Digitalizzazione

Bitcoin, tra gli ideali libertari e la difficile realtà dei fatti

Il Plan B Forum al Palazzo dei Congressi di Lugano è alla sua terza edizione - Le considerazioni del banchiere Antonio Foglia e del professore di finanza Giovanni Barone Adesi
©Gabriele Putzu
25.10.2024 23:45

Fuori due Aston Martin scintillanti in esposizione. Dentro conferenze su libertà e inclusione finanziaria. È successo parecchio nel mondo della criptovaluta più famosa, dopo il Forum dell’anno scorso: in gennaio l’approvazione dei fondi ETF spot su Bitcoin, in aprile l’halving, il dimezzamento della ricompensa ai «minatori» che estraggono nuove monete, e infine il raggiungimento di un massimo storico, anche se per breve tempo, del Bitcoin. Nel frattempo, i terminali di pagamento POS, forniti ai commercianti di Lugano da parte della Città e dal partner Tether, continuano a prendere più polvere che pagamenti in Bitcoin. Ciò si può tradurre, almeno per quanto riguarda le nostre latitudini, in una preferenza della criptovaluta per la sua proprietà di riserva di valore piuttosto che mezzo di scambio. Anche perché «data sua volatilità», come ha commentato l’economista e banchiere Antonio Foglia, contattato a margine del Forum, «Bitcoin non può essere considerato come unità di conto». Anche in qualità di riserva di valore ha espresso la sua perplessità, in quanto «asset tremendamente speculativo e autoreferenziale perché non ha un valore intrinseco ma solo un prezzo che dipende esclusivamente dal fatto che esista qualcuno disposto a comprarlo. Gli asset tradizionali sono riusciti per secoli a proteggere dall’inflazione e discontinuità istituzionali».

Giacomo Zucco, imprenditore e volto noto nella comunità Bitcoin che abbiamo intercettato fra i corridoi di Palazzo dei Congressi, riguardo al valore intrinseco di Bitcoin ha spiegato che si tratta di «una frazione della prova matematica di aver svolto un lavoro termodinamico nel mondo fisico». Ovviamente questo lo ha spiegato dopo aver - passateci il termine – «screditato» le monete fiat, quelle emesse dalle banche centrali. Infatti, una ricorrenza che si sente spesso nella comunità Bitcoin è che, per spiegare l’utilità della criptovaluta in questione, innanzitutto si espone il discredito attuale dei governi a causa del proprio debito pubblico in aumento.

«La corsa dei cavalli»

«Abbiamo assistito a uno dei più grandi lanci di ETF della storia», come ha spiegato oggi nella sua conferenza Erich Balchunas, analista di Bloomberg, «con 10 fornitori di ETF su Bitcoin lo stesso giorno e con una velocità record nel raggiungere il miliardo di afflussi». A proposito dell’avvento dei fondi ETF su Bitcoin, abbiamo contattato il professore di teoria finanziaria all’USI, Giovanni Barone Adesi, che ha commentato spiegando che «Gli intermediari finanziari offrono i prodotti richiesti dal pubblico». Riguardo alla possibilità di Bitcoin di venire considerato come una vera e propria riserva di valore, Baroni Adesi ha aggiunto che ciò «presume che il pubblico continuerà a interessarsene» e che secondo lui, sarà probabilmente così «nel breve termine, ma è dubbio a lungo termine». E a proposito del fatto di avere un prodotto finanziario deflativo, il professore ha spiegato che potrebbero essere creati dei prodotti su criptovalute con gli stessi principi, inflazionando così il mercato dei prodotti deflativi. Secondo Giacomo Zucco, l’entrata dei grandi gestori di fondi d’investimento mina in parte gli ideali di Bitcoin per quanto riguarda le caratteristiche di incensurabilità e sound money: «un’ETF è confiscabile e censurabile. Inoltre, noi non possiamo sapere con certezza se il custode dei bitcoin dei fondi ETF abbia effettivamente i bitcoin o se sta facendo riserva frazionaria vendendo bitcoin inesistenti». E riguardo alla volatilità? Zucco ha commentato che: «La volatilità è un male ma accresce la capitalizzazione di mercato. Inoltre, gli strumenti finanziari la dovrebbero ridurre». Secondo Barone Adesi «se aumenta la domanda ci sarà maggiore volatilità. L’offerta, strutturalmente limitata, implica scarsa liquidità».

Libertarismo e liberismo

Una buona parte della comunità Bitcoin, anche definiti «massimalisti del Bitcoin», abbracciano alcune teorie della scuola economica austriaca di inizio ‘900. In particolare, il fatto di additare l’offerta monetaria espansiva e la riserva frazionaria delle banche come principale causa d’inflazione e conseguente riduzione del valore del denaro. Dunque, credono essere una buona idea, come spiegato da Zucco, «proporre un’alternativa al mainstream keynesiano» con l’avvento di una sorta di «Bitcoin standard», contraddistinto da un sistema monetario con quantità fissa di moneta, simile a un ritorno al Gold standard. Data la scarsità assoluta, «i governi non avrebbero la possibilità di creare debito infinito per programmi di warfare e il Bitcoin ha caratteristiche di trasferibilità migliori dell’oro».

Il banchiere Antonio Foglia, nonostante il suo approccio liberista, riguardo alle critiche al sistema attuale ha spiegato che «dopo la crisi finanziaria del 2008 abbiamo assistito a un’espansione senza precedenti dell’offerta di moneta che tuttavia non ha portato ad alcun aumento dell’inflazione, contrariamente alle attese». E questo perché «il credito erogato all’economia dipende non solo dalla disponibilità o meno delle banche a erogarlo, ma anche da quella di imprenditori e consumatori a indebitarsi. Il desiderio di indebitarsi è influenzato in parte dal livello dei tassi di interesse, ma soprattutto, come visto negli ultimi 15 anni, dall’umore degli animal spirits’. Se non c’è ottimismo, nessuno investe e tutti risparmiano di più». Riguardo a un ritorno a un simil-Gold standard, Foglia ha commentato che «il sistema aureo crollò per ragioni che vanno ben oltre il desiderio dei governi e dei banchieri di inflazionare. In realtà ha poco senso vincolare l’offerta di moneta a una merce la cui offerta è rigida. E questo perchè vuol dire che al crescere con la produttività e la demografia dei beni e servizi offerti, il loro prezzo dovrebbe scendere. Di per se non è un male, dopotutto gli imprenditori sono abituati alla deflazione per rimanere sul mercato. Ma vi sono prezzi importanti che hanno rigidità verso il basso: e cioè i salari».