«Anche la Russia di Vladimir Putin sieda al tavolo della pace»
Potrebbe aprirsi subito dopo il voto americano il secondo vertice globale per la pace in Centro-Europa. E, questa volta, con la partecipazione della Russia. La notizia è giunta oggi direttamente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha incontrato a Kiev i ministri degli Esteri di Lituania e Polonia, Gabrielius Landsbergis e Radosław Tomasz Sikorski. «Abbiamo discusso di molte questioni importanti - ha detto Zelensky parlando alla stampa - il terrorismo in corso in Russia, la necessità di utilizzare armi a lungo raggio contro obiettivi militari sul territorio dello Stato aggressore, l’attuazione degli accordi bilaterali di sicurezza, l’accelerazione dell’adesione alla NATO e all’Unione europea dell’Ucraina. Ma, soprattutto, abbiamo parlato dei preparativi per il secondo vertice di pace e della formula da utilizzare per la stessa».
La strategia dietro l’annuncio di Zelensky, hanno commentato molti analisti, è chiara: quello che inizialmente avrebbe dovuto essere un conflitto lampo si è trasformato, in ultima analisi, in una guerra di logoramento. La cui soluzione sta nella possibilità di Kiev di dimostrare alla Russia di Vladimir Putin un’autentica capacità di resistenza.
Il presidente ucraino sta ribadendo ancora una volta al Cremlino che l’alleanza con l’Occidente apre la strada a una campagna militare di lungo termine. Il cui esito resta imprevedibile. «Quando Putin vedrà che la società ucraina non è divisa, è determinata a sopravvivere e, si spera, a vincere; quando capirà che l’Occidente è determinato a fornire tutte le attrezzature necessarie e che possiamo prendere di mira obiettivi militari in profondità nel territorio russo, allora inizierà a pensare a qualcosa», ha detto alla Reuters Oleksandr Merezhko, presidente della commissione per gli Affari esteri del Parlamento ucraino.
Minacce all’ONU
Le rinnovate minacce profuse giovedì dal presidente russo su una possibile escalation e su una disastrosa estensione della guerra non hanno avuto, quindi, alcun effetto concreto sui leader occidentali. Così come non non hanno fermato la politica di aiuti a Kiev nemmeno le parole pronunciate questo pomeriggio a New York, davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dall’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, secondo il quale permettere all’Ucraina di condurre attacchi a lungo raggio in Russia significa trascinare la NATO in una guerra diretta con la Russia.
Vero è che, in modo formale e nella sede istituzionale più importante - il Consiglio di sicurezza - Nebenzia ha ammonito la NATO a non essere ostile «contro una potenza nucleare e a pensare alle possibili conseguenze». Ma altrettanto vero è che l’unica forma di pressione efficace su Mosca sembra essere quella militare.
Gran Bretagna, Canada e Francia sono perciò pronte ad autorizzare l’Ucraina all’uso dei missili a lunga gittata per colpire obiettivi in territorio russo. E il premier inglese Keir Starmer è volato oggi a Washington per discutere proprio di questo con il presidente Joe Biden. Più cauta, invece, la Germania, che ancora oggi ha ripetuto di non voler dare a Kiev i propri missili a lungo raggio Taurus. Stesso discorso per l’Italia, che - così come ricordato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani - «non ha autorizzato l’utilizzo di materiale militare italiano per colpire obiettivi fuori dai confini dall’Ucraina».
«Il successo sul campo di battaglia è alla base di qualsiasi speranza di una soluzione negoziata - ha detto sempre oggi in un’intervista alle agenzie americane Tymofiy Mylovanov, presidente della Kyiv School of Economics ed ex ministro ucraino dello Sviluppo economico - Soltanto questo tipo di capacità militare rafforzata potrebbe portare Putin al tavolo dei negoziati e aiutare a sostenere ogni possibile tregua, soprattutto perché le sanzioni economiche non sono riuscite a cambiare il suo comportamento. Per avere influenza - ha aggiunto Mylovanov - l’Ucraina deve essere in grado di colpire rapidamente porti, aeroporti e impianti petroliferi e persino minacciare Mosca con attacchi missilistici, se necessario. Putin non crede in alcuna diplomazia. Sta soltanto giocando a questo gioco. Penso che voglia anche vedere le prove. Capire fino a dove si spingeranno gli aiuti occidentali».
Elezioni USA determinanti
È anche probabile che il Cremlino, prima di ogni altra decisione, voglia comunque attendere il 5 novembre, il risultato cioè delle elezioni presidenziali statunitensi.
La vicepresidente Kamala Harris ha promesso di continuare a sostenere l’Ucraina, sulla scia di quanto fatto sin qui dall’amministrazione Biden. L’ex presidente Donald Trump ha invece sollecitato più volte i gruppi repubblicani al Campidoglio a bloccare gli aiuti a Kiev. Martedì scorso, poi, durante il confronto con la Harris, ha evitato di rispondere affermativamente alla domanda se volesse la vittoria finale dell’Ucraina, insistendo piuttosto nel ripetere che una volta eletto potrebbe porre fine alla guerra. Come, non è dato sapere.
Molto più chiara, invece, la posizione espressa dal vice designato di Trump, J. D. Vance, che in un’intervista rilasciata oggi al podcast The Shawn Ryan Show si è sostanzialmente allineato alle richieste di Putin, spiegando come l’Ucraina debba cedere il territorio occupato attualmente dal Cremlino, promettere di non aderire alla NATO o ad altre «istituzioni alleate» e dare l’ok alla realizzazione di una zona demilitarizzata al confine Est.