La tendenza

Cambia il mercato, ma c'è ancora chi prova a resistere

Le farmacie a conduzione familiare stanno via via sparendo in tutto il cantone – I negozi vengono rilevati dalle grandi catene d'Oltralpe – Due titolari di Lugano rimasti indipendenti raccontano la loro esperienza
© CdT/Gabriele Putzu
Giona Carcano
19.02.2024 06:00

«Resistere è difficile, ma per il momento ci proviamo». Anche il Ticino, cantone con la più alta disponibilità di farmacie dell’intera Svizzera (secondo gli ultimi dati dell’Ufficio federale di statistica ce ne sono quasi 6 ogni 10.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 2,1), sta vivendo il fenomeno della concentrazione di queste attività commerciali nelle mani di pochi grandi gruppi d’oltralpe.

Se fino a un paio di decenni fa il rapporto tra farmacie a gestione familiare (in cui il farmacista titolare è anche il proprietario della farmacia) e quelle controllate dalle catene era di circa cinque a uno, oggi quel rapporto si è rovesciato. «La quota occupata da farmacie indipendenti, dunque non legate ad alcun contratto di collaborazione, è di circa il 20% del mercato ticinese», ci spiega Giovan Maria Zanini, farmacista cantonale. Rispetto al resto della Svizzera questo processo è arrivato con anni di ritardo nella nostra regione. Ma, una volta preso piede, non si è più fermato.

Per scelta o per necessità

La tendenza non si avverte soltanto nelle città o nei centri commerciali, bensì sempre più spesso anche nei piccoli comuni. Farmacisti ormai prossimi alla pensione, e che magari avevano ereditato la bottega dai genitori o addirittura dai nonni, cedono l’attività ai grandi gruppi. Il motivo molto spesso va ricercato in ambito familiare: i figli o i nipoti dei titolari hanno imboccato strade diverse, e dunque l’unica opzione è cedere alle lusinghe dei grandi gruppi. Ma le motivazioni possono anche essere di carattere puramente economico, perché le offerte messe sul piatto per rilevare la farmacia sono allettanti. Oltre ad avere tutti i vantaggi commerciali del franchising: il farmacista da titolare diventa un dipendente stipendiato, pur potendo godere di autonomia sugli aspetti in ambito sanitario, come previsto per legge.

«Niente panico»

Eppure, in questa fitta rete di collaborazioni, acquisizioni e contratti, c’è ancora chi resiste. O, quantomeno, prova a mantenere la sua indipendenza. «Come faccio? A volte me lo chiedo anch’io», ci racconta Tito Chiaverio, nipote di Guido Cattaneo dell’omonima farmacia in via Luvini, nel cuore di Lugano. Chiaverio ha rilevato l’attività nel 2005, e vive il suo mestiere con grande passione. «L’unico segreto è l’impegno», conferma. «Stringere i denti e lavorare, sì. Come per qualsiasi altra attività professionale o imprenditoriale». Centrale, per chi ancora gestisce in proprio una farmacia, «è non lasciarsi prendere dal panico. Io, ad esempio, sono circondato da farmacie che appartengono ormai ai grandi gruppi. La concorrenza è forte, anche perché in zona i medici sono pochi. Ma, come tutti gli indipendenti, non conto le ore e se c’è da lavorare di più lo faccio. È per questo che stiamo ancora in piedi». Nel settore, insomma, chi si ferma è perduto. E presto o tardi verrà inglobato. «Se mi limitassi a eseguire le ricette che ricevo e seguissi solo il mercato, sarei già morto da un pezzo. Oppure avrei già mandato via tutti i miei sette dipendenti», aggiunge. «La qualità e il servizio contano ancora. Molti clienti arrivano in negozio perché mi conoscono. Ma sono cose che si costruiscono in anni di lavoro». Chiaverio, avvicinato più volte dai grossisti, ci racconta di contare molto sulla formazione dei suoi collaboratori e di puntare su settori di nicchia. «Quali? Non ve lo dico, altrimenti mi copiano». Già. Vista la grande concorrenza, meglio non rivelare ai quattro venti la ricetta del successo.

Il centro è saturo

Nel centro di Lugano altre farmacie storiche sono state vendute. «Spesso i figli non seguono. E una farmacia data in gerenza rischia di morire. Quindi si cede prima che l’attività finisca in nulla», rileva con una punta d’amarezza Chiaverio. Ad ogni modo, il mercato del centro città è saturo, come ci spiega Roberto Herklotz, titolare della Luganese, altra farmacia storica in via Pessina. «In questo contesto, come piccolo farmacista indipendente, non entri più sulla scena». Qualche possibilità in più esiste ancora, ma in periferia o nei quartieri a forte sviluppo demografico. «Il mercato è cambiato», avverte il titolare. «Per tenerti la clientela devi davvero coccolarla. Come faccio a resistere? Lo dico chiaramente: è solo grazie alla conduzione familiare e alla solidità gestionale acquisita negli anni». Altrimenti, probabilmente, anche la Luganese avrebbe chiuso o venduto. «Gli unici che arrivano sono le catene. Che spesso hanno i mezzi per accaparrarsi uno spazio ben visibile ai passanti». Oltre a un apparato marketing, come ci ricordano i nostri interlocutori, che i piccoli possono soltanto sognare e a collaborazioni (come scontistica, promozioni) dirette con le casse malati. «Un aspetto, questo, che sta sempre più prendendo piede», commenta Chiaverio.

Il cliente può fare la sua parte

Anche Herklotz, come il collega, sottolinea l’importanza dell’attenzione alla clientela come atout imprescindibile. Ma c’è un altro aspetto – comune a molte altre attività del centro – che va messo in luce. «Se è vero che la nostra è una clientela perlopiù di lunga data, è anche vero che gli stessi luganesi non conoscono e non vivono più la loro città. Ed è un peccato, perché i commercianti del centro, soprattutto se piccoli, hanno un rapporto molto meno anonimo con il cliente di quanto si creda».

Ad ogni modo, il cambiamento in atto sul mercato delle farmacie travalica le dinamiche di un centro città e si spinge ovunque, in periferia come nei piccoli comuni ticinesi. «È una concentrazione di potere, i grossisti (i principali proprietari delle catene di farmacie, ndr) ormai ci tengono in pugno», evidenzia il titolare della farmacia Luganese. «Noi piccoli cosa possiamo fare? Stiamo alle loro regole. E la verità è che dobbiamo comprare dalla nostra concorrenza. Non sono sicuro che questo sia un meccanismo sano». In definitiva, prosegue il farmacista, «sono gli stessi consumatori che potrebbero indirizzare le dinamiche di mercato. Scegliendo magari il piccolo piuttosto che la catena. Ma questo è un discorso di società, che potrebbe essere applicato in tutti gli ambiti del commercio al dettaglio».

«Giovani, abbiate coraggio»

Per una piccola farmacia, i costi di base sono elevati mentre il margine di profitto sui medicamenti si riduce. Per provare a resistere, spesso gli indipendenti si associano in «comunità di acquisto», in modo da poter sfruttare i vantaggi del mercato all’ingrosso. Tutti espedienti che servono a puntellare una situazione comunque difficile. Anche per quanto riguarda la reperibilità del personale. «Mancano farmacisti», spiega a questo proposito Chiaverio. «E spesso dobbiamo andarli a cercare in Italia. Sarebbe bello avere più ticinesi che imboccano questa strada». Ma, aggiunge ancora il titolare della farmacia Cattaneo, «per un giovane, sapere che una volta finiti gli studi andrà a lavorare come dipendente in una grande catena forse non è così allettante». Anche Herklotz condivide questo discorso, ma sprona i giovani a provarci comunque. «Noto una certa mancanza di coraggio da parte dei giovani colleghi», sottolinea. «Aprire una farmacia non è una spesa impossibile. Costa di più una casetta monofamiliare. Come ho detto il centro città è saturo, ma altrove ci sarebbe ancora mercato. A mio avviso non provarci sarebbe un peccato: buttatevi». A questo aspetto si aggiunge però un’evidenza economica: i grandi gruppi sono disposti a mettere sul piatto un’offerta più alta per rilevare una farmacia rispetto a un giovane appena uscito dagli studi. «E qui si arriva a un discorso di responsabilità da parte di chi vuole o deve cedere l’attività», chiarisce Herklotz. «Chi cede il testimone guadagnerebbe un po’ meno, ma allo stesso tempo garantirebbe l’indipendenza a chi viene dopo. Ma capisco che è molto difficile, per più ragioni. Anche perché i giovani interessati al mestiere sono sempre meno».