Giustizia

Carceri piene, spunta l'ipotesi dei container

Alla Stampa e alla Farera i detenuti sono in aumento e il sovraffollamento è costante - L’emergenza spinge la Divisione della giustizia a presentare alcune misure per correre ai ripari
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
05.02.2024 06:00

«Ogni giorno è un po’ come giocare a Tetris». Una partita infinita, che per il direttore delle strutture carcerarie ticinesi si protrae da oltre un anno, nel tentativo di trovare nuovi spazi per collocare i detenuti. «Un anno di passione», lo definisce in effetti Laffranchini, con una situazione da «tutto esaurito» che è ulteriormente peggiorata negli ultimi due mesi. E per arginare la quale il Dipartimento delle istituzioni si è attivato con una serie di misure.

Ma andiamo con ordine. Attualmente, ci viene spiegato, nel carcere penale della Stampa sono rinchiuse 150 persone, in quello giudiziario della Farera ce ne sono 86 (con appena due posti liberi), mentre allo Stampino, nella sezione aperta, i detenuti sono 34. Numeri elevati, che raccontano di un sovraffollamento delle strutture carcerarie divenuto ormai una costante per il Ticino. «Non può più essere definita una situazione temporanea ed è difficile intravedere un’inversione di tendenza. Ci sono state un paio di inchieste concomitanti, che hanno portato dietro le sbarre un numero maggiore di persone, ma non è solo questo». Già, perché a rendere unico il nostro cantone è soprattutto la posizione geografica. «Siamo un territorio di frontiera e, di conseguenza, dobbiamo fare i conti con una serie di problematiche peculiari, che negli ultimi tempi si sono acuite. Parliamo di furti a cavallo del confine, di traffico di stupefacenti e di tutti i problemi che derivano dalla migrazione». In generale, osserva Laffranchini, «non c’è stato un aumento della criminalità, ma probabilmente di un certo tipo di reati, per cui si rende necessaria la carcerazione». Ad esempio, un detenuto su due alla Stampa è incarcerato per droga. «Il 40% delle persone è detenuta per aver commesso infrazioni alla Legge federale sugli stupefacenti, un altro 10% per reati indirettamente collegati agli stupefacenti», sottolinea Laffranchini. In questo ambito rientrano ad esempio i furti alle stazioni di benzina, che spesso sono commessi da chi è in cerca di soldi per poter comprare le sostanze, oppure le aggressioni per il controllo del territorio. «Questo non significa certo che siamo un cantone di drogati. Ancora una volta, piuttosto, è conseguenza della nostra posizione geografica, che ci colloca in uno snodo centrale per il traffico di stupefacenti». Per la stessa ragione, la maggior parte dei detenuti è straniera, soprattutto al carcere giudiziario. «Siamo attorno al 70% alla Stampa, mentre alla Farera tocchiamo il 90%. Ma questo è dovuto anche al fatto che nel carcere giudiziario vengono incarcerate le persone sotto indagine per cui esiste un pericolo di fuga o di recidiva. Un rischio più marcato per chi non è domiciliato qui».

Alla ricerca di spazio

Tutto ciò, fa sì che la situazione nelle strutture carcerarie oggi sia molto complicata. «Ogni giorno - dice Laffranchini - mi confronto con i miei collaboratori e, sulla base di arrivi e partenze nelle nostre strutture, capiamo come agire». Per far fronte all’emergenza, ci teniamo pronti a recuperare 7 ulteriori posti sfruttando le celle di Polizia per la gestione dei detenuti di Lugano e Mendrisio, riservate ad adulti maggiorenni e in buone condizioni di salute. «Ma chiaramente sarebbe solo una soluzione temporanea», evidenzia il direttore. Non dovesse bastare ancora, si procederebbe al trasferimento dei detenuti in una delle altre strutture detentive del Concordato latino. «Finora è accaduto solo in quattro occasioni, ma anche in questo caso è molto complicato: anche le carceri della Romandia sono al limite, dunque normalmente si procede con uno scambio di detenuti». Insomma, «è urgente trovare una soluzione». Una posizione condivisa anche dal Dipartimento delle istituzioni. Non a caso, il consigliere di Stato Norman Gobbi ha annunciato l’intenzione di portare il tema in Governo. «Prima di tutto quale capo Dipartimento - premette Gobbi - ci tengo a ringraziare tutto il personale e la direzione delle strutture carcerarie cantonali per il grande impegno e il senso di responsabilità che stanno dimostrando in questa situazione che si sta protraendo da mesi». Una situazione «che tocca tutto il settore esecuzione pene, nonché la Magistratura e la Polizia». Nelle prossime settimane, prosegue, «porterò all’attenzione del Governo la situazione e presenterò una serie di misure per farvi fronte».

La Divisione si muove

Una serie di misure che, come ci spiega la direttrice della Divisione della giustizia, Frida Andreotti, si snodano su tre tempi: corto, medio e lungo termine. «In prima battuta abbiamo deciso di coinvolgere tutte le autorità giudiziarie e la Polizia, nell’ottica di alleviare la pressione sulle strutture carcerarie». In pratica, per il Ministero pubblico si tratta, laddove possibile, di adottare misure sostitutive all’arresto. «Ad esempio, negli ultimi mesi, consci del problema del sovraffollamento, le autorità giudiziarie stanno sfruttando maggiormente l’utilizzo del braccialetto elettronico». Oltre allo spazio, però, c’è anche il problema delle risorse umane. «Tutto il personale è molto sotto pressione», rileva Laffranchini. Non a caso, al carcere giudiziario, dove in situazioni normali è previsto un agente di custodia ogni 15 detenuti, «oggi ci troviamo a gestirne il doppio: 30 prevenuti per ciascun agente. E questo porta inevitabilmente a lavorare con maggiore pressione». Insomma, «il contingente attuale non è più sufficiente». Anche perché non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità. «Molti detenuti - spiega il direttore - sono aggressivi o mostrano comportamenti autolesionisti, e questo complica ulteriormente le cose per gli agenti». Per alleviare il carico di lavoro delle guardie carcerarie e, soprattutto, per cercare di reperire più personale, la Divisione della giustizia si è mossa su due fronti. «In primis, abbiamo pensato di reintegrare, tramite contratti a ore, gli agenti di custodia ancora in età non pensionabile che erano già in pensione. In seconda battuta, cercheremo di assumere personale già formato e proveniente da altri cantoni». In aggiunta, «per i compiti svolti dagli agenti di custodia per quanto riguarda i controlli di sicurezza all’esterno del carcere, che quindi nulla hanno a che vedere con la custodia dei detenuti (come ad esempio la ronda esterna del carcere oppure i controlli all’ingresso del palazzo di Giustizia), l’ipotesi è quella di affidare il mandato a società di sicurezza esterne o, in alternativa, agli ausiliari di Polizia». Un capitolo a parte, poi, riguarda la detenzione dei minori, soprattutto dei richiedenti l’asilo, che per legge devono stare in celle singole. «Per cercare di liberare posti, abbiamo rafforzato la collaborazione con il Centro federale d’asilo di Chiasso. In questo modo, non appena ci viene comunicato l’esito dell’esame che viene effettuato per accertarne l’età, se i richiedenti asilo sono maggiorenni possiamo procedere velocemente e gestire meglio gli spazi».

E il nuovo carcere?

A far discutere, però, potrebbe essere un’altra misura, che dovrebbe essere concretizzata di qui a qualche mese. «Per ovviare al problema del sovraffollamento, abbiamo assoluta necessità di creare nuovi spazi. Di conseguenza, sulla scorta di quanto avviene in alcune strutture della Svizzera interna, stiamo valutando di utilizzare alcuni container detentivi». Per contro, sembra tramontata l’ipotesi di trasferire una parte dei detenuti nel carcere Naravazz di Torricella-Taverne, chiuso dal 2013 e oggi utilizzato per alcune esercitazioni di Polizia. «Non è una soluzione percorribile a causa degli ingenti lavori di ristrutturazione che sarebbero necessari», dice Andreotti. A lungo termine, infine, resta il grande tema del nuovo carcere. «La Stampa, lo abbiamo chiarito più volte, è ormai giunta al termine del suo ciclo di vita. Occorre quindi progettare una nuova struttura». Per il nuovo carcere serviranno tra i 100 e i 150 milioni, «anche se un terzo dei soldi ci verrebbe poi restituito dalla Confederazione», precisa la capo divisione. «Dopo lunghe discussioni, nelle prossime settimane chiederemo al Consiglio di Stato il via libera per riattivare la pianificazione del nuovo carcere di esecuzione pena». In prima battuta, si tratterà di capire dove potrà sorgere: «Sul tavolo ci sono una decina di terreni che avrebbero la metratura necessaria, poi toccherà al Governo decidere. È chiaro, però, che per tutta una serie di ragioni organizzative, il fondo a Cadro, proprio accanto alla Stampa, sarebbe la soluzione più adeguata».

Sono passati pochi anni dalle celebrazioni - difficile parlare di festeggiamenti, per un carcere - per il cinquantesimo compleanno della Stampa. Il Penitenziario cantonale, comunque, era stato inaugurato l’8 agosto del 1968. Come aveva ricordato lo stesso Norman Gobbi in occasione del «cinquantesimo», «in precedenza il carcere cantonale sorgeva in piena Lugano, sul terreno delle Suore Cappuccine, e nacque sull’onda dell’esperienza non positiva della Casa di forza di Bellinzona, al Castel Grande». Quella struttura centrale, inaugurata il 1. luglio del 1873, con Fulgenzio Chicherio - avvocato, sociologo e umanista - quale suo primo direttore, durò quindi quasi un secolo. Prima di risultare a sua volta vetusta. Varie proposte sul tavolo - vennero scartate quelle relative a Piano del Vedeggio, Piano di Magadino, Castello di Trevano e Boscone di Biasca -, per andare oltre, ma si scelse proprio il piano della Stampa. Il cantiere, sulla base del progetto degli architetti Bernasconi, Cavadini e Jäggli, partì il 1. marzo del 1965 e venne portato a termine tre anni dopo. Tornando a citare Gobbi, «il credito votato dal Gran Consiglio con decreti legislativi del 10 settembre 1963 e del 14 aprile 1964 fu di 7 milioni di franchi; l’opera fu sussidiata dalla Confederazione nella misura di oltre 3 milioni». Il primo direttore della Stampa, dopo le dimissioni di Piero Poretti, fu Annibale Rabaglio. I disagi legati alla Stampa - in particolare per gli spazi troppo stretti - vennero a galla ben presto e raggiunsero il loro culmine nella seconda parte degli anni Ottanta. Insomma, non sono recenti, anzi...

La politica chiede correttivi in tempi rapidi

«È un problema, tanto per i detenuti quanto per gli agenti di custodia». Il sovraffollamento delle carceri ticinesi preoccupa anche la politica. «Nelle prossime settimane è previsto un nostro incontro con la direttrice della Divisione della giustizia Frida Andreotti e il direttore delle strutture carcerarie Stefano Laffranchini per discutere il tema», spiega Maruska Ortelli (Lega), presidente della Commissione del Gran Consiglio che si occupa della sorveglianza delle condizioni di detenzione. «La situazione - prosegue - perdura ormai da tempo e siamo dell’idea che vadano messi in campo tutti i correttivi possibili. In questo senso, vedo ad esempio di buon occhio l’ipotesi di utilizzare il braccialetto elettronico, a precise condizioni, per allentare la pressione sulle strutture detentive». L’aumento delle persone incarcerate, evidenzia la deputata, è ormai una costante: «Noto con preoccupazione, in particolare, la crescita dei reati commessi dai minorenni e l’aumento delle detenzioni femminili». In questo senso, «forse l’apertura della sezione femminile alla Stampa - dove è prevista una decina di celle in più - potrà perlomeno sgravare un po’ il carcere giudiziario della Farera, dove oggi vengono detenute le donne». Anche perché, osserva ancora la deputata della Lega, «credo ci vorranno ancora anni prima che un nuovo carcere veda la luce». Un investimento, quest’ultimo, che Ortelli reputa però «necessario»: «Parliamo di una struttura, l’attuale Stampa, che ha più di cinquant’anni e che necessita di essere ammodernata». Nonostante ciò, ammette la presidente, «sarà un tema complicato da dibattere politicamente e che incontrerà una certa opposizione». Dello stesso avviso anche il collega di Commissione, il deputato del PLR Patrick Rusconi, secondo il quale «servirà una comunicazione molto efficace» per riuscire a far passare il messaggio sulla necessità di costruire un nuovo carcere: «Al centro, dobbiamo ricordarlo, deve essere messa la dignità delle persone». Oggi, infatti, il sovraffollamento delle strutture detentive «provoca un certo disagio ai detenuti e andrebbero quindi trovate alternative con una certa urgenza». Considerando poi i tempi lunghi della politica, secondo Rusconi «sarebbe auspicabile riprendere in mano il prima possibile la progettazione del nuovo carcere, sperando poi che, di fronte alla crescente frammentazione del Parlamento, il progetto possa davvero essere condotto in porto». La struttura della Stampa, evidenzia il liberale radicale, «non è più al passo con i tempi e, più tempo aspettiamo, limitandoci ad applicare dei cerotti, e più la situazione peggiorerà». La difficoltà di portare avanti il progetto di un nuovo carcere è ribadita anche dalla granconsigliera Giulia Petralli (Verdi): «Sono tematiche importanti, ma purtroppo anche molto divisive. Faticano a essere comprese dalla politica, ma anche dai cittadini, specialmente in un momento di difficoltà finanziaria come quello che stiamo vivendo». Eppure, tiene a precisare Petralli, «oltre a pensare alla condizione dei detenuti, dobbiamo tenere a mente anche le difficoltà degli agenti di custodia, che con l’aumento delle persone incarcerate si trovano a lavorare in condizioni sempre più complicate e con una crescente pressione».

Tornando al 1968, il già caporedattore del Corriere del Ticino, Vittorino Maestrini, ebbe modo di visitare, a inizio ottobre, la nuova struttura. E poi raccontò questa sua visita in una pagina dal titolo «Lo stabilimento è stato realizzato secondo i modernissimi concetti sulla espiazione della pena». Allora si poteva parlare di modernità. Maestrini scriveva: «Il direttore dott. Rabaglio è stato ricco di informazioni e ha spiegato come la pena deve avere prevalentemente una funzione emendativa; essa deve in altri termini tendere al ricupero sociale del delinquente. Di conseguenza l’esecuzione della pena deve essere più umana, pur senza pregiudicare la sicurezza, e assicurare condizioni di vita decorose e possibilità di distrazione, sempre con un fine rieducativo. Essenziale, in quest’ordine di idee, è la qualificazione professionale, al fine di facilitare il reinserimento sociale del delinquente alla sua uscita dal carcere». Spiegò anche un cambiamento rispetto al precedente carcere: «La separazione dei carcerati non avviene più secondo il genere della pena (reclusione, detenzione, arresto), bensì tra primari e recidivi, al fine di evitare contatti tra elementi pericolosi e perversi e individui ancora recuperabili, contatti che fanno spesso degli stabilimenti una scuola del crimine». Bella la conclusione: «L’uomo chiamato a pagare verso la società, con la sua incarcerazione, con la sua permanenza in un luogo dove non vi è più libertà personale, deve essere assistito, seguito, accompagnato non solo materialmente ma anche moralmente. Un compito quindi che è una missione».
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