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Chi è Gianfranco Stevanin, il «mostro di Terrazzo» che ora vuole permessi premio

Fu condannato all'ergastolo per violenza sessuale, omicidio e occultamento di almeno sette donne – Ora i suoi avvocati chiedono una perizia psichiatrica con l'obiettivo di ricevere permessi premio di uscita dal carcere di Bollate
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Jenny Covelli
16.05.2023 16:00

Gianfranco Stevanin vuole uscire di prigione. E il suo avvocato si affida allo psichiatra Alessandro Meluzzi per ottenere permessi premio. La notizia è del Corriere del Veneto e nella vicina Italia sta già facendo molto discutere. Perché Stevanin è un serial killer, che negli anni Novanta ha letteralmente sconvolto la vicina Penisola.

Chi è

La storia di Gianfranco Stevanin inizia il 2 ottobre 1960, a Montagnana, comune italiano di poco meno di 9.000 abitanti della provincia di Padova, in Veneto. La storia del «mostro di Terrazzo» inizia invece il 16 novembre 1994. È sera quando, al casello di Vicenza Ovest, una volante della polizia vede una donna lanciarsi da una Lancia Dedra Blu, per poi chiedere aiuto. La donna è Gabriele Musger, una prostituta austriaca. In sede di denuncia racconta di essere stata avvicinata dall'uomo mentre aspettava i clienti, e di essersi accordata per scattare delle fotografie. Ma una volta raggiunta l'abitazione, è iniziato l'incubo: rapporti violenti, giochi erotici, foto pornografiche. Quando si è rifiutata di farsi legare nuda al tavolo, è stata minacciata con una pistola e un taglierino. Lei ha tentato di convincerlo a lasciarla andare, per 25 milioni di lire, e dopo essere stata costretta all'ennesimo rapporto sessuale, i due sono saliti in auto (l'avrebbe accompagnata a casa a prendere il denaro). Al casello, quindi, la fuga.

Le forze dell'ordine, a questo punto, si recano nella villetta di via Torrano 41, a casa dell'agricoltore. E al vecchio casolare di via Brazzetto, dove trovano di tutto: tra immagini sacre e religiose ci sono materiale pornografico, libri di anatomia, scatole contenenti peli pubici (in seguito dirà che voleva usarli per fare un cuscino) e un file contenente informazioni su tutti i suoi partner. E ancora, oltre 7.000 fotografie scattate personalmente da Stevanin. Lì trovano pure i documenti d'identità e alcuni oggetti appartenenti a due donne: Biljana Pavlovic, cameriera serba di 25 anni residente ad Arzignano (Vicenza) della quale non si hanno notizie dall'agosto del 1994, e Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente di Legnano (Verona) scomparsa il 15 gennaio dello stesso anno.

Nel frattempo Stevanin viene condannato a tre anni per la violenza sessuale, sequestro di persona e tentata estorsione.

Il «mostro di Terrazzo»

Il 3 luglio 1995, a Terrazzo, a poco distanza dalla casa di Stevanin, un agricoltore trova in un fosso in disuso da tempo un sacco con i resti di un cadavere. Stevanin viene indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere e viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Montorio. A Terrazzo arrivano le ruspe. Il 12 novembre 1995, in un podere di famiglia, viene trovato il cadavere di una giovane donna avvolto in un ampio telone, a un'ottantina di centimetri di profondità. Il corpo risulta essere quello di Biljana Pavlovic. Il 1. dicembre viene disseppellito un terzo cadavere, anche questo avvolto in un bozzolo di pellicola trasparente: si tratta di Claudia Pulejo. Quello che inizialmente sembra un caso di violenza sessuale, diventa un'indagine su un serial killer, il «mostro di Terrazzo».

Nei mesi che seguono, Stevanin – sottoposto a perizia psichiatrica – viene accusato della sparizione della prostituta austriaca Roswita Adlassnig e della morte di una donna, mai identificata, ritratta apparentemente priva di vita in una pratica erotica estrema. Si indaga pure per la morte di una ragazza dell'Est il cui corpo è stato recuperato nell'Adige a Piacenza d'Este (Padova). Gli omicidi contestati a Stevanin diventano cinque. Lui nega di avere causato la morte delle donne ma – parlando di «flash» di memoria – riferisce di essersi sbarazzato dei corpi. «È come se fosse un ricordo che io sogno, cioè può essere una cosa che io avevo vissuto realmente ma che avevo cancellato», dice.

Il serial killer

Tra luglio e agosto del 1996, Stevanin «ricorda» quattro ragazze che «gli sono morte tra le braccia», tre durante rapporti sessuali estremi e una per overdose da eroina. Di una studentessa universitaria conosciuta a Verona racconta di avere sezionato il cadavere al fine di occultarlo. «Il ricordo più forte che ho è del sangue». Afferma di immaginarsi (o ricordarsi), di notte, sulla sponda di un ampio canale.

Settembre 1996: vengono sequestrate cinque lettere contenenti minacce di morte indirizzate alla giornalista Alessandra Vaccari dal detenuto Giuliano Baratella. Si tratta di lettere scritte da Stevanin e fatte copiare dal compagno di detenzione, in cui Baratella si autoaccusa di essere il colpevole dei delitti «ingiustamente» attribuiti all'indagato. Intanto, viene ritrovato un altro cadavere: una giovane donna sconosciuta, trovata priva di capelli e in avanzato stato di decomposizione lungo le rive dell'Adige. Ottobre 1996: Stevanin viene dichiarato dai periti processabile. Novembre 1996: chiesto il rinvio a giudizio per omicidio volontario e premeditato di Claudia Pulejo e Biljana Pavlovic. All'udienza preliminare, i parenti delle vittime si costituiscono parte civile. Viene accolta la richiesta di rinvio a giudizio per duplice omicidio volontario, premeditato e con le aggravanti della violenza sessuale. Su Stevanin, sospettato di essere un sadico serial killer, vengono ufficialmente aperte altre cinque inchieste per omicidio. Il 6 ottobre 1997 Gianfranco Stevanin compare davanti ai giudici della Corte d'Assise.

I periti della difesa contestano la perizia psichiatrica, affermando che tutti i disturbi di Gianfranco Stevanin siano da ricondurre a un incidente di moto che quasi gli costò la vita (rimase in coma un mese e venne sottoposto a una serie di interventi chirurgici). Stevanin si presenta alle sedute con la testa rasata per mostrare l'evidente cicatrice.

Le sentenze

La prima sentenza della Corte d'Assise di Verona, il 28 gennaio 1998, condanna Gianfranco Stevanin all'ergastolo, di cui tre anni in totale isolamento diurno. Il 7 luglio 1999 la Corte d'assise d'appello di Venezia assolve l'imputato dall'accusa di omicidio, perché incapace di intendere e di volere, e lo condanna a 10 anni e mezzo per occultamento e vilipendio di cadavere. La prima sezione della Corte di Cassazione di Roma annulla poi per «illogica motivazione» la sentenza, rinviando a una nuova sezione di appello il riesame del caso. La sentenza definitiva arriva il 23 marzo 2001: la Corte d'appello di Venezia dichiara che Gianfranco Stevanin è in grado di intendere e di volere: automaticamente confermata la condanna all'ergastolo. Anche la Corte di cassazione conferma l'ergastolo, respingendo le istanze della difesa.

È stato rinchiuso nel carcere di Sulmona, in Abruzzo, e successivamente trasferito al carcere di Opera, infine a quello di Bollate, dove sta scontando la pena.

Il 1. settembre 2010 dichiara alla stampa di non ricordare niente degli omicidi e afferma l'intenzione di diventare frate francescano laico a causa anche della morte della madre, emulando così il caso avvenuto settant'anni prima, quando a diventare francescano fu Alessandro Serenelli, assassino di santa Maria Goretti.

Vuole uscire di prigione

Nel 2021 l’équipe del carcere di Bollate (Milano) viene chiamata a valutare il percorso e i progressi di Stevanin, nella prospettiva che possa essergli concesso di uscire di prigione, anche per brevi periodi. A 33 anni di distanza dall’inizio degli omicidi, e a 27 dal suo arresto, l'équipe dichiara che il «mostro» è ancora pericoloso e, se uscisse di prigione, potrebbe tornare a colpire.  «È il piacere deliberatamente e volontariamente ricercato da Stevanin ogni volta dopo il delitto, a scapito della sofferenza altrui, l’elemento che ancora non fa presupporre che in futuro il detenuto, una volta libero, non si astenga dal mettere in atto nuovamente queste condotte, per provare il piacere di un tempo tramite atti di sadismo sessuale».

In carcere studia informatica, fa il volontario in biblioteca ed è stato nominato «delegato di piano» (in pratica fa da mediatore nei rapporti tra detenuti). Dal 2017 ha però subito due «sanzioni». La prima perché, durante un colloquio con la ventenne che da tempo definisce «fidanzata», l’avrebbe accarezzata nelle parti intime; la seconda perché nella sua cella è stato trovato del materiale sottratto in altri locali. È per costruire una relazione con quella giovane donna che Stevanin chiede di uscire di prigione. Ma chi deve giudicarlo decide che non sono stati raggiunti dei risultati che possano assicurare una tenuta all’esterno, neanche per brevi periodi.

Oggi

Oggi Gianfranco Stevanin ha 62 anni e sta scontando l’ergastolo. Si descrive come un detenuto modello, sostiene perfino di aver valutato l’idea di farsi frate. Dal carcere di Bollate ripete: «Sono cambiato, e voglio uscire di prigione». Il difensore, l’avvocato Francesco D’Andria, crede alla sua redenzione, al punto che in questi giorni ha affidato l’incarico per una nuova consulenza allo psichiatra Alessandro Meluzzi, lo stesso che si occupò del caso di Rudy Guede, si legge sul Corriere del Veneto. La speranza di Stevanin è che la consulenza psichiatrica gli sia favorevole e basti a ribaltare le conclusioni alle quali giunse l’équipe della Casa di reclusione di Milano. «Stevanin non è un mostro ma un essere umano – dichiara l’avvocato D’Andria – e, se gli psichiatri confermeranno che non è più pericoloso, merita di ottenere i primi permessi premio per uscire dal carcere».