Il ricordo

Addio a John Mayall padrino del blues europeo

Si è spento a novant'anni il grande artista britannico che, assieme ad Alexis Korner è stato alla base di quel «british blues» che ha fatto conoscere la «musica del diavolo» in tutto il mondo
© KEYSTONE (EPA/Daniel Dal Zennaro)
Alessio Brunialti
24.07.2024 20:27

Con la scomparsa di John Mayall la musica non perde solo un bluesman indomito, un vero e proprio soldato del genere tanto da intitolare Crusade, «crociata», uno dei suoi album storici negli anni Sessanta. Se Eric Clapton ha una carriera di tutto rispetto, se i Fleetwood Mac sono arrivati fino a oggi, se i Rolling Stones hanno riscoperto le origini nere della loro musica dopo la sbandata psichedelica, il merito è tutto di quest’uomo. L’uomo si è spento a 90 anni, nella sua casa in California, lasciandosi alle spalle migliaia di concerti in tutto il mondo, decine di dischi e, soprattutto, un’impressionante eredità.

Perché Mayall non è stato solo un musicista, un polistrumentista (suonava chitarra, armonica, pianoforte, basso, un altro disco dell’epoca d’oro è The blues alone, dove fa quasi tutto da sé), un cantante dal caratteristico tono stridulo ricalcato su quello dei primi bluesmen americani che aveva ascoltato sui dischi di suo padre musicista, un autore di innumerevoli brani. È stato il rettore, davvero magnifico, della prima università del blues, quella che formava i più grandi artisti britannici.

Era riverito come un vecchio saggio già quando si fece conoscere alla fine degli anni Cinquanta, anche per una mera questione anagrafica: era nato nel 1933, a Macclesfield, vicino a Manchester, e questo lo collocava a metà strada tra il padre del british blues Alexis Korner – classe 1928 – e la legione di musicisti nati durante e subito dopo la guerra. Così, nel 1965, quando pubblicò il suo primo lavoro, un live registrato al club Klooks Kleek di Londra, aveva già 32 anni, dodici più di Eric Clapton che, pure, chiamò al suo servizio poco dopo, approfittando della fuga del chitarrista dagli Yardbirds, assieme agli Animals la miglior band di beat blues dopo il balzo in avanti degli Stones che, progressivamente, si stavano allontanando dalle loro origini. Mayall offrì al chitarrista non solo un ruolo di rilievo nella sua band, i Bluesbreakers, ma collocò il suo nome a chiarissime lettere sulla copertina del disco che ne risultò.

Se è veo che già in Five live Yardbirds veniva annunciato come «Slowhand», fu grazie a quell’esperienza che sui muri di Londra iniziarono ad apparire le scritte «Clapton is God». Ma la permanenza del chitarrista fu breve: se ne andò per formare gli effimeri Powerhouse con Steve Winwood e i ben più conosciuti Cream. Mayall trovò un valido sostituto in Peter Green, un mercuriale chitarrista che era perfino più purista del suo predecessore. La formazione si assestò con il bassista John McVie, nel gruppo da tempo, e con il batterista Mike Fleetwood. I tre si trovavano bene assieme e Green scriveva canzoni. Un’altra fuga che lasciò il leader dei Bluesbreakers praticamente senza band. Ma non ci mise molto a rimettersi in pista scoprendo un ennesimo talento della sei corde, l’imberbe Mick Taylor che gli venne scippato da Jagger e Richards che avevano defenestrato Brian Jones.

Insomma, la storia musicale di Mayall è turbolenta, basti dire che nelle varie incarnazioni della sua band hanno suonato Jack Bruce, Aynsley Dunbar, Keef Hartley, Jon Hiseman, Dick Heckstall – Smith e Tony Reeves (questi tre poi confluiti nei Colosseum), John Mark e Johnny Almond (poi Mark – Almond), Larry Taylor dei Canned Heat, Don «Sugarcane» Harris, Harvey Mandel, Rick Vito (che finirà nei Fleetwood Mac negli anni Novanta) e perfino, molto brevemente, Patti Smith (!). Certo, non tutti i dischi di Mayall sono dei capolavori, ma in concerto era una certezza: ha continuato a esibirsi finché le forze glielo hanno consentito, portando il blues in tutto il mondo. Anche in Ticino: nel ricordo degli appassionati c’è infatti ancora il memorabile concerto che tenne a Piazza Blues Bellinzona il 27 giugno del 1998. 

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