L'intervista

Christian Vitta: «L'illusione della risposta statale a ogni necessità della società»

Il presidente del Governo su Preventivo 2025, tensioni politiche e mosse dei partiti
© CdT / Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
18.10.2024 06:00

Dopo le scelte del Parlamento sulla tassa di collegamento e sulla progressione a freddo, il Preventivo 2025 del Cantone è sempre più rosso. Una situazione delicata, che va affrontata, ma come? Una convergenza fra i partiti pare illusoria. Di questo e tanto altro ne abbiamo parlato con il presidente del Governo Christian Vitta.

No alla Tassa di collegamento e alla progressione a freddo: possiamo dire che l’antipasto che vi ha servito il Parlamento sul Preventivo 2025 è di quelli indigesti?
«Certamente la strada si fa ancora più ripida e impegnativa per tutti. Ogni peggioramento del disavanzo d’esercizio rende più arduo lo sforzo di riequilibrio dei conti sia per l’anno 2025 che per quelli successivi».

Alla luce delle fresche decisioni e del meccanismo per i sussidi di Cassa malati il deficit, previsto a quota 64 milioni, è già sprofondato a 103 milioni. È un problema?
«Disavanzi di questa dimensione sono sicuramente un problema. Un ulteriore peggioramento delle cifre implica ulteriori importanti sforzi di rientro finanziario, in un contesto già fragile delle nostre finanze. A ciò si aggiungono le grosse incognite finanziarie legate ad esempio ai versamenti della Banca nazionale svizzera e ai nuovi oneri che ci verranno imposti da Berna».

Il Governo ha chiesto alle forze politiche «responsabilità». Ma, di fronte alla realtà dei fatti, non è semplicemente una pretesa illusoria?
«È una necessità. In un contesto difficile come quello attuale sono gli stessi cittadini a chiedere alla politica responsabilità e massima serietà nell’affrontare i problemi sempre più complessi e gravosi. La fiducia che la popolazione ha accordato alle forze politiche, in particolare a quelle di Governo, richiede che quest’ultime collaborino fra loro alla ricerca di soluzioni condivise, fra le quali quelle finanziarie».

In aula sono volati gli stracci e il suo collega Claudio Zali è stato protagonista di un intervento durissimo. Anche lei, persona pacata, qualche mese fa, di fronte ad alcuni interventi, era sbottato. Segno che la misura è colma?
«Sono situazioni figlie del clima che si sta respirando a livello politico, sempre più polarizzato e a tratti teso. Il dibattito e le contrapposizioni fanno da sempre parte della politica. Devono però avvenire in un contesto di rispetto, altrimenti a farne le spese sono le istituzioni nel loro insieme. Vi sono valori e una cultura politica che devono assolutamente ritornare ad accompagnare il dibattito pubblico».

La decisione di non fare votare il popolo sulla tassa di collegamento (legalmente legittima) la possiamo definire «politicamente inopportuna» dato che questa tassa era stata voluta dal popolo stesso nel 2016?
«Il Consiglio di Stato aveva ritenuto opportuno che il popolo potesse tornare a esprimersi su una decisione scaturita dalle urne. Si tratta di una questione democratica. Il Parlamento si è diviso in due e una stretta maggioranza ha deciso altrimenti».

In Ticino gli investimenti sono sempre stati un po’ fiore all’occhiello, il collante tra politica (diciamo pure di centrodestra) ed economia. Ora non è più garantito che si possa investire bene anche in futuro. Non teme ripercussioni sullo sviluppo del Cantone?
«Governo e Parlamento hanno garantito negli ultimi anni investimenti ben al di sopra della media che negli ultimi 10 anni era di circa 330 milioni di franchi annui. Nel 2022, 2023 e 2024 il volume degli investimenti lordi annui si è situato attorno ai 400 milioni di franchi e anche per il 2025 sono pianificati investimenti importanti. Questo ritmo potrà essere mantenuto solo se, grazie al riequilibrio dei conti, saranno garantite le necessarie risorse finanziarie. In caso contrario saranno anche gli investimenti a risentirne. Questo rallenterebbe il rinnovo e lo sviluppo delle infrastrutture del nostro Cantone».

Se dico che il preventivo è stato superato dai fatti e siamo ormai vicini alla soglia che farebbe scattare il caro-imposte sono pessimista o realista?
«Realista, in quanto i dati ci indicano che il peggioramento del disavanzo previsto per il 2025 ci avvicina alla soglia massima del freno ai disavanzi che, se non rispettata, farebbe scattare meccanismi che condurrebbero a dei tagli indiscriminati alla spesa oppure all’aumento del coefficiente cantonale d’imposta. Ogni anno di peggioramento dei conti rappresenta un ulteriore fardello che peserà sugli esercizi futuri. Senza la ferma volontà di uno sforzo deciso e concreto in questi anni aumenta il rischio di trovarsi a breve in una situazione che tutti a parole vorrebbero evitare».

Intanto la piazza ha riacceso i motori e mercoledì sera a Bellinzona, anche se con meno presenze rispetto allo scorso anno, si è tenuta quella che ha l’aria di essere solo la prima manifestazione di dissenso. Una dinamica che preoccupa? Teme che il Parlamento possa come lo scorso anno cancellare ulteriori misure?
«È legittimo che i settori interessati dalle misure possano avanzare delle rivendicazioni. Il canale del dialogo è sempre aperto, ma tutti devono essere consapevoli che senza decisioni concrete la situazione diventerà sempre più pesante e insostenibile con necessità di rientro crescenti. Questa dinamica deve preoccupare tutti gli attori e spingere ognuno a fare degli sforzi di convergenza nell’interesse del Paese. Alla luce del peggioramento di questi giorni del disavanzo, che ora supera i 100 milioni, i margini di manovra diventano ancora più stretti. Eliminando misure di riequilibrio finanziario posticipiamo semplicemente il problema rendendolo ancora più complesso. Il disavanzo d’esercizio che di anno in anno viene riportato è come una palla di neve in cima a un pendio, se non viene bloccata per tempo inizia a rotolare sempre più rapidamente, diventando sempre più grande e ingestibile. Dobbiamo evitare che questa dinamica contagi la gestione delle finanze pubbliche».

A livello di partiti c’è una nuova «moda» che la interessa da vicino. Il suo PLR ha assunto una linea meno filo-governativa. Non è una novità dato che la Lega (pur vantando due consiglieri di Stato dal 2011) non è di certo la stampella dell’Esecutivo. Alla fine questo deve interessare un consigliere di Stato?
«Per il Consiglio di Stato è importante poter mantenere un dialogo aperto e una collaborazione costruttiva con il Legislativo. Questa collaborazione diventa però più complicata se anche i partiti di Governo tendono a distanziarsi sempre più dallo stesso che è l’espressione di una rappresentanza politica del proprio elettorato. La presenza di quattro partiti in Consiglio di Stato e ben dodici in Parlamento accentua ulteriormente la dinamica dove tutti ambiscono a entrare in Governo, ma allo stesso tempo vogliono mantenersi all’opposizione. Il nostro sistema svizzero basato sulla concordanza va in crisi se vi è questa crescente ambiguità nei ruoli. Il compianto Giuseppe Buffi avrebbe detto: “Troppo facile amico”».

È partita anche l’iniziativa capitanata da UDC-Lega (con altri sostegni puntuali) per ridurre gli impiegati dello Stato. Insomma, tagliano i vostri dipendenti dandovi degli incapaci. Non proprio bello per voi. Sarà anche legittimo, ma è infastidito da tutto questo?
«Le voci di spesa del personale e delle spese di trasferimento a terzi, tra cui i sussidi, rappresentano circa tre quarti delle uscite dello Stato. È quindi corretto avere attenzione a questi ambiti. Ritengo però che affidarsi a una formula matematica per affrontare questo capitolo di spesa sia illusorio. Serve per contro un’analisi di dettaglio per correggere le tendenze in atto. Se approfondiamo la spesa del personale, l’aumento registrato negli ultimi anni è dovuto per quasi il 60% al personale docente per rispondere a richieste della scuola e il restante 40% riguarda il personale dell’Amministrazione (organizzazione sociopsichiatrica compresa). Di questo 40% una parte concerne personale finanziato da terzi, come ad esempio nuovi posti di lavoro creati nel nostro Cantone e finanziati dalla Confederazione. Sarà partendo da queste analisi di dettaglio che sarà possibile determinare modalità e ambiti d’intervento per contenere la crescita della spesa del personale».

Lo Stato sarà in grado di rispondere ai crescenti bisogni della società e alle numerose richieste provenienti dalle varie forze politiche?
«Negli ultimi anni, complice anche il periodo pandemico, si rafforza il pensiero e l’illusione per cui lo Stato possa rispondere a qualsiasi tipo di necessità della società, senza preoccuparsi delle conseguenze finanziarie. Compito della politica è, al contrario, quello di effettuare delle scelte, nel solco di una gestione responsabile delle risorse finanziarie che da sempre è un valore e una forza del nostro sistema svizzero».

Teme la perdita di questi valori?
«La forza della Svizzera è sempre stata la parsimonia e il senso della misura che i nostri padri hanno adottato nel costruire il nostro Paese. I debiti sono stati creati per investimenti infrastrutturali e crescita del Paese e non per vivere al di sopra delle nostre possibilità. Le prestazioni sono state sviluppate tenendo conto delle nostre possibilità finanziarie e avendo sempre rispetto per il prossimo, evitando quindi di tramandare debiti eccessivi alle generazioni future. Questo approccio ha fatto la fortuna della Svizzera e ci ha da sempre differenziato rispetto ad altre nazioni. Questi valori devono guidarci anche nell’affrontare l’attuale situazione finanziaria, portando le forze politiche che credono in questi principi ad unire le forze e prendere decisioni coraggiose che a corto termine possono apparire impopolari, ma che in realtà saranno riconosciute dall’elettorato perché nell’interesse dello sviluppo del nostro Paese che vuole mantenere valori, caratteristiche e benessere che ne hanno da sempre fatto la sua fortuna».