«Alcuni ospedali hanno fatto il passo più lungo della gamba»
L’Ente ospedaliero cantonale ha presentato i conti 2023, chiusi con un attivo di poco superiore ai 3 milioni di franchi. Un risultato non scontato in un contesto molto difficile in Svizzera. Tanti, infatti, gli ospedali che hanno presentato bilanci in profondo rosso. Con Glauco Martinetti, direttore generale dell’EOC, facciamo quindi il punto sulle tante sfide del settore.
Direttore Martinetti, che anno è stato il 2023 per l'Ente ospedaliero cantonale?
«Un anno complicato dal profilo finanziario. Se da un lato abbiamo ripreso totalmente l’aumento dei costi dovuto all’inflazione, dall’altro non c’è stato alcun aumento delle tariffe. Abbiamo avuto costi in più per 46 milioni di franchi, così suddivisi: 31 milioni per la voce di spesa legata al personale, come il riconoscimento del carovita e 15 milioni di costi generali: elettricità, ipoteche, alimentari».
Nonostante tutto avete chiuso con un utile di 3 milioni.
«Ciò è stato possibile unicamente grazie alla ripresa del fondo per gli accantonamenti, elemento che dovremo considerare a bilancio ancora fino al 2027. Se infatti guardiamo all’EBIT, il risultato aziendale, siamo a quasi -19 milioni di franchi. Tutto sommato, in particolare guardando ai costi aggiuntivi, siamo riusciti a contenere le uscite grazie a una gestione oculata delle risorse e all’aumento dei pazienti presi a carico».
Un anno fa aveva detto che il Cantone avrebbe dovuto alzare le tariffe ambulatoriali. Nel frattempo è cambiato qualcosa?
«Nel 2023, effettivamente, non c’è stato alcun aumento tariffale, così come negli ultimi quattro anni. Per quest’anno abbiamo tuttavia trovato un nuovo accordo sul valore delle nostre prestazioni con due gruppi di assicuratori (HSK e CSS) da 0.83 a 0.85 fr/punto. Siamo invece tuttora senza accordo con il gruppo Tarifsuisse. Ricordo che il valore di 83 centesimi era il più basso di tutta la Svizzera e anche con 85 siamo comunque tra i più bassi».
La situazione finanziaria di molti ospedali svizzeri è grave. È preoccupato?
«Sì, ma bisogna fare delle differenziazioni rispetto alla Svizzera interna. In Ticino, l’EOC è responsabile di circa il 72% dell’offerta sanitaria. Disponiamo di un sistema ospedaliero multisito che offre quasi tutto: basti pensare che solamente il 5,5% dei pazienti esce dal Ticino per farsi curare. Da questo punto di vista siamo fra i Cantoni più performanti, dietro solo a Ginevra e Berna. Un risultato che non esito a definire eccezionale. Inoltre, se facessimo un confronto a livello di costi, a parità di complessità i nostri ospedali costano meno rispetto a quelli della Svizzera tedesca. E questo, unito al fatto di curare quasi tutti i ticinesi, è indubbiamente un grandissimo vantaggio economico. La differenza con le altre realtà riguarda anche la politica degli investimenti: l’EOC sta ristrutturando i propri ospedali e ha nel mirino il futuro nosocomio alla Saleggina. Ma fa il passo secondo la gamba. Qualcuno, in Svizzera interna, negli ultimi anni non ha rispettato questo principio».
Il sistema sanitario svizzero, di fronte a bilanci simili e con costi in aumento, è in pericolo?
«In prospettiva dovrà cambiare qualcosa a livello tariffale. Ma ricordo che gli ospedali, tramite la degenza, sono responsabili di un quarto della spesa sanitaria totale, che in Svizzera è di 95 miliardi l’anno. Il resto della spesa è formata dall’ambulatoriale, dalle visite dal medico, dai farmaci e via discorrendo».
Rimanendo sull’offerta sanitaria e dunque sui costi che essa genera, nel 2023 la politica ha «salvato» gli ospedali di Faido e Acquarossa. Davvero possiamo ancora permetterci strutture di questo tipo?
«La presenza di un reparto di cure acute nei due ospedali di valle non risponde a un bisogno di politica sanitaria, bensì di politica regionale. Come EOC rispettiamo sia la volontà popolare con la raccolta firme, sia la decisione politica che è seguita. Un compromesso fra le parti che ha evitato la chiamata alle urne sulle due strutture. Sarebbe magari stato interessante lasciare esprimere i cittadini ticinesi su questo tema. A livello gestionale, comunque, le due strutture di valle sono gestibili. Ma il tema si riproporrà: in futuro dovremo essere pronti a valutare di nuovo il contenuto dei due ospedali. Avrà ancora senso disporre di dieci letti acuti a Faido o dovremo aumentare di più la riabilitazione in questo ospedale?».
Questioni che interrogano le future pianificazioni ospedaliere del Cantone. A proposito: in un’opinione pubblicata sul CdT, il direttore di Curafutura Pius Zängerle ha scritto: «È il momento di rivedere i contratti di prestazione dei Cantoni con gli ospedali, evitando che troppi ospedali offrano gli stessi servizi». È d’accordo?
«Oggi, l’Ente ospedaliero si trova in una situazione interessante. Abbiamo concentrato a Lugano i mandati altamente specialistici: penso al Cardiocentro - nato a suo tempo da un’iniziativa privata -, la neurologia, la medicina intensiva, i politraumi, eccetera. In aggiunta, abbiamo sul territorio ospedali che si occupano di medicina di prossimità. Una parte di questa concentrazione, dunque, l’abbiamo già fatta. Come EOC vogliamo però continuare in questa direzione: crediamo ad esempio nella creazione dell’ospedale del bambino a Bellinzona e spero che nella prossima pianificazione venga inserito. A Locarno invece avevamo una maternità pubblica e una privata, ma entrambe non raggiungevano il quorum di nascite. Siamo riusciti a trovare una soluzione per disporre di una maternità con numeri più grandi».
Da gennaio, le casse malati hanno la possibilità di ricorrere al Tribunale federale contro le pianificazioni ospedaliere cantonali. È successo di recente a San Gallo. Quanto si sta facendo in Ticino basterà per evitare uno scenario del genere?
«All’EOC vogliamo mantenere lo stesso numero di ospedali, specializzando allo stesso tempo sempre più le singole sedi. Lo faremo tramite la nuova pianificazione attualmente in discussione a livello di commissione parlamentare. Come EOC i compiti li abbiamo quindi fatti. Eppure persistono due problemi. Il primo: la pianificazione 2015 è stata oggetto di ricorso da parte di due cliniche private, che ancora oggi non rispettano quanto stabilito. Agiscono sul mercato in modo libero e questa è una chiara disparità di trattamento. Il secondo: la concentrazione di casistica sull’operatore. In diversi Cantoni, come Zurigo, si è proceduto parallelamente a concentrare le specialità negli ospedali ma anche sui medici stessi. È questo il vero tema del miglioramento della qualità di cure: se vogliamo che l’esperto sia tale, deve prendere a carico un numero sufficiente di casi. Noi, come EOC, abbiamo iniziato a farlo al nostro interno. Purtroppo, però, né nel messaggio del Governo né nel rapporto commissionale è presente questo aspetto centrale. In Ticino non c’è la volontà politica di andare in questa direzione. È un peccato».
Dal suo punto di vista reputa corretto lasciare la facoltà alle casse malati di intervenire in ambito pianificatorio?
«Ci sono due chiavi di lettura. Da un lato le casse malati rappresentano gli assicurati, i quali hanno tutto il diritto di esprimersi in ambito sanitario perché sono loro a pagare il sistema. Dall’altro, però, le casse malati sono molto rappresentate a Berna dai lobbisti. Quindi la loro non è una presa di posizione totalmente disinteressata. È questo il lato che più mi preoccupa».
In precedenza ha citato le cliniche private. Negli ultimi anni parecchi medici di rilievo hanno lasciato il pubblico per il privato. Perché?
«Per due aspetti. Il primo è la creazione della Facoltà di scienze biomediche all’USI. Ciò ha obbligato l’EOC a cercare tramite concorso profili accademici fino a quel momento assenti. Nella grande maggioranza dei casi siamo riusciti a inserire primari già collaboratori dell’EOC che rispondevano ai criteri in ambito formativo accademico. In alcuni casi, però, non è stato possibile. Sono dunque arrivate dall’Italia candidature di profili accademici e professionali notevolissimi, che hanno poi vinto il concorso. Ciò è stato mal accolto da alcuni medici, che hanno poi deciso di lasciare l’azienda. Il secondo aspetto riguarda la struttura: a fronte di 60 posizioni apicali - primari, vice, direttori sanitari - ci sono 300 medici in formazione. Non tutti potranno dunque arrivare in cima alla scala. Essendo l’EOC praticamente l’unico formatore di medici in Ticino, è dunque fisiologico avere partenze».
Vorrebbe che anche i privati formassero medici e assistenti?
«Sì. Nelle cliniche private c’è poca formazione di assistenti. Questo non permette di migliorare il sistema sanitario ticinese, perché ci si ‘‘ruba’’ semplicemente i medici fra pubblico e privato. I privati, invece, potrebbero benissimo pescare alti profili in Svizzera interna o all’estero, e non sempre e solo sul Ceresio o sul Verbano. Un modo di fare un po’ troppo comodo. Ricordo però che la formazione di medici assistenti è molto costosa e attualmente sotto-finanziata dallo Stato: un fardello che pesa sulle finanze dell’EOC in modo significativo».