Addio Russia: le multinazionali perdono oltre 100 miliardi

L'esodo delle imprese straniere dalla Russia dopo l'invasione dell'Ucraina nel 2022 è finora costato più di 107 miliardi di dollari tra svalutazioni e mancati introiti, secondo quanto emerge da un'analisi di Reuters. Il volume delle perdite è aumentato di un terzo rispetto al precedente rilevamento di agosto dello scorso anno, sottolineando l'entità del colpo finanziario subito dalle imprese a causa del conflitto.
Quest'anno sono state annunciate vendite di attività di proprietà di Shell, HSBC, Polymetal International (società anglo-russa attiva nell’estrazione di metalli preziosi) e Yandex (il «Google russo»), per un totale di quasi 10 miliardi di dollari e con sconti fino al 90%. Mosca esige infatti sconti di almeno il 50% sulle vendite di attività estere e ha costantemente inasprito i relativi criteri, accettando spesso somme nominali anche di un solo rublo. La scorsa settimana Danone ha dichiarato di aver ricevuto l'approvazione normativa per la cessione delle sue attività russe, con una perdita totale di 1,3 miliardi di dollari.
Dall'inizio del conflitto e a seguito dei numerosi pacchetti di sanzioni occidentali, circa mille aziende sono uscite completamente dal mercato russo, mentre molte altre, come Auchan e Benetton, stanno ancora operando o hanno sospeso le loro attività in Russia oppure, come il gruppo bancario italiano Intesa Sanpaolo, intendono lasciare la Federazione ma stanno affrontando ostacoli burocratici.
Ma qualcuno resta
Un decreto di Mosca del 2022 vieta agli investitori di Paesi «non amici», ovvero quelli che hanno imposto sanzioni alla Russia per le sue azioni in Ucraina, di vendere le proprie partecipazioni o quote azionarie detenute in progetti energetici e istituti bancari ritenuti essenziali senza l'esplicita approvazione presidenziale.
Ma c'è anche chi ha deciso di restare in Russia, come i molti produttori di beni di prima necessità e di consumo che si sono astenuti dall'abbandonare del tutto la Federazione, sostenendo che la gente comune nel Paese fa affidamento sui loro prodotti. Tra le aziende che operano o fanno ancora affari in Russia ci sono Mondelez International (la multinazionale americana dell'alimentare, proprietaria di marchi quali Toblerone e Milka), PepsiCo, Nestlé, Unilever e Reckitt (conglomerato britannico di beni di consumo per la salute, l'igiene e la nutrizione).
Ritorsioni russe
Tra le misure messe in atto dai Paesi occidentali nell'ambito delle sanzioni contro Mosca vi è il «congelamento» di circa 300 miliardi di dollari di riserve auree e valutarie della Banca centrale della Federazione russa depositate presso i corrispettivi istituti centrali (in Svizzera la cifra presso la BNS è di 7,4 miliardi di franchi). Nel frattempo questi averi hanno maturati interessi miliardari e Mosca ha promesso di reagire alle proposte dell'UE di ridistribuirli o usarli per finanziare gli aiuti militari all'Ucraina, affermando che qualsiasi tentativo di sottrarre il suo capitale o i suoi interessi è «banditismo». Anche le banche occidentali sono preoccupate per le controversie legali che queste operazioni potrebbero scatenare.
Oltre al «sequestro» dei beni della Banca di Russia, alcuni Paesi hanno «nazionalizzato» attività russe, come ha fatto la Germania che ha ribattezzato in Sefe l'impianto tedesco di Gazprom, mentre ha posto sotto amministrazione fiduciaria la raffineria di Rosneft a Schwedt. Mosca, dal canto suo, ha già preso il controllo temporaneo di beni di proprietà di diverse società occidentali, tra cui Fortum Oyj (azienda energetica statale finlandese), Carlsberg, OMV (società petrolchimica austriaca) e Uniper (multinazionale tedesca dell'energia).
L'agenzia di stampa statale russa RIA ha calcolato che l'Occidente potrebbe perdere beni e investimenti per un valore di almeno 288 miliardi di dollari in caso di ritorsione da parte di Mosca. La cifra è calcolata sulla base di dati sugli investimenti diretti dell'Unione europea, dei Paesi del G7, dell'Australia e della Svizzera nell'economia russa alla fine del 2022. I Paesi dell'UE detengono 223,3 miliardi di dollari, di cui 98,3 miliardi formalmente detenuti da Cipro, 50,1 miliardi dai Paesi Bassi e 17,3 miliardi dalla Germania.