Tesori dei quartieri

Aprite la mappa di comunità: andiamo a Cadro

Passeggiata virtuale tra giochi d'altri tempi, fili a sbalzo e spuntini ai prigionieri
© ACVC
Giuliano Gasperi
29.10.2024 06:00

Dopo Sonvico, Cadro. Altro giro, altro regalo. Ed è davvero un regalo, quello che gli abitanti hanno fatto a tutti disegnando la loro mappa di comunità. La nostra passeggiata virtuale parte da una torre di avvistamento, anzi una Torascia, com’era chiamata. I suoi ruderi, risalenti almeno al 1300, si trovano al confine con Villa Luganese, vicino al riale di Castello. Poco distante, in località Zaréi, vi è una mulattiera protetta come bene culturale: fu costruita dagli internati polacchi durante la seconda Guerra mondiale per rendere più facilmente raggiungibile l’alpe Bolla. Restando in zona merita un cenno, come tributo alla cultura casearia, anche il Cassinèll: un cantinotto usato per la conservazione del latte e del formaggio. La vicina località Varód è conosciuta perché fino agli anni Settanta si andava a sciare o ad impararne i rudimenti, mentre il prato di Nosèra, dove crescevano numerosi noci, era il punto d’arrivo di una gara di slitte che i ragazzi di Cadro facevano partendo da Villa. Bei tempi bianchi. 

Camminando verso il nucleo, non si può non imbattersi in Palazzo Reali. Una famiglia importante, per Cadro. Tra i suoi componenti spicca la figura di Secondo Reali, figlio di Giovanni, che di solito veniva al paese natio nei giorni festivi per partecipare alla messa. Alcuni abitanti lo ricordano ancora arrivare con la carrozza. Lo soprannominavano Cocobèlo. Alla sua morte donò il Castello Reali alla Curia, che negli anni successivi lo affittò a un ente cattolico tedesco che lo usava come colonia estiva per ragazzini di origine sovietica. Nel 1977, l’allora Comune di Cadro manifestò il desiderio di acquistare il complesso per farne la sede dell’amministrazione. Riguadagnando quota, al pian Soldín c’è un gruppo di cascine dove si andava (e si va ancora) a trascorrere le vacanze scolastiche. Era una meta, con altri fini, pure per i contrabbandieri, che là depositavano merce e caricavano quella da riportare oltre confine. Fino agli anni Cinquanta, il fieno tagliato al pian Soldín si mandava a valle tramite un filo a sbalzo. Alla stazione di arrivo, a Rógia, era presente una pesa di proprietà del patriziato, poi sostituita da una panchina. È scomparso, là vicino, anche il vecchio stand di tiro, dove i bambini di Cadro andavano a raccogliere i colpi per poi giocarci.

Le tradizioni dei piccoli (oggi grandi) rappresentano un tesoro nel tesoro. La sera della vigilia dell’Epifania, muniti di campanacci, i giovanissimi si trovavano per andare a chiamare i Magi verso Sirán. Nei primi anni del secondo dopoguerra, invece, i ragazzi erano soliti andare in zona Sabionásc per lanciare degli aerei di carta verso il piano della Stampa. A proposito di giochi, ecco alcune idee provenienti dal passato: lo Stracaférma era simile al nascondino, ma senza stare nascosti e fermi in un luogo; il Cartatócc richiedeva di lanciare delle cartucce vuote contro un muro, cercando di farle rimbalzare il più lontano possibile, oppure di metterle in fila per poi colpirle con un sasso; nello Scérsc, infine, si faceva correre il cerchione delle bici con un bastone, organizzando poi delle gare. Parlando di tradizioni, ne citiamo anche una dei giorni nostri: durante l’Avvento, ogni giorno, una famiglia di Cadro apre le porte della propria casa o corte per offrire un aperitivo. Più «rocambolesca» la generosità dimostrata dai locali durante la seconda Guerra mondiale, quando il vecchio asilo ospitava la prigione per i contrabbandieri. Per farli confessare, le Guardie di confine non davano loro da mangiare, così alcune donne del paese calavano dal camino un fazzoletto con dentro un po’ di cibo.