Alloggi per i migranti, «Cantone così non basta»
Troppo poco. Si possono riassumere così, le prime reazioni alla notizia che il Cantone, per ora, non ha trovato alternative valide al quartiere Soldini di Chiasso per accogliere centocinquanta migranti passati alla cosiddetta fase due, cioè quella dell’integrazione in Ticino (non sono centocinquanta ventenni problematici, respinti e recalcitranti, tanto per chiarire). L’appello pubblico (tecnicamente: grida) promosso l’ottobre scorso dalla Sezione del sostegno sociale ha fruttato una decina di proposte in tutto, ritenute tuttavia non abbastanza funzionali né idonee per essere utilizzate in tempi brevi, bensì con un orizzonte più lontano. L’unico stabile con tutti i requisiti fissati dal Cantone stesso è quello nei pressi del Centro Calicantus: una soluzione che il proprietario delle mura ha proposto alle autorità ma che è contestata dalla comunità locale. Quindi, che si fa? Difficile dirlo. Di sicuro, secondo il sindaco Bruno Arrigoni, quanto fatto finora da Palazzo delle Orsoline non basta. «Hanno pubblicato un annuncio sul Foglio ufficiale, è chiaro che non risponde nessuno…» esordisce amaro. «I funzionari del Cantone dovrebbero andare direttamente in altri Comuni di altre regioni del nostro cantone, e dire: ‘Dovete ospitare anche voi alcuni richiedenti l’asilo’». Per il sindaco, che aveva sollevato il tema già due anni fa alla cerimonia d’inizio anno a Chiasso, manca insomma una solidarietà interdistrettuale, che Bellinzona dovrebbe esigere. «Invece i migranti sono tutti ammassati qui, e gli equilibri sono fragili. Non ho nulla contro queste persone, ma così non va bene».
Anche perché nove anni fa, come sottolinea sempre Arrigoni, al Mendrisiotto era stato promesso che la quota di trecentocinquanta migranti alloggiati nel distretto non sarebbe stata superata. Non è però solo una questione di numeri. «In via Soldini è stato aperto un centro di socializzazione, Calicantus, e c’è un equilibrio sociale. Nel quartiere sono presenti diverse etnie, ma la convivenza è buona. Portandoci altre centocinquanta persone, diventerebbe un ghetto e rischieremmo di vanificare il lavoro fatto finora, anche a livello di integrazione scolastica». Le esigenze sociali dei migranti, pensando in particolare ai bambini, erano state sottolineate tempo fa anche dall’associazione Mendrisiotto Regione Aperta, contraria alla soluzione di via Soldini. «Va chiarito che queste persone, avendo superato la fase uno, quella dell’accoglienza, hanno diritto a un alloggio in Ticino» premette il co-coordinatore del gruppo Willy Lubrini. «Quello che contestiamo è il metodo del Cantone: partire alla ricerca di stabili e poi entrare in contatto con le autorità locali». «Siamo nella ‘Città Ticino’ – aggiunge – e vengono creati tavoli sovracomunali su vari temi:la politica migratoria dovrebbe essere uno di questi, merita la stessa dignità. Ci vuole concertazione, una pianificazione condivisa su dove collocare i richiedenti l’asilo. Quanto fatto finora non basta».
«Si agisca, loro aspettano»
Sul tema, ieri, ha preso posizione anche il PS del Mendrisiotto e Basso Ceresio. Ed è una posizione che va in senso contrario rispetto ad altre. «Dopo l’anacronistica, seppur legittima, ‘levata di scudi’ promossa dai sindaci del Basso Mendrisiotto a nome però, questo meno legittimamente, di tutta la popolazione, ci troviamo dinanzi a una seconda possibilità per la regione e per il Comune interessato di onorare la propria tradizione di accoglienza e solidarietà» recita una nota firmata dal presidente Marco D’Erchie. «Potrebbe essere utile creare una tavola rotonda che unisca i comuni del Mendrisiotto, le associazioni attive sul tema e il Cantone per trovare una soluzione che vada incontro alle esigenze del territorio. Solo attraverso un dialogo che tenga conto delle peculiarità locali e delle difficoltà che ogni singolo Comune si trova ad affrontare, si potrà innescare un circolo virtuoso di sostegno umanitario. Si agisca quindi, e lo si faccia rapidamente – concludono i socialisti – perché mentre si attende, mentre si resta fermi ad aspettare, centocinquanta persone in fuga da guerre, carestie, miserie e povertà attendono di sapere quale sarà il loro destino».