L'intervista

«Casinò, ville, Campo Marzio: Lugano deve aprirsi ai privati»

Parola al responsabile delle finanze cittadine Marco Chiesa – Sotto la lente dei risparmi ci sono i contributi alle associazioni e al LAC
© CdT/Chiara Zocchetti
Giuliano Gasperi
06.02.2025 06:00

Nove mesi fra numeri, tabelle, percentuali, segni più e segni meno, curve che salgono e altre che scendono. Marco Chiesa traccia un bilancio del suo operato da responsabile delle finanze a Palazzo civico. Un’occasione per toccare diversi temi caldi e per scoprire i contorni della Lugano che il nuovo municipale vorrebbe.

Marco Chiesa, partiamo da una cifra a nove zeri. Con i prestiti obbligazionari previsti per acquisire il nuovo stadio e, anche se non è ancora deciso, il palazzetto, il debito verso terzi sfonderà verosimilmente la soglia del miliardo. Lugano può permetterselo?
«Nelle prossime due legislature, fermeremo la decisa crescita del debito pubblico prevista a piano finanziario e conterremo l’aumento delle spese correnti. Oggi i tassi d’interesse sono favorevoli, ma non sarebbe corretto speculare sul futuro. Esercitare l’opzione d’acquisto dell’arena sportiva è ragionevole, il risparmio di più di 30 milioni di franchi in 27 anni lo dimostra. Agiremo con oculatezza per garantire la sostenibilità finanziaria della Città in un contesto comunque complicato da crescenti oneri cantonali a carico di Lugano».

Tra Cornaredo e via Peri, con l’obiettivo di offrire spazi che facciano rimanere la Giustizia in città, il Municipio ha impostato una strategia che sembra un misto fra due famosi giochi: Tetris e Monopoly. È anche rimasto coinvolto in una «lite di condominio» con Stefano Artioli, coproprietario del complesso di via Peri. È giusto così, o ci si è spinti troppo oltre?
«Il Municipio ha proposto una nuova concreta soluzione per mantenere la Giustizia a Lugano, più precisamente nel comparto di Cornaredo. Per quanto riguarda via Peri, ritengo che i nuovi spazi possano essere realizzati anche da un privato. Non ho preclusioni, l’importante è lo sviluppo e l’interesse pubblico della Città».

Promettendo al Consiglio comunale di risparmiare almeno dieci milioni all’anno, il Municipio ha ottenuto di poter includere nel «perimetro di taglio» i contributi propri. Verranno ridotti i contributi alle associazioni?
«Negli anni, abbiamo assistito a un’espansione dei contributi. Stiamo riflettendo su come concentrare i sostegni, stabilendo regolamenti e linee chiare. Non mancheremo di supportare importanti e consolidate realtà cittadine, ma l’incarico del Consiglio comunale è cristallino: dobbiamo ridurre di 10 milioni le spese sull’arco di due anni. Condivido questo ambizioso obiettivo, perché necessario di fronte a un prevedibile deficit annuale di 23 milioni e a un autofinanziamento largamente insufficiente».

Rischia di essere ridotto anche il contributo al LAC, anche se i suoi numeri testimoniano un successo crescente?
«Tutte le spese che non derivano da leggi superiori saranno valutate senza alcuna preclusione ideologica. Dobbiamo mostrare responsabilità finanziaria ed essere chiari sulla differenza tra il concetto di volere e quello di potere».

Abbiamo parlato del polo culturale e di quello sportivo: e il futuro centro congressuale al Campo Marzio?
«Nella mia visione della Lugano futura, il centro congressuale è il progetto strategico per la Città. Tra le tre opere indispensabili – LAC, PSE e Centro congressuale – quest’ultima è proprio quella in grado di dare slancio al motore economico cittadino. Dobbiamo concretizzarla al più presto».

Non confondo realtà e desideri, la realtà richiede pragmatismo. Dobbiamo minimizzare il costo a carico dei cittadini e l’unica formula possibile è la collaborazione con i privati

Su questo progetto, Lugano è di fronte a una scelta. Se vuole spendere zero per il centro congressuale (diamo cifre simboliche, solo per capirci) deve concedere cento ai privati interessati a costruirci attorno contenuti residenziali. Se invece vuole zero contenuti residenziali, deve essere pronta a spendere cento. Marco Chiesa dove si situa fra questi due estremi?
«Non confondo realtà e desideri, la realtà richiede pragmatismo. Dobbiamo minimizzare il costo a carico dei cittadini e l’unica formula possibile è la collaborazione con i privati. Ci sono gruppi interessati, sia tra i finalisti del concorso (l’appalto non era stato aggiudicato, ndr) sia tra gli attori locali. Il centro congressuale deve essere flessibile, modulabile e tecnologicamente all’avanguardia. Per realizzarlo i privati devono poter ricavare un ragionevole ritorno sull’investimento che garantiscono. Senza questa premessa, rimarremo fermi al palo e perderemo delle interessanti opportunità per far crescere e profilare Lugano come città congressuale».

Restiamo sul tema dell’indotto. Premesso che è probabilmente presto per tirare le somme del progetto, dal vostro viaggio a Londra ad oggi, quanti globalisti britannici hanno manifestato interesse a trasferirsi a Lugano?
«L’interesse è palpabile, ma stando seduti dietro a una scrivania in riva al Ceresio, come alcuni vorrebbero, non succederà proprio nulla. Le condizioni quadro fiscali offerte dalla Svizzera non sono le più competitive, non dobbiamo andare troppo lontano per accorgercene. Intendo promuovere Lugano e mettere in evidenza la stabilità del nostro sistema, la sicurezza, la privacy, i servizi sanitari ed educativi, senza dimenticare l’offerta enogastronomica del territorio. Sono vantaggi competitivi che dobbiamo valorizzare».

Prima delle elezioni, lei non era parso un tifoso sfegatato del Plan B, il progetto che promuove le criptovalute. Nel frattempo ha cambiato idea? Che impatto sta avendo il Plan B su Lugano?
«Ha dato visibilità alla città in un settore in pieno fermento. È un filone da seguire, perché potrebbe diventare una nicchia economica importante per Lugano. La mia attitudine è attenta ma, nel contempo, prudente. Le innovazioni però corrono più veloci delle istituzioni: non occuparsene, non creare competenze sul territorio, significa restare indietro e rinunciare a delle opportunità per tutta la piazza finanziaria».

Per alcuni le criptovalute sono un azzardo. Poi c’è il gioco d’azzardo vero e proprio, a cui la Città potrebbe rinunciare cedendo le quote pubbliche del Casinò per fare cassa. Lei è favorevole?
«È un tema che ci accompagna da decenni. La mia posizione è nota e non è cambiata negli anni. Con l’avvento del gioco online è cambiato, al contrario, il modello di business, e le sinergie con altri attori sono diventate ineluttabili. Ragionando sul Casinò, occorre tuttavia tenere ben presente un altro elemento fondamentale: sorge su un terreno che, se svincolato, ha un valore inestimabile».

Vendere per fare cassa: un discorso che porta dritto a Villa Heleneum e ad altre proprietà a cui potreste rinunciare.
«Nella mia visione, Villa Heleneum deve diventare un luogo ‘di vita’. Penso a un’attività alberghiera (in quel caso andrebbe cambiato il Piano regolatore, ndr) che garantisca contemporaneamente la fruibilità pubblica della passeggiata fra il parco e il lago. Non propongo una vendita, ma un diritto di superficie che mantenga la proprietà nelle mani della Città. Lugano ha bisogno di queste strutture per rafforzare la sua vocazione turistica. In Municipio ci sono idee diverse; la mia è imprenditoriale e volta a favorire le migliori condizioni per lo sviluppo di attività, la creazione di posti di lavoro e di indotto per i cittadini».

I numeri non mentono: Lugano deve decidere il suo futuro. L’equilibrio finanziario e finanze sane sono imprescindibili per assicurare il benessere dei nostri figli

Lei è responsabile delle finanze da circa nove mesi. Cosa ha portato, o cosa vorrebbe portare di suo nella conduzione di questo settore?
«Ad aprile sono salito su un treno in corsa: molti progetti onerosi erano già partiti da tempo, anche in virtù di decisioni popolari (sul Polo sportivo, ndr). Con il contributo di tutti i collaboratori, stiamo dando una direzione chiara alle spese correnti e agli investimenti. I numeri non mentono: Lugano deve decidere il suo futuro. L’equilibrio finanziario e finanze sane sono imprescindibili per assicurare il benessere dei nostri figli. Mi impegnerò per una città dinamica che trasformi in prosperità il suo patrimonio dormiente».

Prima delle elezioni si è parlato molto del suo eventuale doppio impegno come municipale e membro del Consiglio degli Stati. Dopo nove mesi di lavoro sul campo, con un dicastero che comunque, rispetto ad altri, è più facilmente gestibile a distanza, che bilancio traccia? E cosa ha dovuto sacrificare per raggiungere un equilibrio?
«Dopo la campagna elettorale, questa domanda non mi è stata più posta (sorride, ndr). Credo nel sistema di milizia e so che richiede una disponibilità totale, a cui sono abituato. Non avrei mai potuto farlo senza il sostegno della mia famiglia».