Cesc Fabregas e il Como, una banda di alieni
«Un anno fa questa partita ci sarebbe sembrata un sogno. Ma adesso ci siamo, e dobbiamo dare il nostro meglio». Parole di Cesc Fabregas, domenica.
Il Como non poteva battere l'Inter. Non ce l'ha ancora in canna, il colpo grosso. Ma davvero ieri è riuscito a dare il suo meglio, offrendo una prestazione che, in altri tempi, avremmo definito probabilmente come «gagliarda». Non solo Fabregas ha saputo tenere a lungo a bada l'Inter, ma ha simulato un equilibrio lontano dai valori reali delle squadre e delle individualità in campo. Una simulazione che è frutto della sua bravura a livello tattico.
La trovata della difesa a tre è stata un capolavoro, poi molto ha fatto il ritorno di Sergi Roberto - si è sentito soprattutto nella splendida crescita di Da Cunha -, oltre all'ottima partita di Fadera, per una volta quinto di difesa. Fabregas l'ha proprio preparato bene, questo incontro, convincendo i suoi a essere aggressivi, con poche pause.
Ma ciò che più mi preme è tornare a sottolineare quelle sue parole. «Un anno fa ci sarebbe sembrato un sogno». L'Inter non era nei progetti del Como. La Serie A non lo era. Non subito. Non è la prima volta che lo scrivo, ma questo è. Il Como non era stato programmato per salire nella primavera del 2024, ma più in là, magari il prossimo anno, chissà, magari, magari... Ma la vita spesso ci sorprende, ama ribaltare la nostra patetica smania di programmare, di tenere tutto sotto controllo.
Ragazzi, è Natale, se non crediamo adesso a questa roba, allora quando? Della serie: la vita è una cosa meravigliosa.
Il Como è una cosa magari non meravigliosa, ma bella. È una creatura aliena, in questo calcio, in particolare in questo campionato. È poco catalogabile. Non è una delle solite matricole. Ha delle peculiarità tutte sue, inedite anche storicamente. È molto spagnola, internazionale eppure ancorata al territorio. Moderna? Sì, bah, sì e no, perché ci sono calciatori che sanno di altre epoche. Lo stesso Nico Paz è un fuoriclasse con un gusto retrò. E stride, quasi, vederlo a tratti dalla stessa parte del campo di un Barba, e ancor più giostrare a pochi passi da un Cerri. Diventa uno straniero della Serie A degli anni Ottanta.
È una squadra costruita - in maniera peraltro molto originale - per non subire la categoria in cui di colpo si è ritrovata la scorsa estate. Ma è una squadra unica. È curiosa, a immagine del suo allenatore, sembra sempre voler imparare e andare oltre.
Ieri Fabregas, a fine partita, lo ha detto molto chiaramente: «Sappiamo chi siamo. Siamo il Como».
Ecco, appunto. È così che si regge l'urto. È così che si arriva al Natale sopra la riga (dietro ce ne sono quattro), con prospettive ed entusiasmo, con una piazza più viva che mai.
E poi? Qualcosa serve ancora. Anche perché la concorrenza non starà a guardare, e poi perché arriveranno altri inevitabili bassi, altri passi falsi. Fabregas lo sa. E anche se non lo ammette, non può non sperare nell'arrivo di una punta dal gol facile e di qualche rimpiazzo di peso. Il rischio di alterare gli equilibri del gruppo ci sono, ma il Como ha già dimostrato in estate di saper andare oltre, di saper integrare le novità.
E il merito è proprio di Fabregas, ma anche di una società che funziona, che sa anticipare la realizzazione dei suoi stessi sogni attraverso il lavoro.
Buon Natale a Fabregas, al Como e alla Serie A tutta, che vista dal Sinigaglia è una categoria nuova, in qualche modo più autentica.