, proprio per questo motivo lo scambio di opinioni, il lavoro di squadra e la collaborazione sono essenziali. Senza contare gli spostamenti per i vari allenamenti e le regate in paesi esteri: andando in due i costi si abbassano».

Ma le Olimpiadi restano un sogno realizzabile?

«La strada è dura e lunga, non è affatto scontato. Ma fino ad ora ho sempre intravisto una piccola possibilità di farcela. Fino a quando vedrò questa possibilità sarò focalizzato al 100% sull’obiettivo. È anche uno dei motivi per cui continuo a praticare la disciplina ad un livello agonistico. Il dispendio di tempo, energie e denaro è notevole, dunque qualora la possibilità di partecipare a Parigi 2024 venisse meno, mollerei questa pratica. Forse non del tutto, ma sicuramente diminuirei lo sforzo che impiego attualmente».

Le Olimpiadi a cui aspiri si terranno a Marsiglia, dunque sul mare, vi è tanta differenze tra mare e lago? Cosa prediligi?

«Le differenze sono notevoli, infatti sul mare le situazioni che si possano andare a creare sono molto di più rispetto al lago, penso ad esempio alla presenze di onde e a venti forti. È più difficile destreggiarsi in queste condizioni ma è anche più avvincente, personalmente lo preferisco».

Quella che pratichi tu, l’iQFoil, è una disciplina nuova, nata all’incirca tre anni fa. La domanda sorge spontanea: atleti e coach hanno imparato a conoscere questo sport assieme, è dunque così fondamentale la figura dell’allenatore?

«Sicuramente di allenatori che possono dare “quel qualcosa in più” ve ne sono solamente due o tre nel mondo. Detto ciò, la figura del “mister” resta fondamentale, dalla parte organizzativa fino a quella più pratica: è sempre vicino ai velisti e questo dà una grossa mano, anche per le cose più effimere ma comunque importanti. Passa la mantellina qualora facesse freddo, come anche delle barrette energetiche e altre minuzie per la buona riuscita dell’allenamento. Senza contare, poi, lo studio del tracciato, dei venti e delle situazione atmosferiche. Da non sottovalutare è l’aspetto psicologico: siamo giovani e con esperienze di vita diverse dalle sue, ci dà sicuramente una grossa mano quando, ad esempio, una regata non va bene. Inoltre, da non trascurare è l’aspetto fisico in acqua, componente fondamentale del nostro sport».

Abbiamo citato la parola iQFoil, ai più sconosciuta. Semplificando potremmo dire che è la versione 2.0 del windsurf. Quali sono dunque le differenze tra voi e il windsurf?

«Rispetto alla versione tradizionale della nostra disciplina, siamo alzati di circa 30-40 centimetri sull’acqua, questo ci permette di aver meno bisogno di vento, infatti la superficie della tavola che tocca l’acqua è minore, vi è meno attrito. Abbiamo anche già fatto una tappa del campionato svizzero a Lugano, lago in cui è nota la presenza di vento debole».