Benvenuti al Narok buddista. E tu in quale inferno finirai?

In Thailandia anche i templi hanno risentito dell’emergenza coronavirus. I più conosciuti, sono stati chiusi per mesi prima di iniziare, piano piano, a riaprire. Ma quelli meno famosi, nei villaggi fuori dalle grandi città, hanno continuato ad essere accessibili e a ricevere le visite di qualche fedele. Come il Wat Mae Takrai, famoso per il suo Hell Garden, una delle poche rappresentazioni dell’inferno in versione buddista.
Il Wat Mae Takrai è stato costruito circa cento anni fa e dista un’ora di macchina da Chiang Mai, tra le montagne e le foreste del nord del Paese.
«Hai visto le statue all’ingresso?», mi dice Kruba Teainchai, un monaco molto venerato che da oltre vent’anni è l’abate del tempio. «È il Narok, l’inferno buddista, e rappresenta le sorti che avranno le persone che hanno commesso dei peccati quando erano in vita». Quelle punizioni in particolare, mi spiega, sono destinate a coloro che hanno rubato. «Vengono rappresentate alte, almeno si possono vedere da lontano», aggiunge Kruba mentre le indica. «E l’albero con le persone che stanno salendo?», gli chiedo. «Quella sorte tocca a chi ha tradito la moglie o il marito».
Le possibili destinazioni
Per la concezione del buddismo Theravada, quello praticato in Thailandia, le possibili destinazioni dopo la morte, prima di poter rinascere, sono – oltre al paradiso e all’inferno – i regni degli uomini, dei fantasmi, degli animali e dei demoni. Kruba Teainchai mi spiega che ci sono «otto livelli dell’inferno» e che «ognuno di questi è al centro di altri sedici inferni ausiliari». Quindi, un totale di ben 136 inferni. I principali sono: Sanjiva (l’inferno di coloro che rivivono continuamente), Kalasutta (l’inferno della corda nera), Sanghata (l’inferno della frantumazione), Roruva (l’inferno urlante), Maha Roruva (il grande inferno urlante), Tapana (l’inferno del fuoco che brucia ferocemente), Maha Tapana, (il grande inferno del fuoco) e Maha Avici (il grande inferno della sofferenza senza tregua).


Secondo la cultura thailandese, prima di arrivare in uno di questi, si incontra Phayayom, il Re degli inferi. Sarà proprio lui a decidere del destino temporaneo, a seconda della gravità dei peccati commessi. Una sorta di giudice, «il signore della giustizia», la versione thailandese di Yama, il Dio indiano della morte. I suoi assistenti sono due guardiani che tengono il registro di tutte le azioni passate. La leggenda racconta che quelli considerati buoni vengono registrati in un libro d’oro, mentre quelli considerati cattivi su un libro fatto di pelle di cane. I peccati che assicureranno un posto in uno dei vari inferni sono numerosi e si basano principalmente sui cinque precetti su cui si fonda il buddismo Theravada: non uccidere animali, non rubare, non tradire, non mentire e non intossicare il proprio corpo con droghe o alcol.
Le differenze col cristianesimo
Il Narok si differenzia sotto vari aspetti dall’inferno cristiano. I condannati, infatti, non sono giudicati da una entità esterna e superiore, ma ci si ritrovano per la legge del Karma, vista come un principio di causa-effetto delle proprie azioni. Il Karma, che può essere tradotto come «azione», secondo l’antica filosofia indiana, è il frutto dei quello che si compie durante la propria esistenza e che determinerà una diversa rinascita e un diverso destino nel corso della vita successiva. Inoltre, le punizioni non sono eterne, ma limitate nella durata a seconda del peccato commesso. Nella cosmologia buddista, infatti, nulla è infinito, i fedeli muoiono e rinascono costantemente. Infine, il Narok, può essere considerato sia come un luogo fisico e sia come un semplice stato mentale. «Anche se il concetto dell’inferno può essere interpretato puramente a livello simbolico, la funzione immediata della loro raffigurazione fisica è uno strumento pedagogico per avvertire i devoti dei pericoli che corrono se non seguiranno alla lettera i precetti buddisti», scrive Stephen Bessac sul libro Narok. Visions of Hell in the Kingdom of Siam. «L’inferno come luogo di sofferenza è un concetto comune in molte civiltà, l’uso di illustrazioni per insediare la paura è un efficace strumento di propaganda per gli abati per far tornare la “pecora randagia” nella retta via degli insegnamenti del Budda».


La pedagogia del terrore
«Voglio far sì che le persone che visitano questo posto si spaventino il più possibile», mi dice l’abate Pra Kru Vishanjalikon, che al Wat Mae Kaet Noi, nel distretto di San Sai, sempre nella periferia di Chiang Mai, ha realizzato una delle rappresentazioni del Narok più crude e inquietanti del Paese, dove si trovano anche raffigurazioni di orge e stupri. «Voglio che le persone che vengono qua abbiano paura dell’inferno e del peccato, voglio farli vergognare affinché si comportino sempre bene e seguano i precetti buddisti».

La storia della rappresentazione dell’inferno al tempio Mae Kaet Noi è molto particolare. Il monaco Vishanjalikon racconta che l’idea gli è arrivata di notte, ormai più di venticinque anni fa, dopo aver sognato il Narok. «Mentre dormivo mi sono ritrovato a girovagare per una città desolata, tremendamente calda e nera come la pece. Un demone rosso mi si è avvicinato e mi ha parlato. Mi disse che quando sarei tornato nel mondo terreno, avrei dovuto costruire un posto come quello che mi era apparso e avrei dovuto far vedere a tutti cosa era l’inferno», racconta. Da quel giorno, dopo aver presentato la sua idea pubblicamente, grazie alle numerose donazioni che sono arrivate, ha iniziato a costruir il Narok che viene visitato da migliaia di persone ogni anno.
Come nascono le sculture
«Spesso, quando dormo, ancora oggi, mi ritrovo in quel mondo oscuro e osservo tutto quello che c’è intorno a me. Quando mi sveglio cerco su internet se trovo immagini simili, le stampo e poi descrivo tutto nei minimi particolari agli scultori che realizzano le opere da aggiungere al giardino dell’inferno», mi spiega Pra Kru Vishanjalikon. «Molte delle visioni probabilmente mi vengono anche grazie agli studi che ho fatto nei testi antichi e le migliaia di illustrazioni che ho visto negli anni».


All’interno della visione buddista dell’inferno, esistono numerosi tipi di tortura. «La punizione specifica per ogni peccato è diversa e adattata al crimine commesso. Le persone che hanno ferito animali, ad esempio, spesso rinascono con teste di bestie e vengono torturati di conseguenza», scrive Bessac. «Gli alcolisti vengono alimentati a forza con olio bollente, i bugiardi hanno la lingua strappata da enormi pinze, le donne che hanno abortito vengono lentamente schiacciate da una morsa o devono nutrire tutti i bambini abortiti con il proprio sangue», si legge sul libro. La dannazione finirà solo quando tutte le cattive azioni fatte in precedenza saranno scontate, per poi iniziare, di nuovo, un’altra vita a seconda dei meriti guadagnati, fino al raggiungimento dell’illuminazione, che è l’obiettivo di ogni buddista, e permetterà la fine di qualsiasi dolore terreno.
Sete e fame insaziabili
I peccatori possono anche nascere nel «Regno dei fantasmi sofferenti» o dei «fantasmi affamati», chiamati Phii Praed. La loro sofferenza è maggiore della variante puramente umana e comporta una sete e una fame insaziabile. «L’incapacità di soddisfare la loro sete e fame è una metafora dell’avido egoismo senza limiti che hanno manifestato quando erano in vita. A volte sono rappresentati mentre sono costretti a mangiare animali morti. Di solito sono molto alti, con un’enorme pancia sporgente e una bocca minuscola, in modo che non possano mai ingerirne abbastanza», spiega Kruba Teainchai. Poi, sorridendo, aggiunge che «esiste anche un posto pacifico e sereno, basta essersi comportati bene». Nella visione buddista, infatti, prima della rinascita, sempre se non sono stati commessi peccati, esiste anche una sorta di paradiso, dove le persone vivono in pace, circondati dalla luce che sconfigge le tenebre.