«Ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di tornare a una normalità»
Il Dies academicus è un’occasione per fare festa, per celebrare i traguardi raggiunti e per pregustare gli obiettivi futuri. Non solo. È un momento che si vuole di identità collettiva, con un filo rosso che parte dalla direzione dell’università e corre via via fino a raggiungere ogni studente. Per ricordarsi che gli atenei sono di tutti.
Luisa Lambertini, quale sarà il messaggio principale che vorrà veicolare in occasione di questo Dies Academicus numero 28?
«Il Dies academicus è, in effetti, il momento in cui cerchiamo di raggiungere l’intera comunità; una comunità che ci supporta, che coinvolge studenti, sì, e professori, così come il mondo della politica. È il momento per riassumere quanto fatto negli ultimi dodici mesi e per presentare ciò che vogliamo fare in futuro, in particolare nei prossimi dodici mesi. E ciò che vogliamo è continuare a crescere in maniera responsabile, e poi essere un po’ più “giovani”, un po’ più diversi. Il tutto tenendo in primo piano i nostri tre mandati».
Oltre a formazione e ricerca, il terzo mandato è quello che avvicina l’università al territorio. Più nel dettaglio quali saranno le novità?
«Per quanto concerne la formazione, avremo due nuovi bachelor: uno in data science e un altro, parallelo a quello di economia, ma in lingua inglese, per gli studenti non di madrelingua italiana. Un’iniziativa pensata, soprattutto, per avvicinare gli studenti d’oltre San Gottardo. Prevediamo anche tutta una serie di attività di ricerca, in particolare sul tema dell’aging e la costruzione sostenibile. E poi la creazione di USI Transfer, un servizio di trasferimento tecnologico, che si prefigge di avvicinare ciò che l’USI produce, in particolare in termini di brevetti, al mondo dell’industria, con una evidente ricaduta sul territorio. Il tutto senza dimenticare, anzi, il nostro campus universitario, che vogliamo rendere più rilevante e innovativo, sfruttando anche le zone limitrofe sull’onda di alcune iniziative del Municipio di Lugano».
L’impressione è che un’università debba continuamente adattarsi ai tempi che corrono per rimanere concorrenziale.
«Sì, l’obiettivo è di rimanere interessanti per i nostri studenti. Il che significa creare percorsi formativi che siano rilevanti, che possano offrire agli studenti ciò di cui necessiteranno in futuro. Ecco, il nostro compito è leggere quali potranno essere le carriere del futuro, guardando cinque o dieci anni in avanti e muovendoci per offrire formazioni in linea con le nostre riflessioni».
Come definirebbe l’USI oggi?
«Un’università ancora giovane, innanzitutto. I ranking mondiali definiscono giovani le università sotto ai cinquant’anni d’età. Detto questo, però, dobbiamo riconoscere di essere in una fase di passaggio importante, dall’università appena nata, piccola e agile, a una realtà la cui qualità è riconosciuta ormai anche a livello nazionale. Siamo quindi in una fase di consolidamento, che ci chiede di rafforzare tutta una serie di servizi e ci impone, al contempo, un naturale senso di responsabilità. Un esempio: non possiamo più permetterci di non tematizzare la sostenibilità, di non metterci in gioco e di non rispettare determinati canoni».
Proprio un anno fa, al Dies 2023, aveva ricevuto la catena d’oro da Lorenzo Cantoni. Aveva ereditato anche una situazione non facile, reduce da troppe tensioni.
«Quando sono entrata in carica, è vero, l’università arrivava da due anni difficili. Non c’ero, ma mi sono stati descritti. E in effetti siamo dovuti ripartire, e non è stato facile. In questo periodo di transizione, tutta una serie di attività è stata messa in pausa, abbiamo dovuto quindi fare un passo indietro, potenziando le aree più in sofferenza e ripartendo. Sinceramente, ci è voluto un po’ di tempo, e ce ne vorrà ancora, prima di tornare a una normalità».
Che cosa intende per normalità?
«Un’università la cui gestione stia del tutto al rettorato e unicamente l’alta sorveglianza al Consiglio».
Oggi non è così quindi?
«È un processo, e penso si debba ancora completare il lavoro in questa direzione. Stiamo cercando di tornare a questa normalità. È chiaro che, normalmente, gli aspetti gestionali dell’università non dovrebbero essere tra i ruoli del Consiglio, ma è altrettanto chiaro che arriviamo da un periodo in cui il Consiglio era stato chiamato ad assumere alcune responsabilità. Non siamo ancora tornati ad una del tutto normale suddivisione dei ruoli tra gli organi competenti. Bisogna spingere in questa direzione, continuare a farlo, affinché si arrivi ognuno al completo rispetto del proprio ruolo e dei ruoli altrui».
Il mondo universitario svizzero ha recentemente preso posizione sulla situazione finanziaria degli atenei, ritenendo insufficienti i fondi previsti dalla politica per la formazione universitaria. Si respira anche all’USI tale preoccupazione?
«Lo scorso anno non sono state fatte tante di quelle cose che le università normalmente fanno. A cominciare dal 2024, tuttavia, i tagli nei finanziamenti cantonali si stanno facendo sentire. D’altronde, siamo in un periodo di transizione, in cui la crescita dei finanziamenti pubblici, nel nostro caso dal Cantone, non tiene il passo delle previsioni sull’inflazione. Per cui, in questo senso, per essere chiari, secondo la pianificazione 2025-2028, al 2028 saremo sotto al livello del 2022. Andiamo incontro, insomma, a una riduzione dei finanziamenti, più che a una crescita. E allora, di pari passo, sarà difficile crescere come università, anche perché, a quel punto, dovesse crescere il numero di studenti, peggiorerebbe il rapporto con loro, la qualità di un insegnamento che andrebbe allargato. Il fatto è che non avremmo i mezzi per adeguarlo. Riassumendo, è chiaro come nel medio periodo il sostegno pubblico e l’investimento pubblico stiano vivendo una contrazione, e chiaramente ciò è preoccupante».
Nella sua prima intervista al CdT, aveva parlato dei suoi obiettivi in termini di parità tra uomini e donne nel corpo docenti. Sono stati fatti passi avanti?
«Abbiamo fatto partire una serie di assunzioni a livello accademico, e una di queste assunzioni è già stata ufficializzata. In questo senso, sono felice di dire che abbiamo assunto una professoressa assistente “tenure track”, una giovane professoressa quindi, destinata all’Istituto di finanza. La seconda ricerca dovrebbe concludersi in questi giorni e posso già anticipare che la persona individuata è un’altra donna. Per ora, quindi, siamo al 100% di assunzioni al femminile. L’obiettivo non è assumere solo donne, ma piuttosto strutturarci per arrivare a una situazione di equilibrio tra i generi. Come? Per esempio, assicurandoci che le nostre commissioni di preavviso siano composte da due rappresentanti per genere, oppure chiedendo che nelle short-list di candidati a un ruolo ci sia una equilibrata rappresentanza di entrambi i generi. E poi abbiamo attivato un network per anticipare la conoscenza di giovani donne post-doc particolarmente valide. Insomma, stiamo lavorando sul futuro».
Tra gli ospiti del Dies academicus, ci sarà anche Shane Legg, un ex studente dell’USI e un’autorità in termini di intelligenza artificiale. Ecco, in questo ambito quali saranno le sfide per un’università come l’USI e per i suoi studenti?
«L’USI è storicamente all’avanguardia in questo ambito, grazie alla presenza e al lavoro dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale USI-SUPSI. Siamo quindi ben posizionati per continuare ad avere un ruolo importante e per creare nuovi talenti, i quali andranno magari a dare vita a nuove startup di successo oppure diventeranno a loro volta ricercatori o insegnanti. Poi, detto questo, è chiaro come l’IA ponga una serie di domande cruciali per un’università, da un lato in termini di etica - tema fondamentale in futuro - e dall’altro di sostenibilità. Perché è vero che è uno strumento importante per far progredire la conoscenza, ma è anche vero che richiede un grosso impegno in fatto di risorse computazionali. Dovremo capire, di volta in volta, quali siano le migliori pratiche, andando a trovare un giusto bilanciamento tra i fattori, tra la ricerca e la sostenibilità».