Archie Battersbee è una vittima di TikTok?
Ieri, sabato 6 agosto, il Royal Hospital di Londra ha staccato le macchine che tenevano in vita dal 7 aprile Archie Battersbee, 12 anni. Un triste caso che ha fatto il giro del mondo, alimentando anche polemiche sul fine vita. E facendo scattare l'allarme su pericolose «mode» che spopolano online.
Cosa è successo
Archie Battersbee, 12 anni, era un giovanissimo ginnasta di talento, appassionato di arti marziali miste, che viveva a Londra con i suoi genitori. Il 7 aprile 2022 la madre, tornando a casa a Southend, nell'Essex, lo aveva trovato impiccato a una corda, privo di sensi. La corsa in ospedale non era servita a nulla, impietosa fin dall’inizio la diagnosi: azzeramento di ogni attività cerebrale, impossibile ogni possibilità di recupero. Il suo cuore batteva ancora solo perché attaccato ai macchinari. L'accaduto era stato classificato come incidente domestico (escluso l’intervento di terzi), non del tutto chiarito. E da subito era circolato il sospetto che il ragazzino avesse partecipato a una sfida, una challenge, su Internet. Anche se nessun elemento ha poi avvalorato la tesi.
#BlackoutChallenge
Come può un ragazzino di 12 anni finire impiccato all'interno delle quattro mura di casa? Quando la risposta potrebbe essere legata a uno stupido «gioco», lanciato online, fa ancora più paura. #BlackoutChallenge, la sfida del blackout, è la colpevole contro cui hanno puntato il dito negli ultimi mesi molti utenti. La sfida consiste nel legarsi al collo corde, sciarpe o cinture, per mettere alla prova la propria resistenza. Fino a svenire. Naturalmente tutto viene filmato e postato su TikTok con tanto di hashtag.
Hollie Battersbee, la mamma di Archie, ha raccontato la sua terribile esperienza per mettere in guardia i genitori sui pericoli della rete. «Per favore sedetevi con i vostri figli e parlate delle sfide online», ha dichiarato a LBC news. «È straziante. Se avessi saputo di queste sfide, avrei potuto parlare con lui anche il giorno prima. E so che sarei stata dura durante la conversazione, ma non saremmo qui ora».
Almeno sette piccole vittime
Ma Archie non è il solo ragazzino ad aver partecipato alla #BlackoutChallenge facendosi del male. Secondo un report pubblicato il 7 luglio da The Verge, la folle «sfida» su TikTok avrebbe causato la morte di sette bambini in tutto il mondo. Il social sta affrontando diverse cause legali di genitori i cui figli sono morti per asfissia girando un video e nel fascicolo di una di queste «si legge che le vittime sono in totale sette, tutte sotto i 15 anni». Quelle note sono Lalani Walton, otto anni, e Arriani Arroyo, nove anni. Lalani viveva a Temple, in Texas. Aveva ricevuto lo smartphone per il suo compleanno. Il 15 luglio 2021 ha provato a «diventare famosa» con la #BlackoutChallenge. Arriani è stata trovata senza vita dal fratellino di cinque anni il 26 febbraio 2021. A nulla sono valsi i tentativi di rianimazione e la corsa in pronto soccorso. C'è anche una vittima italiana, Antonella Sicomero, 10 anni, morta nel gennaio del 2021 a Palermo.
TikTok ha pubblicato un comunicato nel quale ha affermato di aver bloccato qualsiasi ricerca per il termine «Blackout Challenge», reindirizzando a una pagina che invita a evitare situazioni pericolose online e fornisce dei link di supporto. Tuttavia, pare che alcuni video di tentativi della challenge siano ancora presenti sulla app, e non siano stati ancora rimossi, figurando nella sezione «Per te» di alcuni utenti.
La causa
La famiglia di Arriani Arroyo, del Wisconsin, ha citato TikTok in tribunale, come riporta ABC News. Matthew Bergman, fondatore del Social Media Victims Law Center e avvocato del caso, ha dichiarato che la causa è focalizzata sulle preoccupazioni di TikTok per la redditività, presumibilmente senza riguardo per gli effetti dannosi che la sua ingegneria può avere sugli utenti più giovani della piattaforma. «Questo è un caso per salvare i bambini. Intendiamoci, i bambini vengono inviati a queste sfide dagli algoritmi di TikTok. Questo non è un caso e non è una coincidenza». Bergman e la famiglia Arroyo affermano che eventi tragici come la morte di Arriani e Lalani erano prevedibili e prevenibili dalla piattaforma social che, secondo loro, promuove la «dipendenza ingegnerizzata», una caratteristica usuale su molte piattaforme di social media popolari che include «lo scorrimento continuo, i tag, le notifiche e le storie dal vivo. TikTok progetta il suo prodotto di social media per mantenere gli utenti, e in particolare i giovani utenti, coinvolti più a lungo e tornare per di più».
Contattato per un commento, un portavoce di TikTok ha inviato ad ABC News una dichiarazione (rilasciata lo scorso anno) dalla società: «Questa inquietante "sfida", di cui le persone sembrano venire a conoscenza da fonti diverse da TikTok, precede da tempo la nostra piattaforma e non è mai stata una tendenza di TikTok. Rimaniamo vigili nel nostro impegno per la sicurezza degli utenti e rimuoveremmo immediatamente i contenuti correlati se trovati».
La lotta dei genitori di Archie
I genitori di Archie Battersbee hanno lottato per mantenere il figlio attaccato alle macchine che lo tenevano (ufficialmente) in vita, ricorrendo a tutte le vie legali del sistema britannico ed europeo. «Era un bambino così bello. Ha lottato fino alla fine e sono così orgogliosa di essere la sua mamma», ha detto ieri tra le lacrime Hollie Dance davanti all'ospedale annunciando la morte del figlio avvenuta alle 12.15, due ore dopo da quando è stata tolta la spina al supporto vitale.
Il padre, Paul Battersbee, nei giorni scorsi aveva tentato l'ultima carta ricorrendo all'Alta Corte, alla Corte d'Appello e alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per ottenere il trasferimento del ragazzino in un hospice e garantirgli «una morte degna». Ma la CEDU ha respinto la richiesta stabilendo che Archie doveva rimanere al Royal London di Whitechapel. A quel punto un portavoce del Christian Legal Centre, che ha sostenuto legalmente la famiglia Battersbee, ha dichiarato ai media che tutte le vie giudiziarie erano state esaurite. Negli scorsi giorni anche su Vatican News era apparso un articolo che difendeva il diritto a decidere dei genitori: «Archie non è una foglia secca, è un bambino in carne ed ossa - scriveva Massimiliano Menichetti -. Curare non significa esclusivamente guarire, ma farsi carico: di chi sta soffrendo, di chi è debole, di chi è fragile. Questo costa molto di più, in termini economici e d’investimenti, rispetto a staccare le macchine che tengono in vita una persona, ma è lo specchio di una società che si riconosce creatura e quindi protegge e aiuta l’uomo o di una società autoreferenziale, che, avendo tagliato ogni nesso, sfrutta, distrugge e divora».
Paul Battersbee e Hollie Dance in queste settimane hanno bollato come «frettoloso, prematuro e gelido» il comportamento di medici, dirigenti ospedalieri e giudici invocando una proroga ragionevole di tempo per loro figlio. La battaglia dei familiari è stata sostenuta sui social, con manifestazioni, da associazioni religiose pro life e persone comuni. L'ultima spiaggia sembrava la possibilità di portare Archie in Italia o Giappone per continuare le cure, ma è stata negata.
Una triste vicenda che si è conclusa con la morte di un ragazzino di 12 anni. «Dal 7 aprile, non credo ci sia stato un giorno che non sia stato terribile. È davvero dura, sono piuttosto distrutta - ha infine dichiarato la madre di Archie davanti alle telecamere -. Ho fatto tutto quello che avevo promesso al mio bambino».