Il reportage

Cafecito e politica: così la Florida è la nuova capitale republicana

Viaggio nello Stato in cui Donald Trump e Ron DeSantis hanno deciso di lanciare la sfida per la nomination presidenziale del partito
© KEYSTONE (EPA/CHRISTINA MENDENHALL)
Davide Mamone
10.07.2023 06:00

Il motivo per cui la Florida potrebbe essere il biglietto da visita del partito repubblicano in vista delle elezioni 2024 si capisce dall’aria frizzante che si respira a Miami nei pochi minuti che separano l’aeroporto dal centro città. Decine di giovani sorridenti e pieni di vita salgono a bordo di Uber e Lyft verso South Beach – epicentro della movida sull’oceano. Little Havana, cuore della comunità cubana in Florida, è vestita a festa a ogni ora del giorno e della sera. Arrivando a downtown, il numero di cantieri aperti non si riesce a contare sulle dita di una mano. Il Miami Design District, a pochi isolati da lì, è ormai luogo dello shopping preferito da chi non ha paura di spendere: meno dispersivo della Rodeo Drive losangelina e più colorato della Madison Avenue newyorkese. Miami è diventata volto di un’America repubblicana che sta bene. Attrae il lusso (la seconda capitale immobiliare luxury nel mondo dopo Dubai nel 2022, secondo le stime di Knight Frank). Attrae la classe media delle grandi città sulle coste, acciaccate da affitti folli. E al tempo stesso, il mondo della politica. Non solo perché Donald Trump si è presentato proprio qui per il suo giorno in corte tre settimane fa, dopo essere stato incriminato nell’ambito dell’inchiesta sui documenti top secret dalla Casa Bianca. Ma anche perché non lontano da qui l’ex presidente e il governatore della Florida Ron DeSantis, un tempo amici, si sono lanciati il guanto di sfida per ottenere la nomination presidenziale del partito repubblicano.

Lo strano duo

Seicentosettantaquattro chilometri. È la distanza che separa Mar-A-Lago, la residenza privata di Donald Trump, dove Porsche, Mustang e Ferrari si alternano all’entrata dei cancelli, alla mansion del governatore DeSantis a Tallahassee, capitale della Florida a pochi passi dall’Alabama, alle prese con la coda della stagione dei tornado e gli inizi di quella degli uragani. Quando si nominano Trump e DeSantis, a molti torna in mente un incontro alla Casa Bianca che i due organizzarono in piena pandemia. Era il 28 aprile 2020. Trump sulla destra, paonazzo in faccia, i polpastrelli delle mani a molleggiare tra di loro. DeSantis sulla sinistra, abbronzatura filtro Florida, anche lui a far muovere i polpastrelli a ritmo. Di fronte alle telecamere sembravano in simbiosi, la fotocopia dello stesso presidente in due momenti diversi di carriera. Per la postura. Per la dialettica. E per i contenuti: entrambi impegnati a far credere a mezza America che la pandemia non fosse così tragica come gli scienziati avevano voluto far temere. Vista oggi, quell’immagine è lontanissima. Non solo perché la pandemia si è rivelata essere esattamente la tragedia che gli scienziati avevano prospettato, con più di 1,1 milione di morti solo negli Stati Uniti. Ma anche perché dal giorno della sconfitta nel novembre 2020, Trump non riesce a scrollarsi di dosso l’ombra di DeSantis, trasformatosi nel lumicino di speranza dei grandi finanziatori conservatori per salvare il salvabile dell’eredità acciaccata dei repubblicani dopo l’insurrezione in Campidoglio del 6 gennaio. «Ma io preferisco ancora Donald Trump», dice Stephen Campbell, un Uber driver che vive a Miami da quarant’anni. «Non mi piace come persona. Non mi piace come dice le cose. Non mi piace cosa ha combinato quel giorno lì», continua. «Ma quell’altro», parla di DeSantis, «non ha il carisma che serve: sembra sempre così impacciato quando parla con le persone. E con Trump l’economia volava». Stephen ha vissuto decenni a lavorare sulle navi da crociera, spola tra Miami e le Bahamas, da intrattenitore a direttore marketing, ma ha perso il lavoro con l’esplosione della pandemia. DeSantis non gli dispiace proprio perché fu lui a pretendere che venissero riaperte le crociere nell’estate di tre anni fa. Ma il carisma da presidente non si inventa, dice Campbell. E il suo pensiero sembra riassumere il timore di un numero crescente di elettori e addetti ai lavori che qui in Florida vedono nel governatore un candidato già sgonfio, nonostante la retorica di ferro e le parole di fuoco.

Le critiche poco convincenti

Perché DeSantis le sta provando davvero tutte ma nulla, in termini di comunicazione, fino a questo momento, sta funzionando. Ha attaccato Trump personalmente: «È un altro rispetto al 2015». Lo ha criticato politicamente per aver tentato un accordo su una riforma della giustizia con i Democratici quando era presidente. Di recente, la sua campagna elettorale ha anche pubblicato un video in cui ha presentato Trump come sostenitore mascherato del mondo LGBTQ+ per le sue posizioni sui temi di genere e dei matrimoni tra persone dello stesso sesso non così contrarie espresse quando era tycoon. Nonostante tutto questo e una campagna che continua a macinare milioni di dollari in donazioni, DeSantis continua a essere dietro nettamente nei sondaggi: secondo una recente rilevazione di CBS News e YouGov, l’ex presidente vola al 61%, mentre il governatore è fermo al 23%. «È come se ci fosse una base inattaccabile e inossidabile per Trump che continua ad alimentarsi con l’aumentare degli attacchi e delle inchieste giudiziarie, specialmente in Florida», dice al CdT Gregory Koger, professore di scienze politiche all’università di Miami ed esperto di elezioni americane. «Non conta più la realtà dei fatti, la solidità dei candidati, il valore dei programmi: è una logica da tifoseria che continua ad andare avanti e non mi aspetto possa cambiare». DeSantis sembra stia attaccando Trump «da destra» su temi-chiave per attrarre i conservatori, come il divieto all’aborto e la questione dell’identità di genere, dicono diversi esperti americani. Mentre l’ex presidente continua a stare comodamente poco più a sinistra di DeSantis, puntando tutto sui suoi fedelissimi e giocandosi la carta della vittima in relazione ai processi in corso. Ma il bagaglio dei candidati e le posizioni politiche sembrano contare poco: non c’è nulla di più repubblicano di Ron DeSantis su tasse, diritti, politiche migratorie, dice Koger. Eppure, fatica. Come fatica Nikki Haley, stimata ex governatrice del South Carolina, ex ambasciatrice ONU sotto Trump, conservatrice tradizionale, donna, figlia di immigrati. «Avrebbe tutto per fare estremamente bene in un mondo politico ordinario», dice il professore. «Invece è sotto il 5%, lontanissima da DeSantis e ancor di più da Trump nonostante esprima posizioni di buon senso: è la prova del fatto che qualcosa si stia muovendo diversamente in queste primarie».

Il terzo incomodo

Di fronte al Café Versailles, il ristorante cubano più famoso del mondo che accolse gli esuli della dittatura di Fidel Castro negli anni ‘70, la fila domenicale di famiglie e giovani coppie continua a essere gremita. Proprio qui Donald Trump si è presentato a sorpresa, dopo la sua seduta in tribunale alla vigilia del suo compleanno, promettendo di offrire un pasto gratis a tutti i clienti, per la maggior parte suoi sostenitori. Secondo il Guardian, Trump sembra invece abbia deciso di fare il Trump, andandosene senza pagare nonostante la promessa di Tamales e Cafecito per tutti. Un mese dopo, di quell’episodio si parla poco. Non solo perché, come dice il professor Koger, la comunità cubana è ancora indecisa su chi votare alle primarie e vede il tema lontano nel tempo. Ma anche perché l’ultima novità riguarda un terzo candidato inatteso: Francis Suarez, sindaco della città di Miami. Entusiasta del mondo crypto e oppositore di Donald Trump, il suo ruolo in città è marginale: ha vinto le elezioni nel 2017 con l’86% dei voti e nel 2021 con il 79% ma le mansioni più importanti cadono sul sindaco della contea Miami-Dade, che comprende tutti i sobborghi e le cittadine che gravitano attorno a Miami, non su di lui. «È un bravo chico (ragazzo, ndr), ma non so, onestamente, perché lo stia facendo», dice Isabel, figlia di esuli cubani, elettrice di Trump nel 2020 (come presidente), di Suarez nel 2021 (come sindaco) e di DeSantis nel 2022 (come governatore). Di Suarez se ne parla ora soprattutto perché la sua corsa a presidente potrebbe scoperchiare il vaso di pandora su un’indagine in corso nei suoi confronti: avrebbe accettato 10.000 dollari in consulenze da una società di crypto che ora sta chiedendo a lui, come sindaco, il via libera per un progetto. «Non credo abbia fatto nulla di male», dice Isabel, una mano sulla testa del figlioletto, l’altra sulla borsa pronta a prendere il suo tavolo. «Ma io voto DeSantis: mi sembra il meno peggio, nonostante tutto».

Che cosa serve per catturare l’elettorato?

© KEYSTONE (Matt Rourke)
© KEYSTONE (Matt Rourke)

Sì, ma a che cosa sono interessati gli elettori della Florida? Secondo il professor Koger, le priorità sono tre. La prima, cambiamento climatico: «Anche i conservatori più incalliti devono riconoscere gli effetti che l’erosione delle coste sta avendo sulle grandi proprietà immobiliari qui», dice il professore. «Chi sarà capace di mostrare empatia verso il problema senza cadere nel messaggio politico dei Dem, può vincere». Poi, politica estera. Un quarto degli abitanti dello stato è di origine latina e avere una posizione chiara su Cuba, Venezuela e Haiti sarà essenziale. Infine, Walt Disney. DeSantis ha fatto causa al colosso dei cartoni per aver espresso posizioni politiche contrarie alle sue sui temi LGBTQ+. «Sembra strano, lo so», dice Koger. «Ma molti vedono questo come suo punto debole: quale governatore si scaglia contro la multinazionale che produce più posti di lavoro dello stato sulla base di una posizione ideologica?». 

Gli altri candidati

Non solo Trump, DeSantis, Sanchez e Haley. A correre per la nomination del partito repubblicano sono anche l’ex vice presidente Mike Pence, il senatore Tim Scott, gli ex governatori di New Jersey e Arkansas Chris Christie e Asa Hutchinson, l’imprenditore Vivek Ramaswamy e l’ex deputato Will Hurd.

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