Strasburgo

Anziane per il clima, la CEDU condanna la Svizzera

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione all'associazione che accusa la Confederazione per violazione dei diritti umani in ambito ambientale: non ha preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici
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Red. Online
09.04.2024 11:20

I 17 giudici della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno preso una decisione sulla causa promossa dall’associazione «Anziane per il clima Svizzera»: la Svizzera è stata condannata per violazione dei diritti umani in ambito ambientale.

È la prima volta che la CEDU si occupa della responsabilità degli Stati nella protezione climatica. La Svizzera è stata condannata per aver violato segnatamente l'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ovvero il diritto al rispetto della vita privata e familiare, in quanto non ha preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Una sentenza emessa a seguito di un ricorso presentato da 2.500 donne che denunciavano «l'incapacità delle autorità svizzere di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici», che  hanno un impatto negativo sulle condizioni di vita e di salute.

Con una maggioranza di 16 voti contro uno – riferisce Le Monde –, la CEDU ha stabilito nel caso svizzero una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi della Convenzione sui diritti umani e, all'unanimità, una violazione dell'articolo 6 sull'accesso a un tribunale. La Corte ha affermato che l'articolo 8 sancisce il diritto a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla vita, la salute, il benessere e la qualità della vita. La Corte ha quindi ritenuto che l'associazione avesse il diritto di intraprendere un'azione legale per conto delle persone che potevano affermare che le loro condizioni di vita e di salute erano minacciate dal cambiamento climatico. Tuttavia, nel caso dei quattro singoli richiedenti, la CEDU ha stabilito che non soddisfano i criteri per lo status di vittima e quindi ha dichiarato le loro domande irricevibili.

Il caso

La vicenda aveva avuto inizio nel mese di ottobre del 2016, quando 459 donne in età AVS avevano chiesto al Consiglio federale di mettere fine alle sue «omissioni» in materia di protezione del clima, facendo in modo che la Svizzera desse il suo contributo a contenere l’aumento delle temperature nel limite di 1,5 gradi.

La CEDU doveva decidere se la Svizzera avesse violato la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in particolare il diritto alla vita e il diritto al rispetto della vita privata e familiare, non facendo abbastanza per combattere il riscaldamento globale (il mese di marzo ha segnato un nuovo record come mese più caldo a livello globale).

La richiesta era stata trasmessa al Dipartimento dell’ambiente, allora diretto da Doris Leuthard. Berna, nel 2017, aveva deciso di non entrare nel merito, ritenendo che né l’associazione né le quattro cittadine avessero la facoltà di presentare una simile denuncia, non essendo più colpite dal riscaldamento globale rispetto al resto della popolazione.

Il doppio no dei tribunali

Il Tribunale amministrativo federale (2018) aveva confermato questa decisione. Per poter agire, i cittadini devono essere sufficientemente colpiti nei loro diritti dalle azioni o dalle omissioni delle autorità, avevano stabilito i giudici di San Gallo. Anche il Tribunale federale (2020) aveva risposto picche. Di qui il ricorso a Strasburgo, per stabilire se sono stati violati i diritti alla vita, al rispetto della vita privata e familiare e alla salute contenuti nella Convenzione dei diritti dell’uomo. Secondo la legale delle ricorrenti, la britannica Jessica Simor, le donne in età avanzata stanno già soffrendo per gli effetti del cambiamento climatico e la Svizzera non sta facendo abbastanza per combattere l’aumento delle temperature, che nella Confederazione «è doppio rispetto alla media globale». Il caldo, aveva detto, «uccide», perché aumenta il rischio di problemi renali, attacchi d’asma, disturbi cardiovascolari e provoca sintomi particolarmente acuti negli anziani, soprattutto fra le donne. Di qui la richiesta alla Corte di ordinare alla Svizzera l’adozione di contromisure.

Da parte sua, il rappresentante legale del Governo elvetico Alain Chablais aveva detto che la Svizzera era vittima di un processo alle intenzioni. Respingendo le accuse mosse dalle ricorrenti, il legale aveva elencato le misure adottate contro il cambiamento climatico. A suo parere la Corte europea dei diritti dell’uomo «non è destinata a diventare il luogo in cui vengono decise le politiche nazionali in materia di protezione del clima».

Niente da fare per la Francia

Strasburgo ha per contro respinto il ricorso, giudicandolo irricevibile, inoltrato dall'ex sindaco ecologista di Grande-Synthe (Nord della Francia), Damien Carême, che chiedeva di condannare il governo francese per inazione climatica. Carême ha attaccato le «carenze» dello Stato francese, sostenendo in particolare che esse hanno messo la città sulla costa del Mare del Nord a rischio di inondazioni. Nel 2019, quale singolo cittadino e in qualità di sindaco, aveva già sottoposto la questione al Consiglio di Stato. Il più alto tribunale amministrativo si era pronunciato a favore del Comune, ma aveva respinto la sua richiesta individuale, inducendolo a rivolgersi alla CEDU. «Vedere la mia città sommersa tra 30 anni è insopportabile», aveva dichiarato Damien Carême, spiegando di voler «porre fine al letargo» e al «rifiuto dello Stato di agire». Carême non è stato riconosciuto come vittima, ha dichiarato la presidente della CEDU, Siofra O'Leary, che ha invece condannato la Confederazione per lo stesso motivo.

Lo stesso esito è stato raggiunto nella terza causa intentata da un gruppo di sei cittadini portoghesi di età compresa tra i 12 e i 24 anni, che si sono mobilitati dopo i terribili incendi che hanno devastato il loro Paese nel 2017. Il ricorso era diretto contro il loro Paese e contro tutti gli altri Stati dell'Unione europea, oltre a Norvegia, Svizzera, Turchia, Regno Unito e Russia, trentadue Paesi in tutto. Poiché i ricorrenti non avevano esaurito le vie di ricorso disponibili in Portogallo, la loro domanda non soddisfaceva le condizioni di ammissibilità, ha spiegato la presidente della Corte nel pronunciare la decisione a Strasburgo.

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