La testimonianza

«Abbiamo perso il bus della morte per due minuti»

Una coppia di tedeschi in vacanza con la figlioletta di un anno ha mancato la navetta delle 19.30 per pochissimo: «Avevamo anche chiamato per chiedere di aspettarci, ma il numero era sbagliato»
© MARCO ALBERTINI
Red. Online
05.10.2023 12:15

Un ritardo. Quante volte, a tutti noi, è capitato di non presentarci puntuali a un appuntamento? Tante, tantissime. Per una coppia di tedeschi in vacanza con la figlioletta di un anno, per contro, due minuti di troppo si sono rivelati, incredibilmente, salvifici. Parliamo della tragedia di Mestre e del fatto che, come riportato dalla Bild, i turisti in questione abbiano mancato di poco la navetta poi precipitata dal cavalcavia. Addirittura, c'è anche un retroscena: la coppia ha provato a telefonare al campeggio Hu, nella speranza che la struttura facesse da tramite con l'autista e che il bus, quindi, si fermasse ad aspettare. Ma il numero digitato era quello sbagliato. E così, oggi Emine e Ferhat possono raccontare quanto (non) accaduto. 

Ma come sono andate, esattamente, le cose? Ferhat, di suo, premeva per rientrare al campeggio. Anche perché l'idea, la sua idea, era quella di rientrare in tempo per la partita di Champions League fra Copenaghen e Bayern Monaco. «C’era la Champions League, sì» ha spiegato. «Ma abbiamo saltato il bus delle 19.30 di due minuti. Mi sono lamentato con mia moglie: faremo tardi per colpa tua e non posso guardare la partita per colpa tua. Poi abbiamo aspettato la corsa successiva alla stazione Marittima. Abbiamo atteso un’ora: 20.30, 35, 40, il bus ancora non c’era. Altri hanno chiamato il campeggio e hanno detto che c’era stato un grosso incidente, ma ovviamente ancora non sapevamo che era la nostra corriera».

Emine, per contro, ha ricordato il suono delle sirene: «Mentre aspettavamo, diverse auto della polizia andavano in quella direzione. Ci chiedevamo perché non arrivasse l’autobus, avevamo con noi una bimba piccola e c’erano anche persone anziane che aspettavano lì. Poi è arrivata la notizia che c’era stato un incidente».

Marito, moglie e figlia, quindi, hanno fatto rientro all’alloggio a piedi. E questo «dopo aver camminato per 40 minuti». Durante il percorso, consultando le notizie, si sono resi conto che il mezzo precipitato era quello su cui sarebbero dovuti salire. Da martedì sera, non a caso, la coppia continua a pensare e a ripensare a quegli istanti. A quell'appuntamento incredibilmente, e fortunatamente, mancato. «Non riuscivamo proprio a decidere dove volevamo mangiare» ha ribadito Emine. «Siamo arrivati nel centro storico, ma non avevo voglia di portare il passeggino sui ponti più grandi. Alle 19.22 ho detto a mio marito: va bene, andiamo a mangiare in albergo». Otto minuti, però, non sono bastati per arrivare alla fermata, come ha ribadito il marito: «Volevo vedere la partita e volevo mangiare una vera pizza cotta nel forno a pietra qui in Italia. E ho notato che a Venezia non c’era. Ho pensato: che mangi qui o in hotel, è la stessa cosa. Ecco perché volevamo andare in hotel con il pullman delle 19.30. Ma lo abbiamo perso e forse è per questo che siamo ancora vivi adesso».

È bastato poco, pochissimo come ha spiegato ancora la moglie: «Gli ho detto di telefonare alla struttura e dirgli di chiamare l’autista dell’autobus, due minuti non sono importanti. Ma abbiamo contattato il posto sbagliato». Di nuovo Ferhat: «Pensavamo che il conducente avrebbe aspettato, se avesse saputo che c’erano altri due ospiti in arrivo. Ma così ci saremmo stati anche noi su quell’autobus...».

Una domanda, concludendo, da quella sera tormenta la coppia: se avessero telefonato alla struttura giusta, se quel bus li avesse aspettati, la storia sarebbe cambiata? Ovvero, una deviazione rispetto al percorso stabilito avrebbe cambiato il corso degli eventi? «Non siamo riusciti a dormire fino alle 2 del mattino quando ci siamo davvero resi conto di cos’era successo» hanno detto, in coro. «Noi diciamo che esiste una buona morte, quella in cui si muore serenamente a letto. Ma poi succedono anche cose del genere. Che dire? Non abbiamo saputo fare altro che abbracciare nostra figlia».