«Abbiamo il dovere di salvare chi fugge dalla disperazione»
Mentre i riflettori del mondo sono puntati sull’Ucraina e su Taiwan, alle porte dell’Europa - sulle rotte dei migranti nel Mediterraneo - si continua a morire. Non si fermano, infatti, i viaggi della speranza di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga dalla miseria, dalla fame, dalle persecuzioni. Viaggi che troppo sovente finiscono in tragedia. Tra chi tenta in tutti i modi di frenare le stragi del mare, impegnandosi in operazioni di ricerca e soccorso dei naufraghi, c’è SOS Méditerranée, organizzazione non governativa che, dal 2021, accoglie nel suo comitato direttivo anche un volto notissimo in Svizzera: Roger de Weck, giornalista, scrittore e imprenditore, dal 2011 al 2017 direttore generale della SSR.
Dopo una carriera dedicata all’informazione e ai media, a 61 anni, de Weck – in questi giorni a Locarno per il Festival – ha deciso di cambiare rotta e di consacrarsi alla missione umanitaria assieme a SOS Méditerranée.
Negli ultimi tempi c’è l’impressione che la crisi migratoria del Mediterraneo sia stata messa un po’ da parte, sorpassata da altre crisi. Per de Weck non è così. «Quando le persone muoiono, c’è sempre un dramma, una tragedia, un grande dolore. E questo vale per qualsiasi conflitto, per qualsiasi flusso migratorio – dice – Per SOS Méditerranée è inaccettabile che ci siano sempre più persone annegate nel Mediterraneo. Nel Mare Nostrum. Abbiamo il dovere di salvare i naufraghi, è una regola che risale all’antichità un vincolo del diritto marittimo».
Paradossalmente, l’obiettivo ultimo di SOS Méditerranée, precisa de Weck, sarebbe di non servire più, di essere superflua, «è la nostra grande speranza».
Una speranza realizzabile soltanto con la collaborazione dei Paesi europei: «Se gli Stati applicassero le leggi che essi stessi hanno promulgato, SOS Méditerranée e altre organizzazioni non sarebbero più necessarie». Ma questo non sempre accade. «Alcuni Paesi, molto semplicemente, non applicano le proprie stesse leggi né il diritto marittimo. Il giorno in cui risponderanno ai loro doveri, non avremo più bisogno di SOS Méditerranée».
I tanti migranti salvati sono «in condizioni fisiche e psichiche spaventose». Traumatizzati, racconta de Weck al CdT. «Spesso sono torturati e violentati nei campi d’internamento prima di partire. Sono persone che non avevano altra possibilità se non salire su imbarcazioni piccole, fatiscenti e pericolose e affrontare la traversata in mare aperto. Molti hanno visto morire i compagni di viaggio davanti a propri occhi. E, nonostante tutto, a volte devono attendere giornate, se non settimane, prima di sbarcare». Potremmo fare di più? «È difficile nel momento attuale, viviamo tanta angoscia: abbiamo una guerra sul nostro Continente – risponde de Weck – si è creato un “arco del caos”: parte dall’Ucraina, passa dal Caucaso alla Turchia, al Medio Oriente, e arriva nell’Africa magrebina». Un dolore che ci fa sentire sopraffatti: «Non critico alcuno che, semplicemente, non ha l’attenzione necessaria sulla questione, perché nessuno di noi al momento ce l’ha». È importante, però, continuare il lavoro senza ignorare gli altri drammi che vive l’Europa. E senza dimenticare lo stesso mito greco di Europa, narrato dallo scrittore svizzero Adolf Muschg: «Il nostro continente porta il nome di una straniera che ha attraversato il mare: l’Europa non può essere capita se non è aperta alle regioni che la circondano».