Sestante

Ancora una bufala sul manoscritto di Voynich

Smentita la fondatezza anche dell’ultimo tentativo di interpretare il testo più misterioso del mondo
ALFABETO INDECIFRATO Il foglio 75r del manoscritto di Voynich.
Lorenzo Tomasin
08.06.2019 06:00

Storia curiosa, quella della creduta decifrazione del codice Voynich: un caso di fake news in piena regola che ha tenuto banco per qualche giorno nei dispacci d’agenzia e nelle pagine dei più illustri giornali d’Europa, per la congiura di alcuni fatti che meritano di essere districati. Proviamo a raccontarla in sintesi.

Esiste un libro manoscritto, il cosiddetto codice Voynich, risalente al secolo XV, di probabile provenienza italiana (segnatamente napoletana), attualmente conservato in una biblioteca americana. Il codice non è scritto in una grafia normale ma in cifra, cioè con un sistema di segni artificiale e volutamente incomprensibile per chi non conosca il criterio di decifrazione, come spesso avveniva all’epoca ad esempio per la corrispondenza diplomatica e militare, oppure per contenuti che per qualche ragione si voleva tenere segreti. Probabilmente – stando alle immagini che contiene – il manoscritto tratta di medicina. Non è possibile sapere in quale lingua è scritto, visto che la scrittura non è al momento decifrata. Il codice ha resistito nel corso del secolo passato a vari tentativi di decifrazione, uno dei quali avrebbe coinvolto anche Alan Turing, celeberrimo matematico e crittografo.

L’ultima «scoperta»

Uno studioso inglese, Gerald Cheshire – che non è professore di nulla, pur avendo un contratto di ricerca all’università di Bristol – affermava già da alcuni anni di poter decifrare del manoscritto, e aveva già scritto personalmente a innumerevoli studiosi in giro per il mondo (un modo di fare molto insolito nella comunità scientifica: ma mitomani e stravaganti non mancano mai) per segnalare loro quella che egli riteneva la propria “scoperta”.

In vari scritti già da tempo raggiungibili in internet, lo studioso afferma che il codice sarebbe scritto in una grafia non cifrata ma più antica dell’alfabeto latino, e in una lingua che egli chiama Proto-romanzo e che egli caratterizza un po’ confusamente come una sorta di anello intermedio unico tra il latino e le lingue che ne sono derivate (quindi: l’italiano, il francese, lo spagnolo, etc.), o alternativamente come una specie di lingua composita, mista di elementi lessicali di varia origine (una strana macedonia fatta di elementi lessicali provenienti da tutte le lingue del Mediterraneo).

L’eco mediatica

Il mese scorso, una rivista scientifica inglese di studi sulle lingue e le letterature romanze, Romance Studies, pubblica quello che appare a prima vista come un vero articolo scientifico di Cheshire in cui egli ripropone le sue idee e la sua ipotesi di “decifrazione” del codice. Contemporaneamente, l’Università di Bristol lancia un comunicato che viene raccolto dalle principali testate inglesi (tra gli altri, Guardian e Times) e subito rilanciato dalle agenzie di stampa internazionali (tra le altre, l’Ansa), nonché immediatamente ripreso da grandi giornali (ad esempio in Italia, Repubblica) che lanciano con sicurezza formule come: risolto il mistero del codice Voynich; oppure: finalmente decifrato l’antico manoscritto scritto in una lingua finora sconosciuta.

Gli errori di Cheshire

In realtà, basta leggere uno qualsiasi degli scritti di Cheshire per comprendere che non solo egli non ha mai proposto una vera e integrale “decifrazione” del manoscritto, ma che i criteri che egli propone fanno acqua da tutte le parti, visto che dimostrano una totale e simultanea ignoranza non solo di come funzionano le scritture antiche, ma anche di qualsiasi conoscenza anche elementare di linguistica generale (Cheshire ad esempio non distingue tra segni grafici, foni e fonemi, che è come per un matematico far confusione tra le quattro operazioni) e di qualsiasi nozione di base di linguistica romanza (egli par ignorare che è semplicemente impossibile inventare di sana pianta l’esistenza di una lingua che non avrebbe alcun convincente posizionamento in tutto quello che sappiamo – cioè molto – sul rapporto tra il latino e le lingue romanze: un po’ come per un biologo inventarsi una specie animale geneticamente impossibile).

La vera notizia

Confesso che quando avevo letto gli scritti di Cheshire (sono stato raggiunto anch’io da uno delle sue bottiglie nell’oceano di internet) avevo pensato semplicemente a uno scherzo, a una goliardata peraltro mal riuscita, visto che di solito per avere qualche chance le burle devono essere plausibili. E gli scritti di Cheshire non lo sono. La vera notizia, dunque, è un’altra: un articolo che pare scritto in stato d’alterazione mentale è stato preso sul serio da una vera rivista scientifica (distrazione? incompetenza?) e rilanciato dalla stampa più accreditata (fretta? superficialità?) in una congiuntura “miracolosa” di incidenti che parrebbe del tutto inverosimile. Ma che è potuta accadere. La comunità scientifica ha reagito rapidamente (solo pochi giorni dopo l’uscita dell’articolo, un accuratissimo smontaggio delle tesi di Cheshire è stato pubblicato nel sito Academia.edu da un glottologo della “Sapienza” di Roma, Artemij Keidan; e segnali d’allarme sono stati lanciati, tra gli altri, dalla Società italiana di Filologia Romanza, nonché dalla stessa Università di Bristol, resasi conto del pasticcio). Ma il cortocircuito tra una falla della scienza e una falla dell’informazione mette in guardia – fortunatamente senza conseguenze gravi, visto che non è morto nessuno – sui pericoli di un mondo in cui anche le sciocchezze più clamorose possono viaggiare troppo veloci.

Leggi il commento di Carlo Silini sulla vicenda e sul mistero dei massi coppellari nella Svizzera italiana.

ECCO COSA CONTIENE IL MANOSCRITTO DI VOYNICH

(di CARLO SILINI)

Il manoscritto di Voynich? Tutti ne parlano, nessuno l’ha letto. Vero è che nessuno può leggerlo, visto che si tratta di un testo scritto in una lingua sconosciuta. Ma il libro esiste. Fisicamente. E lo si può vedere e sfogliare come qualsiasi altro tomo del mondo. Oggi, poi, lo può sfogliare proprio chiunque. L’intero documento è stato digitalizzato dalla Yale University. Ed è proprio lì, nel link che ne riproduce i contenuti (https://brbl-dl.library.yale.edu/vufind/Record/3519597) , che siamo andati a visitarlo, soffermandoci con attenzione su ogni pagina e restando ammaliati dai suoi verdi segreti. Ecco cosa abbiamo visto.

Forchetta temporale di due secoli

La scheda accademica che accompagna il documento parla di un manoscritto composto tra il 1401 e il 1599 (ma con un punto di domanda dopo le date, ed è tutto dire) classificato come «scientific or magical text in an unidentified language, in cipher, apparently based on Roman minuscule characters» (testo scientifico o magico in una lingua non identificata, in codice, apparentemente basato su minuscoli caratteri romani). Che è dire tutto e il contrario di tutto. Conosciamo inoltre le dimensioni delle pagine del volume (23 x 16 cm). Per il resto dobbiamo fare affidamento sui nostri occhi.

Le pagine scritte

Del testo scritto ci limitiamo a dire che i caratteri sono piacevoli alla visione e coerenti con l’idea di parole che conosciamo. Ci sono lettere che sembrano, alludono, ricordano lettere di altri alfabeti, forse vi si sovrappongono pure. Sembra a tratti di indovinare delle «o», delle «g», delle «r», delle «g» e molti «8», più vari segni grafici elegantissimi. Ci sono «parole», nel senso che le lettere sono aggregate in gruppetti spezzati gli uni dagli altri. Ci sono anche «frasi», dato che gli aggregati di lettere finiscono e ne ricominciano altri dopo gli a capi. Forse ci sono pure le maiuscole quando iniziano le nuove frasi e consisterebbero in ricorrenti e composti svolazzi grafici verso l’alto. Non abbiamo visto segni di interpunzione. O perlomeno non sono espressi con simboli riconoscibili.

In ogni caso si direbbe che il testo sia stato scritto dopo l’esecuzione delle illustrazioni, perché molto spesso viene interrotto dai disegni.

E veniamo alle illustrazioni che ci permettiamo di classificare, a nostra totale discrezione, in tre diversi tipi che a volte si intersecano: «vegetali», «astrologici» e «femminili». Tecnicamente il tratto è semplice e lineare: si tratta di disegni in punta d’inchiostro che immaginiamo colorati in un secondo tempo con poche pigmentazioni - verde, blu, rosso e giallo, perlopiù sbiaditi – senza sfumature interne.

Una vasta rassegna di piante

I motivi vegetali sono prevalenti all’inizio e alla fine del libro e mostrano un ampio catalogo di erbe e piante, rappresentate in prevalenza a tutto tondo, ovvero non solo nella loro parte esterna ma anche fino in fondo alle radici. Non abbiamo competenze botaniche sufficienti a riconoscere questa o quella specie, ma vi appaiono foglie e fiori dalle forme più disparate: tonde, grosse, bislunghe, sottili, a stella, a raggi, a spine, ad anelli. E poi le radici, come grosse carote attorcigliate, spesso mostrate a bulbi, a tubercoli e in sezione, con frequenti gemmazioni, intrecci e collegamenti.

Come meduse

A volte le piante sembrano animali acquatici, meduse vegetali che nuotano nella pagina, le radici serpentiformi. Abbondano cascate decorative di fiorellini, foglie arricciate su sè stesse, protuberanze spinose ma credibili.

Nel foglio 57v ecco la prima grossa novità: un «mandala» di cerchi concentrici e lettere varie e nella circonferenza più piccola quattro figure umane, due di faccia e due di schiena, attorno a una sorta di fiore, o di nuvola. Nella pagina successiva, senza illustrazioni, un’altra novità. Il testo è scandito da tre disegni che potrebbero essere fiori che sembrano stelle alpine o, se si preferisce, stelle che sembrano fiori.

Segue un’altra serie di piante fino al foglio 66r dove appare (forse) un elenco di simboli circondati da parole e in basso sulla sinistra la sagoma di una donnina, nuda e sdraiata, accanto ad alcuni elementi grafici di difficile decifrazione con tanto di didascalia, naturalmente incomprensibile. È la prima di molte altre figure femminili del manoscritto.

I simboli astrologici

Volti pagina e trovi altri «mandala», questa volta dipinti in rosso e blu che sembrano rimandare a simboli astrologici: stelle, luna, pianeti, chissà? Idem nel doppio foglio successivo dove, a destra parrebbe esserci un sole dai cui raggi si diramano le stelle, come nei tre fogli del 68r e del 68v dove i motivi sono assai decorativi, spiraliformi e ricordano certe antiche piastrelle di maiolica.

Dopo un paio di pagine simili ecco quello che sembra una specie di zodiaco con al centro due pesci mostruosi e nei cerchi periferici donne nude dentro ceste, o tinozze, legate a una stella o a un fiore (chissà?) con le solite didascalie tutt’intorno. Stesso discorso nel foglio successivo, ma al centro c’è una capra con le corna ricurve che bruca un cespuglio. Seguono altre donne, molte, che toccano le stelle, ma questa volta sono vestite (foglio71r). Non ci attardiamo su altri fogli simili dove la variabile più significativa è una donna con la corona in testa, spoglia, fra molte altre a capelli sciolti, sempre con una stella o un fiore in mano.

Le «bagnanti»

E poi c’è il mistero delle «bagnanti». Le chiamiamo così perché dal foglio 75r cominciano ad apparire le solite donnine svestite che però sembrano immerse in una sorta di canale, un rivo, un laghetto. Una di loro galleggia nel liquido che però è verde e c’è un collegamento ad un altro «laghetto» dove sguazzano altre sei donne (vedi illustrazione a sinistra).Sono circondate da un lungo testo: una pagina bellissima. Ancora più intrigantequella successiva dove le donne, dieci in tutto, sono sempre nell’«acqua» verde ma vengono irrorate dall’alto come da rivoli che piovono da una sorta di fontana celeste sopra le loro teste.

Strane anatomie

Questa cosa delle «donne acquatiche» prosegue per vare pagine. A volte, come nel foglio 76v, a bordo foglio con figurine sospese sopra strani tubi forse vegetali. Si ha l’impressione, nel foglio 77r, che le femmine si muovano dentro organi umani interni, perché spuntano da quelle che sembrano grosse vene, tessuti corporei vari, parrebbero intestinali, ma non c’è un filo di sangue.

Poi i temi si mescolano; quello delle donne immerse nella pozza verde e connesso a tessuti spezzettati e veniformi che partono da oggetti che sembrano pigne rovesciate da cui sgorga una specie di fluido verde-blu. Alle pozze verdi a un certo punto si affacciano o si abbeverano animali vari, c’è pure una specie di pesce che inghiotte le gambe di una donna.

Liquidi e spiriti

Dal manoscritto emana una strana forza vitale fatta di liquidi interni e spiriti femminili che li popolano in modo misterioso. Non vediamo simboli religiosi riconoscibili, non cristiani perlomeno. Scorgiamo due piccoli arcobaleni, ma forse sono solo dei ponticelli a tre strati e le donnine continuano ad apparire ovunque dentro le loro tinozze, immerse nei gangli di non si sa cosa, i piedi nell’acqua, in stagni esoterici, o in anfratti anatomici, mentre sorreggono grossi bulbi verdi da cui fuoriescono, come formiche, piccoli semi.

Nove mondi contigui

Intrigantissimi i disegni dei fogli 85v e 86r, con nove cerchi che forse rappresentano mondi a contatto fra di loro ma frantumati in centinaia di piccoli segni rotondi, a curve, a trattini, con devianze arborescenti, frammentate in spicchi blu e sempre circondate dalle solite lettere di un alfabeto ignoto. Insomma: un grande sogno, forse un incubo a occhi aperti. Qualcosa che abbiamo dentro senza saperlo. Qualcosa di verde, potente, organico e verginale che non parla alla ragione ma si affaccia, enigmatico e ammiccante, alle porte del nostro inconscio.

LUCIANA PEDROIA: IN TICINO GLI ENIGMI SONO NELLE FODERE DEI VOLUMI
Manoscritti misteriosi in Ticino? Qualcosa di intrigante c’è, anche se non è minimamente paragonabile alle vicende ipermediatizzate del codice di Voynich.

La materia è ricca e affascinante, ma dobbiamo fare anzitutto i conti con i testi antichi che abbiamo sul territorio: pochi. «È vero», commenta Luciana Pedroia (nella foto CdT), bibliotecaria alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano, «in Ticino non ci sono manoscritti particolarmente antichi. Abbiamo quattro Corali conservati alla Madonna del Sasso (ne abbiamo parlato nel Sestante dell’11 maggio scorso, ndr) che sono i più antichi conservati da noi e risalgono al XIV secolo. Si tratta di manoscritti liturgici che davvero non hanno niente in comune con codici come quello di Voynic. Abbiamo anche alcuni Corali un po’ più tardi alla Biblioteca cantonale di Lugano. Anch’essi sono testi liturgici e provengono da conventi: quelli di Lugano dal convento di Santa Maria degli Angioli e quelli di Orselina dal convento dei francescani». Sul sito e-codices (https://www.e-codices.unifr.ch), specializzato nella pubblicazione di antichi manoscritti svizzeri, sono visionabili quelli della Madonna del Sasso.

«Si tratta delle testimonianze più antiche rimaste nel nostro territorio. Dico rimaste perché sappiamo che erano presenti altri codici, come ad esempio il cosiddetto Messale di Lodrino, datato all’XI secolo, oggi conservato presso la biblioteca Ambrosiana. In ogni caso, i libri citati non pongono particolari problemi di interpretazione».

Il che non vuol dire che non esistano testi più difficili da capire. «Esatto. Ci sono manoscritti conservati in nostre parrocchie, alcuni dei quali cinquecenteschi, che comportano maggiori problemi di interpretazione. Troviamo alcuni martirologi (il martirologio, detto per inciso, è un libro della Chiesa cattolica nel quale sono registrati i nomi e le vicende dei martiri per la fede e dei santi, ndr), che in realtà contengono anche delle informazioni sugli usi e i costumi del posto».

Ma quali sono i testi in Ticino che pongono problemi di interpretazione? «Problemi come quelli posti dal codice di Voynich non ne abbiamo perché in quel caso il problema è la lingua sconosciuta. Ogni dieci anni qualcuno dice di essere riuscito a capirla, poi si scopre che non è vero. Ma una vicenda interessante riguarda alcuni frammenti di manoscritti che sono stati conservati su libri a stampa. Ad esempio, lavorando alla catalogazione dei libri della biblioteca dell’abate Fontana di Sagno, abbiamo notato un dizionario, edito nel 1550, rivestito da un foglio di pergamena manoscritta in caratteri ebraici». La questione è particolarmente interessante, spiega Pedroia, «perché con gli Indici dei libri proibiti, a fine Cinquecento, i libri scritti in ebraico furono in gran parte eliminati, almeno dalle biblioteche ecclesiastiche, e molti manoscritti ebraici sono stati smembrati e usati poi come rinforzi per le legature, perché la pergamena non veniva mai gettata ma veniva riutilizzata».

Non è un caso unico. «No, in effetti, soprattutto alla Madonna del Sasso abbiamo diversi libri rivestiti con pergamena di riuso, dove sono restituiti frammenti di testo. Quello di Sagno è particolare perché i testi in ebraico sono piuttosto rari. E infatti l’abbiamo segnalato a una banca dati che raccoglie queste testimonianze. È interessante ricostruire cosa rimane attraverso questi frammenti. Possono capitare anche scoperte inattese. Alla Madonna del Sasso, per esempio, abbiamo trovato un frammento databile al Trecento scritto in volgare, cioè in italiano medievale. Abbiamo letto e ricostruito il testo anche nelle parti mancanti ma non l’abbiamo ancora pubblicato. Ci sta lavorando un paleografo». C.S.