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Coca-Cola tenta di rilanciarsi, ma lo spot è un disastro

Confrontata con un calo delle vendite in Bangladesh, l'azienda di Atlanta ha ideato una campagna pubblicitaria in cui nega di essere legata a Israele facendo però una gaffe clamorosa
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Red. Online
23.08.2024 20:00

Coca-Cola tenta la mossa per rilanciare le vendite della sua popolare bevanda in diversi Paesi asiatici, Bangladesh in primis, ma fa un pasticciaccio. La campagna promozionale che avrebbe dovuto mettere in buona luce l'azienda di Atlanta le ha infatti arrecato un danno d'immagine non indifferente.

Ma cosa è successo? Andiamo con ordine. A raccontare la vicenda è Al Jazeera. Dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, come molte altre aziende statunitensi, anche Coca-Cola ha registrato un calo delle vendite in numerosi Paesi di fede musulmana. In questi luoghi, infatti, le multinazionali a stelle e strisce vengono percepite come legate a Israele.

Particolarmente delicata la situazione in Bangladesh, dove il colosso di Atlanta ha visto le proprie vendite diminuire del 23% dallo scoppio delle ostilità nella Striscia di Gaza. Per cercare di invertire la tendenza, Coca-Cola ha così intensificato le campagne pubblicitarie acquistando paginate di pubblicità sui giornali e posizionamenti di rilievo sui siti d'informazione. Tra le varie mosse, l'azienda ha quindi deciso di scritturare Sharaf Ahmed Jibon, un attore molto popolare nel Paese, per uno spot volto a sottolineare l'inesistenza di un legame con Israele. La pubblicità è ambientata in un mercato durante una calda giornata. Un ragazzo si avvicina alla bancarella di un commerciante che sta guardando sul proprio cellulare una video musicale di Coke Studio, un popolare programma promosso dall'azienda di Atlanta in diversi Paesi dell'Asia meridionale. «Come stai, Sohail? Devo darti una Coca?», chiede il negoziante. Il ragazzo gli risponde: «No fratello, non bevo più questa roba». Sorpreso, il venditore gli chiede allora come mai e il ragazzo spiega: «Questa roba viene da «quel posto»». Inutile dire che, dicendo «quel posto», il giovane fa riferimento a Israele. Il proprietario della bancarella, conversando con il ragazzo e i suoi amici, spiega allora che la Coca-Cola non proviene da «quel posto» e che le informazioni che ve la collegano sono errate. Quindi la ciliegina sulla torta: «Persino in Palestina c'è una fabbrica di Coca-Cola», precisa il venditore.

È proprio quest'ultima affermazione ad avere scatenato le polemiche e ad aver arrecato un brutto danno d'immagine a Coca-Cola. Molti abitanti del Bangladesh, in particolare, hanno accusato l'azienda di Atlanta di essere insensibile e imprecisa nella realizzazione delle proprie campagne pubblicitarie. La fabbrica citata nello spot, in effetti, si trova sì in Cisgiordania, ma all’interno di Atarot, uno degli insediamenti israeliani considerati illegali dalla comunità internazionale. «È un'affermazione assolutamente insensibile e falsa», ha dichiarato ad Al Jazeera Nadia Tabassum Khan, ricercatrice di mercato a Dacca. «È un insulto ai milioni di palestinesi che da tempo stanno perdendo le loro terre a causa dell'occupazione forzata di Israele». In un Paese in cui la principale religione praticata dalla popolazione è l'islam, molta gente simpatizza con la popolazione palestinese e ritiene gli occupanti israeliani colpevoli di crimini contro l'umanità.

Prima di venire sospeso, a giugno lo spot è stato trasmesso durante i mondiali di cricket T20, lo sport più seguito in Bangladesh.

Dopo che, inizialmente, Coca-Cola, interrogata sulla questione, si era rifiutata di rispondere alle sollecitazioni di Al Jazeera, negli ultimi giorni si è scusata. «Riconosciamo che il video mancava il punto, e ci scusiamo. Il video è stato rimosso da tutte le piattaforme», ha detto al Washington Post Scott Leith, vicepresidente per la comunicazione strategica globale del gruppo.

Coca-Cola non è comunque stata la sola a scusarsi pubblicamente. Qualche mese fa anche il popolare attore Sharaf Ahmed Jibon aveva chiesto perdono sottolineando che mai avrebbe «sostenuto Israele». Ugualmente un altro volto dello spot, Shimul Sharma, aveva domandato scusa.

Secondo alcuni analisti, il ramo pubblicitario non è comunque l'unico su cui ha puntato Coca-Cola per migliorare la propria immagine nei Paesi di fede musulmana. In questa prospettiva andrebbe infatti analizzata anche la vendita, avvenuta in febbraio, del ramo che imbottiglia la famosa bibita in Bangladesh alla filiale turca Coca-Cola İçecek. Così facendo, in effetti, l'azienda di Atlanta ha affidato a un'impresa di un Paese prevalentemente musulmano il mercato di un altro Paese a maggioranza musulmana.

A mettere il piede in fallo in una campagna pubblicitaria non è comunque stata solo Coca-Cola. Anche le scelte di marketing della concorrente Pepsi hanno di recente suscitato più di una perplessità. Lo scorso maggio, infatti, Pepsi aveva lanciato una campagna promozionale in Egitto al grido di «Resta assetato». Ora, vista la vicinanza dell'Egitto a Gaza e considerando la situazione nella Striscia, dove mancano cibo e acqua, alcuni avevano storto il naso ritenendo che si sarebbe potuto scegliere uno slogan diverso.

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