Crisi politica

Aleksandar Vučić: «L'ordine in Serbia sarà ripristinato, stabilità e pace saranno preservate»

Il presidente si è presentato davanti ai giornalisti mostrando di prendere molto sul serio le manifestazioni di piazza
©Darko Vojinovic
Dario Campione
28.01.2025 21:15

L’impronta rossa di una mano. E 15 minuti di silenzio. Ogni giorno, in ogni piazza, sempre alla stessa ora: le 11:52. Sono questi i simboli, tragicamente significativi, della gigantesca ondata di proteste che da mesi sta scuotendo la Serbia. Una protesta che, oggi, ha portato alle contemporanee dimissioni del premier Miloš Vučević e del sindaco di Novi Sad Milan Ðurić.

Le manifestazioni di piazza sono guidate dagli studenti universitari, ai quali si sono uniti, negli ultimi giorni, anche i contadini e molti lavoratori dello spettacolo, della cultura, della scuola.

Tutto è cominciato dopo il crollo del tetto di una pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, il 1° novembre scorso. Un incidente in cui morirono 15 persone e che la maggioranza dell’opinione pubblica imputa alla corruzione dilagante nel Paese. La ristrutturazione della stazione di Novi Sad e la costruzione della pensilina, infatti, erano state appaltate a un consorzio guidato da un’impresa cinese, favorita - a detta di chi adesso protesta - dalle persone che avevano il potere di decidere la commessa.

Tredici persone sono state accusate del disastro dalla Procura di Novi Sad - tra loro anche l’ex ministro dei Trasporti, Goran Vesić, che si è dimesso pochi giorni dopo il crollo - e, sotto la continua pressione dell’opinione pubblica, il Governo di Belgrado alla fine ha reso noti alcuni documenti relativi all’appalto. Una mossa necessaria ma non sufficiente a disinnescare le manifestazioni, al punto da costringere questa sera il presidente serbo Aleksandar Vučić a parlare alla nazione in diretta Tv.

Riunione straordinaria

Dopo aver partecipato a una riunione straordinaria del Governo, Vučić si è presentato davanti ai giornalisti e ha mostrato di prendere molto sul serio le manifestazioni di piazza. «Sono orgoglioso di sottolineare che abbiamo presentato un pacchetto di norme importanti per il futuro del nostro Paese - ha detto subito il presidente serbo - Prima di tutto, abbiamo soddisfatto pienamente tutte le richieste degli studenti. Abbiamo fatto un lavoro non facile e stanziato molti soldi per professori e studenti».

Vučić ha quindi aspramente criticato i giovani del suo movimento, il Partito progressista serbo (SNS), protagonisti di scontri con i manifestanti. «Non possiamo accettare che, dopo l’appello al dialogo e alla pace completa, qualcuno di comporti diversamente. I ragazzi che lo hanno fatto hanno procurato un danno enorme alla Serbia, al partito e a tutti noi». Dopo questo accenno di autocritica, però, il presidente serbo è passato al contrattacco. Difendendo innanzitutto il primo ministro dimissionario Miloš Vučević.

«È stato difficile, per me, accettare le sue dimissioni. Miloš ha fatto un buon lavoro, ha portato la Serbia ad avere un elevato rating per gli investimenti, a essere seconda in termini di tasso di crescita nel 2024 ed è sempre stato fedele alla sua patria, al “serbianesimo” e allo Stato serbo. Ha combattuto per il suo popolo, ma ha ugualmente lasciato, credendo che il principio della responsabilità oggettiva debba essere impostato in modo diverso rispetto al passato. La mossa di Vučević passerà agli annali dei responsabili e dei seri. Ha dimostrato che la poltrona non è più importante per lui del principio, ed è quello che ha fatto», ha aggiunto Aleksandar Vučić.

Il presidente della Serbia ha poi ribadito che, secondo la legge, un nuovo governo dovrà essere formato entro 30 giorni. Diversamente, dovranno essere indette nuove elezioni. «Sono aperto a entrambe le opzioni. Andremo alle urne o formeremo un nuovo governo. Una decisione in merito sarà presa nei prossimi 10 giorni», ha detto Vučić.

Niente governo tecnico, quindi, e no alla richiesta delle opposizioni di un Esecutivo di unità nazionale che prepari il voto dopo aver modificato la legge elettorale. Mentre non è mancata una sottolineatura finale che fa temere un’evoluzione non troppo serena della crisi: «L’ordine sarà ripristinato in Serbia e la stabilità e la pace saranno preservate - ha detto Vučić - Sono caduto molte volte nella mia vita. La domanda non è se si può cadere, la domanda è a quale velocità si è in grado di rialzarsi e continuare a combattere».

La richiesta di dialogo

In mattinata, come detto, parlando in una conferenza stampa a Belgrado, il primo ministro Miloš Vučević aveva annunciato le sue dimissioni. Una decisione, ha detto l’ormai ex premier serbo, presa dopo aver visto le immagini degli attacchi contro gli studenti che protestavano a Novi Sad.

«Come Governo è il momento di essere il più possibile responsabili - ha detto Vučević ai giornalisti - Per disinnescare le tensioni fra noi e i manifestanti, ho preso la decisione di fare un passo indietro». Il primo ministro ha difeso l’operato del suo Esecutivo, ma ha ammesso che la Serbia «sembra essere bloccata» e ha rimarcato le «profonde divisioni in seno alla società» causato dal tragico crollo di Novi Sad. «Spero che questo mio gesto abbia soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti più radicali», ha aggiunto. Per poi concludere: «Se c’è qualche speranza per noi di tornare al dialogo sociale, dobbiamo farlo».

Una «democrazia degradata»

Difficile, in questo momento, dire quale possa essere l’evoluzione della crisi politica serba, anche alla luce delle parole di questa sera del presidente Vučić. Secondo Edward Joseph, ex diplomatico USA oggi docente a Washington DC al Foreign Policy Institute della Johns Hopkins School of Advanced International Studies, è possibile che la scena politica serba stia cambiando. «Gli insegnanti, e non solo loro, hanno seguito l’esempio degli studenti che hanno protestato in massa - ha scritto Joseph in un post sui social media ripreso dalla Reuters - Secondo quanto riferito, anche i giudici, importanti funzionari dello Stato, hanno lasciato i Tribunali per sostenere i manifestanti di passaggio. Il fattore paura è scomparso. Anche in una democrazia balcanica degradata, il popolo ha ancora il potere di agire e può ancora chiedere responsabilità».

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