L'intervista

«Ascoltiamo il mondo e la Chiesa, cerchiamo di metterli in dialogo»

Il celebre e importante quindicinale dei gesuiti La Civiltà Cattolica ha iniziato in maggio il suo 175. anno di vita – Il portoghese padre gesuita Nuno da Silva Gonçalves al 1. ottobre scorso è il primo direttore non italiano di La Civiltà Cattolica – Raramente rilascia interviste, ciononostante ha accettato la richiesta del Corriere del Ticino
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Maria Cristina Minicelli
08.05.2024 06:00

Il celebre e importante quindicinale dei gesuiti La Civiltà Cattolica – la più antica rivista di cultura ancora attiva in lingua italiana, edita dalla Compagnia di Gesù – ha iniziato in maggio il suo 175. anno di vita. Dal 2018, alla rivista si è aggiunta la collana monografica Accenti, persino in coreano, con uscite dedicate a personaggi come Pier Paolo Pasolini.

Il portoghese padre gesuita Nuno da Silva Gonçalves, già Rettore della Pontificia Università Gregoriana e docente nella Facoltà di Storia e Beni culturali della Chiesa, dal 1. ottobre scorso è il primo direttore non italiano di La Civiltà Cattolica. Raramente rilascia interviste, ciononostante ha accettato la richiesta del Corriere del Ticino: eravamo curiosi, infatti, di sapere come procede questa sua nuova attività.

A cosa si deve il processo di internazionalizzazione iniziato da padre Antonio Spadaro, cui lei è succeduto come direttore?
«L’ internazionalizzazione dà grande ricchezza alla rivista e consente di raggiungere i lettori che essa non riuscirebbe a raggiungere, se distribuita solo in italiano. La strategia presenta due aspetti. Il primo è nel carattere degli autori. Di per sé la rivista è italiana, fondata a Napoli nel 1850, ma poco dopo trasferitasi a Roma sotto la responsabilità dei Gesuiti italiani. Negli ultimi anni si è arricchita della collaborazione di gesuiti di molti altri Paesi, proponendo uno sguardo più ampio e diversificato. Inoltre, è vero che gli scrittori italiani sono diminuiti. Abbiamo trovato nuovi collaboratori e le voci ‘da lontano’ sono molto arricchenti sulla realtà del mondo, della società, della gente. Il secondo aspetto si trova nell’internazionalizzazione dei lettori. Oltre all’italiana abbiamo altre sette edizioni in sette lingue, nate quasi tutte da iniziative autonome, locali, che la direzione della rivista ha incoraggiate. Si tratta di richieste dagli stessi Gesuiti, come in Corea, o da un’editrice, come in Francia, che traduce gli articoli, ceduti per contratto, che in quasi tutte le edizioni vengono scelti dai responsabili e solo dopo tradotti, in modo che la diversità di argomenti presente nell’edizione italiana si rispecchi anche in altre lingue. Tutte le altre edizioni sono solo digitali, tranne in Brasile, dove l’edizione in portoghese, l’ultima nata, è solo cartacea. Le edizioni in spagnolo e in cinese sono prodotte da noi, qui a Roma, sotto la nostra responsabilità amministrativa e anche economica».

Pensa di proseguire la linea editoriale di padre Antonio Spadaro? Quali le innovazioni che sta meditando?
«Ogni direttore dà un’impronta personale, nonostante la sostanziale continuità. Comunque, le scelte editoriali e i contenuti sono appannaggio del Collegio degli Scrittori. È poi la redazione a prendere le decisioni principali. La rivista non è combattiva come nel 1850 nella difesa del Papa, sovrano degli Stati Pontifici. Noi ascoltiamo il mondo e la Chiesa. A volte questi due mondi non si capiscono, noi cerchiamo di metterli in dialogo, creando un ponte tra le due realtà. Il nostro scopo è di parlare del mondo alla Chiesa e di parlare alla Chiesa del mondo. La rivista si occupa di politica internazionale, di società, di economia, di arte e letteratura, di cinema, della vita della Chiesa, del magistero, dei documenti pontifici, in modo che il lettore trovi un’ampia realtà. La mia ambizione è che il lettore quando scorre l’indice, possa dire ‘ci sono almeno due o tre articoli che voglio proprio leggere’».

Il fatto di essere stato rettore della Gregoriana la aiuta nel nuovo impegno, essendo il primo direttore non italiano di questa rivista globale e romana?
«Penso che i superiori della Compagnia abbiano voluto sottolineare il carattere internazionale della rivista. Continuo come docente in Gregoriana, dove abbiamo studenti di 125 Paesi diversi, la maggior parte non italiani e più della metà non europei, con conseguenze dirette su come si pensa, su come si insegna e su come si scrive. In un simile contesto, si diventa più sensibili alla diversità geografica e culturale; lo sforzo del professore è di parlare a tutti e di essere compreso da tutti. Penso sia questo l’atteggiamento anche quando si scrive per una rivista come Civiltà Cattolica, sapendo che sarà tradotta in altre lingue. È una sfida costante ».

Pubblicate articoli su nazioni poco conosciute. La Civiltà Cattolica mostra un tracciato, mi riferisco a uno degli ultimi sul Madagascar, esaustivo e puntuale nella descrizione di eventi in ombra: il lettore non si perde.
«Trattando diversi argomenti, sapendo che i lettori non sono in genere specialisti, come per il Madagascar, il nostro modo di scrivere dev’essere accessibile, con informazioni basilari, ma non siamo una rivista di politica internazionale. I nostri articoli, avendo diversità nelle tematiche, devono adottare un linguaggio accessibile rivolto a un pubblico di cultura medio-alta. Cerchiamo di fare una lettura degli eventi, della storia, della società alla luce dei valori cristiani».

È interessante l’approccio nei confronti delle encicliche di papa Francesco, che generano discussioni: La Civiltà Cattolica approfondisce aspetti forse non sempre comprensibili.
«Noi assumiamo la funzione pedagogica di trasmettere, di spiegare il magistero della Chiesa, in particolare il magistero pontificio. Fa parte della nostra missione, lo facciamo con papa Francesco, lo facevamo con i precedenti pontefici. Manteniamo uno sguardo non immediato, non entriamo nelle polemiche del giornale quotidiano. Al documento pontificio, il giorno dopo non segue il nostro articolo. Prendiamo tempo, assimiliamo, cerchiamo di capire le motivazioni, il contesto, in modo da offrire ai lettori una presentazione lontana dalle emozioni immediate, ci auguriamo più approfondita, in cui si sottolinea l’aspetto più importante».

Avete trattato il problema degli abusi sessuali. Mi riferisco al suo articolo sul Portogallo, a quello di padre Lombardi sulla Francia e a quello di padre Hans Zollner sulla Svizzera. Non ci aspetteremmo argomenti tanto delicati trattati in modo esaustivo riportando anche la documentazione con le percentuali...
«Penso sia parte della nostra missione, parliamo della Chiesa con la sua storia di luci e ombre. Sicuramente la piaga degli abusi fa parte delle ombre, è una realtà che solo recentemente è nota in modo più approfondito, dettagliato. Ha fatto soffrire in primo luogo le vittime, come ripete papa Francesco, che sono al centro della preoccupazione della Chiesa. Ci rendiamo conto della sofferenza inflitta e questa sofferenza si riversa sulla Chiesa stessa. La Chiesa soffre con le vittime, si rende conto del male provocato. Questa tempesta fa sì che la Chiesa abbia deciso di accompagnare le vittime, di ascoltarle, di collaborare nella cura delle loro ferite; allo stesso tempo ha deciso di lavorare nella prevenzione degli abusi, di studiare le cause di questo fenomeno sconvolgente e triste. Il nostro sguardo, come ho scritto nel primo editoriale ‘ Diffondere un messaggio di speranza’, si rivolge al ‘come’ possiamo aiutare le vittime e al lavoro di prevenzione, in modo che queste situazioni non si ripetano. La speranza non è un ideale astratto. Se è speranza, bisogna impegnarsi affinché divenga realtà, questo è quanto la rivista cerca di rispecchiare. La conoscenza dei fatti non è sufficiente, si deve andare oltre, lavorando in modo che la Chiesa offra ambienti in cui tutti si sentano protetti».

Un altro argomento da lei affrontato è il senso pastorale della benedizione, espresso nella Fiducia Suplicans e non solo, per cui la Chiesa è divisa, anzi critica verso l’apertura di papa Francesco alle coppie non eterosessuali.
«La Dichiarazione e i successivi chiarimenti hanno ribadito che la Chiesa non ha cambiato nulla sul matrimonio e sulla visione della sessualità. Ha fatto passi di avvicinamento alle realtà, soprattutto quelle viste come irregolari. La Chiesa ha la missione, il compito, l’obbligo di accompagnare queste persone e di farle crescere nella scoperta della volontà di Dio, secondo una prospettiva che la teologia morale chiama legge della gradualità. Non si tratta di dire alla persona ‘va tutto bene’, infatti, siamo tutti peccatori, per cui l’atteggiamento pastorale è di accompagnamento e di cammino con le persone, non per lasciare tutto com’è, ma per far sì che le persone e la Chiesa possano crescere insieme nel confronto con la parola di Dio. La visione della Chiesa è esigente, cerca di rispecchiare quello che è più umano, perciò puntiamo verso ideali a volte difficili da raggiungere, ma evitando il ‘non posso far nulla’. Siamo disponibili per pregare con tutte le persone, e anche per benedirle individualmente, se una benedizione può essere d’incoraggiamento alla crescita. Non si tratta di approvare unioni non compatibili con il Vangelo e il Magistero della Chiesa, bensì di ascoltare, accompagnare, aiutare a discernere e incoraggiare ad avere una vita più conforme alla verità che si riconosce quando uno si trova con sincerità davanti a Dio. Mi pare importante creare un ambiente di preghiera. Le decisioni fondamentali si prendono nella preghiera e nel confronto con il Signore, che parla anche attraverso ciò che la Chiesa insegna».

La rivista con la newsletter Abitare la possibilità si è aperta ai giovani scrittori gesuiti.

«I giovani sono il nostro futuro. Dobbiamo investire anche nella sensibilità alle loro tematiche, agli argomenti di attualità per un giovane. In Abitare la possibilità ci sono commenti alla musica, a film appena usciti, da Barbie a C’è ancora domani. È importante che anche un giovane gesuita scriva con lo stile e il linguaggio corrente, che viene a lui più naturale».