Borna Coric: «È stato un onore aver giocato con Federer»

Borna Coric è alla sua prima esperienza al Challenger di Lugano. Oggi il debutto. Il croato è a caccia di punti preziosi per tornare a scalare il ranking ATP, che nel 2018 lo vedeva issato alla 12. posizione. Il 28.enne sogna ancora un torneo del Grande Slam, da affiancare in bacheca al Master 1000 di Cincinnati del 2022.
Signor
Coric, come sta?
«Molto
bene, grazie. Sono contento di essere a Lugano. Sono arrivato qui già venerdì
sera per ambientarmi e godermi questa splendida città».
È la
prima volta che visita il Ticino?
«In realtà
no, ero già venuto un paio di anni fa. Lugano è molto bella, stamattina mi sono
gustato un buon caffè con vista lago. Non male (sorride, ndr). La città è calma
e pacifica, mi sembra di essere in vacanza. All’interno del Padiglione Conza si
è sempre circondati da tante persone e il rumore è costante. L’ambiente esterno
è dunque perfetto per staccare. Invece, per quanto riguarda il torneo, sì, si
tratta di un debutto. E le sensazioni sono buone».
A che
età si è avvicinato al mondo del tennis?
«Avevo
quattro anni e mezzo quando ho calcato per la prima volta un campo. Quando ne
ho compiuti otto ho poi detto a mio papà che volevo diventare un giocatore
professionista. E ho sempre lavorato per arrivare dove sono ora. Questo è il
mio sogno».
L’inizio
della sua carriera è stato contrassegnato da tante vittorie e da una scalata
rapida del ranking. Per dare un’idea: nel 2014, quando aveva appena 18 anni,
l’ATP le ha assegnato il premio di «esordiente dell’anno», riservato al
giocatore più giovane nella top 100. Che ricordi ha di quegli anni?
«Ho in
mente sensazioni molto belle. Il mio tennis girava bene e le aspettative erano
alte. Cosa che mi dava energia, invece che generarmi pressione. Ho ben presto
scoperto che riuscivo a tramutare i nervi tesi in punti sul campo.
Caratteristica che mi ha sempre accompagnato. E non solo nel mondo del tennis,
ma anche nella vita privata. Saper gestire situazioni complicate trasformandole
in momenti da cui si può trarre forza è un aspetto fondamentale anche nella
routine di tutti giorni».


Era
ancora giovanissimo quando per la prima volta incrociò la racchetta con un big
del circuito. Parliamo di Andy Murray, che ha affrontato al suo esordio in
Coppa Davis con la squadra croata, nel settembre del 2013. Da quell’incontro
uscì sconfitto, ma non passò molto tempo prima di centrare la sua prima
vittoria contro uno dei primi dieci giocatori al mondo. Il 24 ottobre del 2014,
nei quarti dell’ATP 500 di Basilea, mise al tappeto Rafael Nadal (n. 3 al
mondo) per 6-2 7-6. Che emozioni ha provato incontrando mostri sacri del loro
calibro?
«Fantastiche.
Ero effettivamente molto giovane quando ho fatto le mie prime esperienze al
cospetto di questi grandissimi giocatori. Non sapevo cosa aspettarmi, non
immaginavo come avrei potuto batterli. Trovarmi lì, in un campo storico, con un
enorme pubblico… Insomma, un’emozione unica. Tra l’altro i miei migliori match
sono proprio stati quelli al cospetto dei migliori. Forse perché quando
l’atmosfera si fa così calda qualcosa in me si sblocca e tiro fuori un ottimo
tennis».
Per
sconfiggere il britannico ha dovuto aspettare l’anno successivo, quando in due
set lo eliminò ai quarti dell’ATP 500 di Dubai. 24 ore dopo toccò invece a lei
salutare il torneo. Quel giorno, ad avere la meglio, fu Roger Federer, allora
numero 2 al mondo. Cosa ci può dire della leggenda rossocrociata?
«È una
persona fantastica, dentro e fuori dal campo. Con il suo modo di giocare ha
cambiato il mondo del tennis. E io mi sento estremamente fortunato e onorato di
avere avuto la possibilità di giocare contro di lui e di aver condiviso, anche
se per poco, il circuito insieme a lui».
La sua
rivincita arrivò nel 2018 - anno in cui Federer fu n.1 uno per un totale di
otto settimane - quando lo ha sconfitto in tre set nella finale dell’Open di
Halle. Una vittoria insperata oppure in cuor suo sapeva di poterlo battere?
«Un paio di
mesi prima mi aveva sconfitto nella semifinale di Indian Wells, dunque diciamo
che i bookmakers non mi strizzavano certo l’occhio (sorride, ndr). In realtà,
però, impattai molto bene quella partita, dunque sapevo di poter dire la mia.
Anche il suo modo di giocare non era ormai più un segreto per me. L’incognita
più grande rimaneva la superficie: non ho mai dato il meglio di me sull’erba.
Scesi in campo pensando positivamente e cercando di cavalcare l’onda che genera
il ruolo di sfavorito. E funzionò. Fu una bellissima vittoria».
Lo
stesso anno entrò nella top 20 ATP, piazzandosi in 12. posizione. Il suo
miglior risultato. È stato quello il picco della sua carriera?
«Sicuramente,
insieme alla conquista del Master 1000, è stato un sogno diventato realtà.
Ammetto però di voler lasciare l’asticella ancora molto in alto: mi piacerebbe
vincere un torneo del Grande Slam. Non credo giocherò ancora per molti anni.
Oddio, non che mi senta in procinto di ritirarmi, ma penso che appenderò la
racchetta al chiodo tra un paio di anni. Non voglio chiudere la mia carriera
dopo una brutta parabola discendente. Mi piacerebbe salutare il circuito quando
sono ancora in forma, ecco perché al momento sto lavorando duramente per
tornare a un buon livello, anche a costo di ripartire dalle basi. Voglio dare
il massimo per poter aggiungere un altro importante trofeo alla mia bacheca.
L’obiettivo più grande rimane comunque quello della salute. L’importante è
stare bene e non subire infortuni. Al momento sono in forma e ne sono
felicissimo».


Chi ha
preferito sfidare tra Federer, Nadal, Murray e Djokovic?
«Domanda
difficile (sorride, ndr). Non saprei davvero scegliere. Sono semplicemente di
un altro livello. Inoltre, ognuno di loro ha uno stile diverso di gioco.
Affrontarli è stato qualcosa di unico e speciale. Mi sono sempre divertito».
Qualche
anno fa i giocatori che giravano attorno alle prime posizioni del ranking erano
sempre gli stessi. Oggi le cose sono cambiate, nelle zone calde della
classifica i ruoli tendono ad alternarsi e mutare con una certa frequenza. Lei
come legge questo dato?
«Credo sia
dovuto al fatto che il tennis di oggi è diverso da quello di qualche tempo fa.
Ciò ha portato ad avere maggior competitività tra i giocatori, aprendo il campo
a diverse nuove stelle. Una volta, se ti trovavi di fronte qualcuno che
occupava il 30. o 40. posto del ranking potevi essere quasi certo di passare il
turno. Oggi non è più così. Anche chi si trova un po’ più arretrato gioca
veramente bene. Dunque, le prime posizioni non sono mai davvero al sicuro. Al
momento in testa c’è Sinner, ed è giusto così. È il più forte».
Poco fa
ha citato il suo unico successo in un Master 1000, quello del 2022 a
Cincinnati. Torneo che ha conquistato come n. 152 del ranking. Un record: la
più bassa classifica con cui sia mai stato vinto un titolo di questa categoria.
Lei arrivava da un anno difficile: l’operazione alla spalla l’ha infatti
fermata per un anno, facendola crollare in graduatoria, dove era scivolato fino
al 167. posto. Quanta soddisfazione ha provato quando ha visto Stefanos
Tsitsipas arrendersi sul cemento di Mason?
«Innanzitutto,
confermo che le premesse non erano rosee. I mesi di riabilitazione non sono
semplici e passare ore in palestra non è la stessa cosa che allenarsi in campo.
Allo stesso tempo, però, ho imparato a vivere le cose con più calma, attendendo
con pazienza il momento giusto per tornare. Ho colto anche l’occasione per
passare del tempo con la mia famiglia e i miei amici. Tempo che solitamente si
limita a qualche visita sporadica tra un torneo e l’altro. Insomma, è stato un
periodo difficile e lungo, che al contempo mi ha insegnato tanto. Come premio è
poi arrivato il torneo di Cincinnati. Qualcosa di pregiato e inaspettato. Non
era il momento migliore della mia carriera, ecco perché la vittoria ha assunto
un sapore ancora più dolce. Credo che il mentale abbia fatto la differenza. Non
avevo pressioni sulle spalle e ciò mi ha permesso di sentirmi sereno. Quando ho
trasformato il match point ho provato un enorme sollievo. Ero tornato per
davvero».