«A Zurigo è più facile trovare lavoro, ma vorrei tornare in Ticino»

Zurigo è il cantone che si «prende» più ticinesi. Tra il 2011 e il 2020, 7.168 persone che risiedevano in Ticino si sono spostate in riva alla Limmat (gli abitanti che hanno fatto il percorso inverso sono stati 4.734, con un saldo di 2.434 residenti ticinesi guadagnati da Zurigo). I motivi dell’esodo sono diversi, e tra questi c’è la cosiddetta «fuga di cervelli», che porta i nostri giovani a studiare - e spesso pure lavorare - in altri cantoni. Un «addio Ticino bello» che pesa in termini di calo demografico. Ma chi vive nella «Sonnenstube» è davvero così desideroso di partire e trasferirsi altrove? Evidentemente non tutti. È il caso di Camillo Balerna, 30.enne che ha da poco concluso un prestigioso dottorato all’ETH di Zurigo in collaborazione con la Scuderia Ferrari. Una scelta, quella di Camillo, che sembra controcorrente rispetto a quanto deciso da molti altri giovani, migrati oltre Gottardo senza ripensamenti. Con l’ingegnere fresco di studi abbiamo parlato di aspettative, possibili percorsi professionali e ambizioni nel caso dovesse tornare «a casa».


Camillo, partiamo dall’inizio: com’è arrivata questa collaborazione con la Scuderia Ferrari?
«La cooperazione con la Scuderia Ferrari esiste già da diversi anni ed è nata poiché l’ETH di Zurigo si è dimostrato una delle migliori università nella scena mondiale per quanto riguarda il controllo di veicoli ibridi di diverso tipo. Entrando nel dettaglio: a partire dal 2014 le regole della Formula 1 sono cambiate, e con esse anche l’architettura del propulsore. La cosiddetta “power unit”, ossia il cuore della macchina, è stata ibridizzata: oltre ad avere un motore a combustione interna, dispone di due motori elettrici ed una batteria. Uno di questi è montato normalmente sull’asse del motore a benzina, è un ibrido standard parallelo per capirci, mentre l’altro è montato sul “turbocharger”, un elemento fluido dinamico che permette al motore di estrarre più potenza dato l’aumento di aria e benzina. La FIA (Federazione Internazionale dell'Automobile), che è l’organo che decide le regole della Formula 1, ha inoltre introdotto diverse regole che rendono l’operazione ottimale della “power unit” alquanto ardua. Poiché il fattore più importante nella F1 è il tempo sul giro, è fondamentale comprendere fino nel dettaglio quale sia il modo migliore (detto anche ottimale per gli addetti ai lavori) con cui operare il propulsore dell’auto da corsa in questione. Bisogna dunque creare un software capace di rispondere a queste domande, ed è proprio qui che entriamo in gioco noi».
Spiegaci cosa fate di preciso?
«Noi dell’ETH abbiamo sviluppato proprio dei software per il calcolo dell’utilizzo ottimale della power unit e dell’intera macchina (quindi anche il cambio, il differenziale, le ruote, ecc). La nostra difficoltà più grande è stata quella di creare dei modelli matematici sufficientemente precisi da catturare le dinamiche interne del motore, ma al contempo sufficientemente facili da essere calcolati da un software in un tempo utile, dunque un paio ore. Una volta che il modello è stato sviluppato bisogna implementarlo all’interno di un ottimizzatore, cioè un software che calcola in che modo bisogna operare tutti gli attuatori del motore a combustione interna ed i motori elettrici per essere il più veloce possibile sul giro data una certa quantità di benzina e di batteria che possono essere consumati. I dettagli da considerare sono molti e per ognuno di essi non c’è nulla di scontato. I risultati che abbiamo ottenuto hanno permesso alla Scuderia Ferrari di confermare alcuni trend che avevano già osservato in pista: grazie ai nostri dati hanno potuto capire che alcune cose che stavano facendo erano davvero ottimali, mentre su altre hanno potuto trarre spunti interessanti».
Come valuti la tua esperienza?
«Molto positivamente. Ho potuto godere degli aspetti migliori di due mondi: da una parte ho potuto studiare al Politecnico federale di Zurigo, la migliore università dell’Europa continentale per quanto riguarda l’istruzione scientifica. Dall’altro lato, ho collaborato con la Scuderia Ferrari, una realtà che, a differenza di altri partner industriali, lavora in modo molto efficiente ed efficace. Loro sono abituati a raggiungere gli obiettivi velocemente, perché il mondo della Formula 1 è frenetico. Tutto deve essere fatto in fretta e con una precisione estrema: ogni millisecondo conta e lo sviluppo è sempre ‘on the go’, non ci si ferma mai. Si comincia la stagione e intanto si pensa già a quella successiva, mentre in parallelo si sviluppano nuove strategie per ogni gara. Dato che lavorano in questo modo, hai sempre un feedback immediato, non hai un meeting ogni tanto e poi ti arrivano i dati il mese dopo. Con Ferrari hai l’incontro di lavoro il lunedì, ricevi i dati il martedì e ti puoi subito mettere a lavorare full time. Sei sempre spronato a dare il massimo in poco tempo. Ti senti parte di qualcosa di molto più grande, anche perché la Scuderia Ferrari non solo è tra le migliori al mondo ma ha anche la storia più importante in assoluto. Ha un’aura magica. Quando ho varcato le porte della gestione sportiva a Maranello, mi si sono illuminati gli occhi: tutti i giorni e le notti passati a lavorare sono stati ripagati. È proprio come diceva Enzo Ferrari: “Non si può descrivere la passione, la si può solo vivere”».


E adesso cosa vorresti fare?
«Se potessi continuare a lavorare per la Scuderia Ferrari e vivere a Zurigo o, ancora meglio, a Lugano, lo farei immediatamente. Sarebbe un sogno. Il fatto è che per lavorare con loro dovrei andare a Maranello, quindi lasciare i miei affetti in Svizzera, e questo mi dispiacerebbe molto. Inoltre, sono una persona molto curiosa e ambiziosa, e mi piacerebbe imparare cose nuove. Per esempio, al liceo ho fatto biologia e chimica, poi mi sono spostato su ingegneria meccanica, cioè su un ambito completamente differente. Ora sto pensando di specializzarmi in un altro settore non ingegneristico in cui sfruttare il mio background matematico e la mia forma mentis. Sento di aver bisogno di un ambito che possa darmi stimoli per i gli anni a venire».
Pensi di tornare in Ticino?
«Ad esser sincero io ho lasciato il Ticino perché non esistevano istituti come il politecnico di Zurigo o quello di Losanna. Probabilmente se ci fosse stato qualcosa di simile, non mi sarei mosso. Ora devo decidere se tornare a Lugano o rimanere a Zurigo. Qui sulla Limmat ho sicuramente le porte aperte per andare a lavorare in tantissimi posti: la probabilità di trovare un buon impiego è più alta che a Lugano. Però devo fare una scelta che tenga in considerazione anche i valori affettivi. Per questo motivo, il mio obiettivo sarebbe quello di trovare un posto a Lugano. Se così non dovesse essere, ripiegherei di nuovo su Zurigo».
La tua scelta sembra controcorrente. Ci sono tanti ticinesi che invece si trasferiscono e non intendono tornare. Tra le ragioni si citano spesso gli stipendi migliori, le maggiori opportunità di lavoro, ma anche la minor concorrenza dei frontalieri. Come la vedi? È un problema reale?
«Li capisco benissimo i giovani che si trasferiscono in altri cantoni. È un problema estremamente reale e attuale. Non stiamo inventando nulla, molti miei coetanei lo hanno fatto. Andare via dal Ticino può essere sicuramente la scelta migliore per una persona che cerca un posto di lavoro, ad esempio, molto specializzato, che qua magari non esiste neanche. Oppure se in Ticino c’è penuria di posti liberi in un determinato campo. Per quanto riguarda il mio ambito penso invece che i frontalieri non rappresentino una concorrenza, anzi: se una persona è ben formata e porta con sé un bagaglio di conoscenze ampio, secondo me è giusto accoglierla a braccia aperte, indipendentemente dalla provenienza. Anche per questo, spero che un curriculum competitivo e accattivante come il mio possa fare la differenza».
Non temi che proprio le tue credenziali possano rappresentare un freno? Il datore di lavoro potrebbe pensare di doverti offrire uno stipendio più alto o che tu sia troppo qualificato per un determinato ruolo...
«Il rischio sicuramente c’è. Ma il Ticino ha ditte grandi e importanti, nonostante si tenda spesso a sminuirlo: di ottime realtà lavorative ce ne sono eccome. Io penso che le occasioni per realizzarsi ci siano anche a sud del Gottardo. Una cosa per cui sarò sempre grato all’ETH di Zurigo è di avermi aiutato a sviluppare una forma mentis molto indirizzata al problem solving e al sapermi adattare a svariati ambiti: gli ingegneri sanno essere molto camaleontici. Da una parte non voglio illudermi e neanche accontentarmi, ma dall’altra credo che in Ticino ci siano posti di lavoro molto soddisfacenti. Io vorrei trovare qualcosa che mi spinga a fare sempre meglio per poter dare il mio contributo all’interno di un’azienda. Sono molto ambizioso».
Facciamo finta che il nostro cantone sia una persona: fai un appello al «signor Ticino»?
«Non accontentarti, devi puntare maggiormente sui tuoi talenti. Prendi persone qualificate perché sono proprio quelle che ti faranno fare un salto di qualità. È come nel tennis: non diventerai mai più forte se non giochi contro i migliori».
