Il caso

Ancora «voci» e lettere sulla Giustizia ticinese

Altra polemica sulla candidatura di una giudice per la Camera di esecuzioni e fallimenti: per l’MPS il presidente dell’organo di vigilanza avrebbe contattato i deputati per «sponsorizzare» la nomina - Intanto spunta una missiva interna
© CdT / Chiara Zocchetti
Giona Carcano
14.04.2025 23:30

Non c’è pace per la Giustizia ticinese. A pochi giorni dall’amaro quanto critico resoconto del Consiglio della Magistratura, che ha ripercorso in lungo e in largo i fatti che nel 2024 hanno portato alla destituzione di due giudici del Tribunale penale cantonale (il cosiddetto «caos al TPC»), il terzo potere dello Stato è nuovamente nel mirino della politica. Di mezzo, è finita la candidata alla carica di giudice della Camera di esecuzione e fallimenti (CEF), Serena Bellotti. L’MPS, tramite un’interpellanza, solleva infatti delle «voci». Non solo: sulle candidature per il posto alla CEF è spuntata anche una lettera inviata ai deputati da parte di un dipendente della stessa Camera.

Ma andiamo con ordine, iniziando dall’interpellanza. «Negli scorsi giorni siamo stati messi al corrente – anche da parte di alcune granconsigliere e alcuni granconsiglieri – di una sponsorizzazione insistente da parte del giudice Damiano Stefani, presidente del Consiglio della Magistratura, della signora Serena Bellotti (attualmente cancelliera presso la seconda Camera civile del Tribunale d’appello)», scrivono i deputati Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi. «Se queste voci sono giunte a due parlamentari dell’opposizione, immaginiamo che sicuramente sono giunte anche al Consiglio di Stato e al Dipartimento delle istituzioni. Siamo sicuri che il Consiglio di Stato, per il tramite del DI abbia sicuramente preso contatto con il presidente del CdM per chiedere le ragioni di questa sponsorizzazione e per ricordare al giudice Stefani che è completamente fuori luogo per la funzione che riveste esporsi in maniera così spudorata, tanto da imbarazzare alcuni membri della Commissione citata».

Questo, in sostanza, il succo dell’interpellanza. Arrivati fin qui, vale la pena ricordare che la Commissione giustizia e diritti settimana scorsa ha firmato il rapporto del presidente Fiorenzo Dadò, scegliendo proprio Bellotti per sostituire il giudice del Tribunale d’appello Giorgio A. Bernasconi, che presto andrà al beneficio della pensione. Bellotti, se eletta dal Parlamento, verrà tuttavia assegnata alla CEF, il cui presidente Charles Jaques ha esercitato il diritto di opzione per il posto lasciato libero da Bernasconi al TA. Fatta questa precisazione, l’MPS (oltre a chiedere se il Governo ha chiesto spiegazioni a Stefani sulla «sponsorizzazione» della candidata) afferma che l’episodio «dimostra una volta di più che il sistema d’elezione dei magistrati è incancrenito. Tanto più che esiste la separazione dei poteri e il compito d’eleggere i magistrati spetta al Gran Consiglio». Inoltre, per l’MPS si ripropone il tema delle competenze. Secondo i due deputati, «è parere unanime che la CEF sia, tra le diverse Camere, quella più specialistica. Da quanto si è appreso, tra le candidature per questa carica vi sono persone che vantano una decennale esperienza in questo ramo particolare del diritto e ne conoscono approfonditamente la materia: Claudio Cortesi, ispettore alla CEF e Ferdinando Piccirilli, capo della Sezione esecuzioni e fallimenti del DI».

Uno scritto «personale»

Ma c’è di più. Come accennato in precedenza, negli scorsi giorni la Commissione giustizia e diritti ha ricevuto una lettera (che il CdT ha potuto visionare) in cui un cancelliere – «a titolo personale» – invitava i deputati a «ponderare bene» fra i quattro candidati (ndr: oltre a Bellotti, Piccirilli e Cortese c’era anche Brenno Martignoni Polti). E questo perché, data la sempre maggiore complessità dei procedimenti che arrivano alla CEF, è «nell’interesse non solo dell’economia tutta, ma primariamente del Cantone che il futuro presidente della CEF possa contribuire fin da subito ed efficacemente (…) al sempre maggiore carico di lavoro della Camera e che, al riguardo, il criterio determinante per la scelta dev’essere, se non esclusivamente, comunque soprattutto l’esperienza acquisita nell’evasione quotidiana di procedimenti giudiziari di esecuzione forzata». Insomma, non si tratta di una «sponsorizzazione» diretta, anche perché non vengono fatti nomi e cognomi. Ma il fine è chiaro: invitare la Commissione a puntare su candidati di lunga esperienza.

«Un problema»

Sulle due questioni appena descritte abbiamo interpellato il presidente della Giustizia e diritti, Fiorenzo Dadò. «Non ho ricevuto alcuna chiamata da parte di Stefani», taglia corto. «Ho chiesto anche in Commissione se qualcuno avesse ricevuto telefonate in tal senso, e tutti mi hanno risposto di no». Dadò va poi ad ampliare il discorso: «Inutile illudersi, ci saranno sempre degli inviti a puntare su questo o quel candidato. Non bisogna preoccuparsi più di quel tanto, purché i deputati rimangano indipendenti e oggettivi». Diversa, invece, è la lettura che il presidente della Giustizia e diritti dà della missiva inviata da un cancelliere. «È vero, abbiamo ricevuto una lettera», conferma. «Una lettera che arriva dall’interno della Magistratura e che ci invita chiaramente, pur senza fare nomi, a sostenere un candidato. Se da parte di dipendenti pubblici arrivano interferenze all’autorità di nomina tramite un atto formale, un problema si pone». Il caso, per Dadò, «sarebbe da esaminare da parte della stessa Magistratura. Ricordo che c’è la separazione dei poteri dello Stato». Come fare, allora, per evitare ingerenze? Secondo Dadò «il sistema è senz’altro migliorabile, tuttavia non demolirei tutto. La Giustizia in generale funziona e le persone nominate hanno dimostrato di saper lavorare bene. Nel processo di selezione andranno però valutati anche gli aspetti caratteriali», per evitare in sostanza quanto avvenuto nel 2024 al TPC. E proprio di migliorie al processo di nomina si è discusso in Commissione, approfondendo l’eventualità di un assessment esterno nella procedura di elezione dei magistrati al Tribunale d’appello. «Un’opzione verosimile e che utilizzeremo per la prossima nomina del TPC», chiosa Dadò. «Non è però l’unico elemento sul tavolo. L’obiettivo resta migliorare la selezione dei candidati e, dunque, la qualità di chi verrà nominato».