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Allarme degli industriali: «Il franco inizia a fare male»

Per Swissmem il rafforzamento degli scorsi giorni è «scioccante» - Chiesto un intervento di BNS e Governo Modenini (AITI): «La banca centrale dovrebbe arginare la valuta elvetica e la politica stringere accordi commerciali»
L’industria svizzera chiede aiuto. La BNS e il mondo della politica risponderanno? © CDT/Gabriele Putzu
Roberto Giannetti
08.08.2024 06:00

Le turbolenze sui mercati finanziari degli scorsi giorni hanno provocato una corsa degli investitori verso il franco svizzero, considerato un bene rifugio. Tanto che lunedì i corso dell’euro era sceso sino a 0,9211 franchi, a fronte dei quasi 0,94 franchi di venerdì, toccando il valore più basso registrato dal 15 gennaio 2015, giorno in cui la Banca nazionale svizzera (BNS) abolì la soglia minima di 1,20. A parte il cambio euro-franco registrato in quella giornata, che è durato solo alcune ore, quello di lunedì può essere ritenuto in pratica il minimo assoluto per una valuta in circolazione monetaria effettiva dal 2002 e che aveva toccato il suo massimo di sempre sul franco nel 2007 a 1,7146.

Euro in lieve ripresa

Anche se ieri la moneta europea si è ripresa (in serata quotava 0,94278 franchi), il livello inizia a preoccupare il settore industriale, che risente molto della variabile valutaria. Tanto che ieri Swissmem, organizzazione padronale del comparto meccanico, elettrico e metallurgico, ha definito «scioccante» l’attuale rafforzamento del franco e ha chiesto interventi decisi da parte della Banca nazionale svizzera (BNS) e del mondo politico, invitato ad avvicinarsi all’UE.

In difficoltà da inizio 2023

Il ramo, che impiega oltre 330.000 lavoratori ed esporta l’80% dei suoi prodotti, si trova in difficoltà dall’inizio del 2023, con un crollo significativo degli ordini in mercati chiave quali la Germania e la Cina. Dopo un lieve miglioramento da inizio estate, ora la forza del franco rischia di compromettere la crescita del settore.

Come considerare la forza del franco, e come sta impattando l’industria, soprattutto a livello ticinese? Lo abbiamo chiesto a Stefano Modenini, direttore dell’Associazione Industrie Ticinesi (AITI). Innanzitutto, ci sono differenze nell’impatto del franco forte sull’industria svizzera e quella ticinese?«No, non ci sono differenze con il resto della Svizzera - sottolinea Stefano Modenini - perché anche l’industria ticinese è fortemente orientata alle esportazioni. Vorrei poter dire che, come è quasi sempre capitato in passato, le imprese sapranno adeguarsi alle nuove situazioni. Ma oggi siamo in presenza di un contesto economico complesso influenzato dagli eventi internazionali. Ciò che danneggia maggiormente le aziende sono piuttosto le fluttuazioni repentine del franco svizzero.

Stabilità delle commesse

Come sta andando attualmente il settore industriale? «In linea generale - nota - non abbiamo avuto segnali dalle aziende di un’instabilità sul fronte degli ordinativi da parte dei clienti, ma sappiamo che la situazione può cambiare rapidamente. Intanto registriamo le difficoltà già annunciate dall’industria orologiera, alle quali si aggiungono ora quelle della meccanica, della metallurgia, l’elettronica e persino i settori ad alta tecnologia. L’economia tedesca ad esempio, nostro principale mercato di riferimento, rimane debole e non desta particolari segnali di miglioramento. Può darsi che nelle prossime settimane la pressione sul franco svizzero si attenui e consideriamo anche che determinati acquisti di materiale e altro vengono fatti pure in euro, ma in questo momento la rivalutazione della nostra moneta è comunque eccessiva».

Quale sarebbe il vostro livello limite? «Difficile oggi fissare dei limiti. In passato abbiamo detto che al di sotto di una soglia di 1,10 non si giustifica più tanto restare a produrre in Svizzera (oggi siamo sotto 0,95, ndr). Se ciò avviene ancora è per il fatto che gli sforzi tecnologici delle imprese e il contenimento dei costi permettono ancora di mantenere la produzione da noi. Ma fino a quando? Ricordo che il nostro tessuto industriale è fatto sostanzialmente di piccole e medie imprese, quindi anche tanti proprietari hanno dei limiti finanziari al di là dei quali non possono andare. Credo che questo contesto vada preso sul serio fino in fondo dalle nostre autorità, perché senza la permanenza sul territorio di tante aziende di settori diversi, non solo l’industria, il futuro di questo Cantone, già confrontato a costi sociali ed economici crescenti, è in forse».

Le industrie ticinesi come affrontano la forza del franco? «Non esistono - rileva Modenini - soluzioni miracolose. Esistono strumenti finanziari per proteggersi dalle rivalutazioni valutarie, diversificazione dei fornitori, maggiori acquisti in euro, fissazione con ampio anticipo dei prezzi del materiale e dell’energia, ecc. Le misure possono essere tante, ma il risultato di questa pianificazione non è sempre scontato.

Rischi per l’occupazione

È possibile prevedere se Ci saranno effetti sulla produzione e sull’occupazione? «Se il livello del franco svizzero - illustra - resta per diverso tempo quello attuale credo di sì. La razionalizzazione dei costi aziendali ha un limite e non tutto si può automatizzare o spostare all’estero. Inoltre le imprese hanno comunque bisogno di personale specializzato. Anche se le aziende sono sempre alla ricerca di personale qualificato, non credo che l’occupazione conoscerà un’espansione. In questo momento è piuttosto valido il contrario».

Evitare la passività

Swissmem lancia un appello a BNS e mondo politico. Condivide questa mossa? «Evidentemente - commenta Stefano Modenini - in questa situazione non possiamo che rivolgere un forte appello alla Banca nazionale svizzera e alle istituzioni federali affinché non si assista troppo passivamente al degrado delle condizioni per fare impresa in Svizzera, soprattutto per chi esporta. Nel limite delle loro possibilità ci attendiamo quindi un intervento o più interventi della nostra Banca centrale per raffreddare la forza del franco, mentre la politica è costantemente chiamata a migliorare le condizioni quadro. Nel nostro caso si tratta di avere nuovi accordi internazionali di libero scambio e accordi solidi con l’Unione europea, senza i quali il declino della nostra economia è scontato, visto che guadagniamo un franco su due all’estero».