Russia

Come ai tempi dell'URSS: i russi spediti in galera per colpa dei cittadini-spia

Il caso della pediatra Nadezhda Buyanova, condannata a cinque anni e mezzo dopo essere stata denunciata dalla madre di un bambino in cura, non è affatto isolato
©Pavel Bednyakov
Red. Online
16.11.2024 19:00

Riavvolgiamo il nastro. Lo scorso gennaio, una donna ha portato suo figlio dal dottore. Anzi, dalla dottoressa: Nadezhda Buyanova, pediatra di un policlinico a nordovest di Mosca. Il bambino, sette anni, lamentava un problema a un occhio. La conversazione fra la madre del bambino e il medico, poco meno di venti minuti in tutto, avrebbe cambiato per sempre la vita a entrambe. E questo perché Buyanova, 68 anni, proprio a causa di quello scambio di parole è finita in prigione.

Il caso Buyanova

Il caso, come riferisce Reuters, in questi giorni ha guadagnato i riflettori sia in Russia sia, soprattutto, all'estero. Testimonia, fra le altre cose, di una tendenza in atto oramai da tempo, nel Paese: quella di denunciare i propri concittadini. Consentendo, così, al governo del presidente Vladimir Putin di reprimere il dissenso. Anastasia Akinshina, in un video registrato mentre usciva dal policlinico, ha riferito di aver detto alla pediatra che suo figlio era traumatizzato per aver perso suo padre, morto in combattimento in Ucraina. La dottoressa, ha aggiunto Akinshina imitando la voce e l'intonazione del medico, ha risposto che suo marito «era un obiettivo legittimo dell'Ucraina». Parole che hanno spinto la donna a rivolgersi all'amministrazione dell'ospedale. Amministrazione che, tuttavia, secondo Akinshina avrebbe tentato di nascondere quanto accaduto.

Di qui la domanda: «Dove posso lamentarmi di questa p*****a ora, in modo che venga cacciata da questo c***o di Paese o mandata al diavolo in prigione?» ha ribadito la donna nel video, diventato virale sui social media e, parallelamente, materiale da processo. Processo al termine del quale Buyanova – pur negando di aver fatto quel commento e nonostante la mancanza di testimoni terzi – è stata condannata a cinque anni e mezzo di carcere per aver diffuso false informazioni sull'esercito russo. All'improvviso, quarant'anni di carriera nella pediatria sono andati in fumo. E con essi un'intera vita dedicata agli altri. In detenzione preventiva da aprile, Buyanova è comparsa martedì davanti a un tribunale di Mosca, i capelli grigi ben raccolti e l'aria di chi, dentro di sé, sapeva a che cosa sarebbe andata incontro. Una condanna, appunto. La pediatra è stata giudicata colpevole in base a una legge sulla censura di guerra. Legge che vieta di «diffondere pubblicamente informazioni deliberatamente false» sulle forze armate.

Buyanova, spiega Reuters, è nata in Ucraina ma è cittadina russa. Vive e lavora nel Paese da tre decenni. Secondo la difesa, proprio le origini della pediatra avrebbero spinto Akinshina a rivolgersi alle autorità per denunciarla. Al processo, ad esempio, ha dichiarato: «Noi siamo russi. E Buyanova odia i russi. Prova ostilità nei miei confronti, questo è ciò che penso». L'accusa, dicevamo, non ha tenuto conto del parere della dottoressa. Ha soltanto ascoltato due dipendenti dell'ospedale, secondo cui Akinshina dopo il consulto per il figlio era sconvolta. L'accusa, per contro, si è basata sul racconto della donna e su una trascrizione di un colloquio con il bambino condotto da un ufficiale dell'FSB. In un primo momento, Akinshina ha spiegato che suo figlio non si trovava nella stessa stanza della pediatra quando ha parlato del marito morto. In seguito, tuttavia, ha cambiato la sua versione dichiarando alla corte che le sue prime affermazioni erano state fatte in stato di shock. Inciso: alla difesa è stato negato il permesso di parlare con il bambino.

Ma chi denuncia chi?

Secondo il gruppo per i diritti umani OVD-Info, dall'inizio dell'invasione su larga scala dell'Ucraina, nel febbraio del 2022, in Russia sono stati aperti diversi procedimenti penali basati su denunce. L'organizzazione ha pure riferito di molte persone che hanno affrontato accuse amministrative per aver «screditato» l'esercito russo. Detto che questi dati non sono verificabili in modo indipendente, il Ministero della Giustizia ha preferito non pronunciarsi alle richieste di commento inviate da Reuters. Dmitry Peskov, il portavoce di Vladimir Putin, pure lui sollecitato dall'agenzia di stampa ha spiegato che il Cremlino non commenta le sentenze dei tribunali. 

Lo stesso Putin, per contro, sul tema è stato sin troppo chiaro: la Russia, ai suoi occhi, sta combattendo una guerra per procura contro l'Occidente. E i cittadini, in questo senso, sono chiamati a fare la loro parte. Come? Aiutando a sradicare i nemici interni. Nel marzo 2022, poche settimane dopo l'invasione su larga scala, il leader del Cremlino aveva dichiarato che il popolo russo sarebbe sempre stato «in grado di distinguere i veri patrioti dalla feccia e dai traditori». Feccia e traditori da «sputare via come un moscerino che è finito accidentalmente in bocca».

Dall'inizio della guerra in Ucraina, dati di OVD-Info alla mano, le autorità hanno arrestato più di 20 mila persone per varie forme di dichiarazioni o proteste contro la guerra e hanno avviato procedimenti penali contro 1.094 persone. Nei notiziari, nei casi giudiziari e sui social media, sono emersi esempi di vicini che denunciano altri vicini, di fedeli che denunciano i sacerdoti e di studenti che denunciano gli insegnanti. Per alcuni, il clima attuale che ne deriva ricorda l'atmosfera di sfiducia e sospetto reciproco che si respirava sotto il regime comunista sovietico.

Olga Podolskaya, un'ex deputata municipale della regione di Tula, a sud di Mosca, nelle prime ore dopo l'invasione dell'Ucraina aveva aggiunto la sua firma a una lettera aperta che descriveva la guerra come «un'atrocità senza precedenti» e invitava i cittadini a esprimersi contro di essa. Quattro mesi dopo, era stata oggetto di una denuncia pubblica che chiedeva di indagare sulle sue finanze dopo che Podolskaya aveva raccolto donazioni pubbliche per pagare una multa legata a una protesta nel 2020. La denuncia era stata presentata sotto il nome di «Olga Minenkova», ma Podolskaya aveva spiegato che non è mai stata identificata una persona del genere. Di qui il sospetto che l'identità della denunciante fosse falsa. Proprio Podolskaya, nel descrivere la vicenda, aveva detto che quanto accaduto le aveva fatto pensare al suo bisnonno, giustiziato sotto il dittatore sovietico Josef Stalin nel 1938. «Ho capito che mi stavano suggerendo di lasciare il Paese». Detto, fatto: Podolskaya ha lasciato la Russia da oltre un anno e, nel frattempo, è stata inserita nella lista pubblica degli «agenti stranieri» del Ministero della Giustizia. 

Andrei Prokofiev, un medico, era invece stato preso di mira nel 2023 da una vera e propria informatrice, Anna Korobkova. Capace, solo nel primo anno di guerra, di inviare qualcosa come 764 denunce alle agenzie governative. Informare le autorità, aveva spiegato, fa parte del suo DNA visto che suo nonno aveva lavorato con la polizia segreta ai tempi di Stalin. Prokofiev, che vive in Germania, ha dichiarato a Reuters di temere un eventuale ritorno in Russia: «Non credo che riuscirei a uscire dall'aeroporto. Aprirebbero subito un procedimento penale». Il medico conosce molto bene la collega Buyanova: quando viveva in Russia, suo figlio era uno dei sui pazienti. Oggi, la descrive come una persona tranquilla, «una figura anziana di un'epoca passata». Non certo un nemico dello Stato. Non solo, Prokofiev era fra i 1.035 medici che hanno dichiarato, tramite una lettera aperta, solidarietà alla pediatra condannata. Dopo avere firmato la missiva, almeno sette medici sono stati interrogati dalla polizia. 

Nessuno può sfidare Putin

Il fatto di aver condannato una donna di quasi 70 anni, dal profilo professionale importante, è significativo a detta di Rachel Denber, vicedirettrice della divisione Europa e Asia centrale di Human Rights Watch. Secondo l'esperta, è il segnale che nessuno può permettersi di sfidare la linea ufficiale del Cremlino sull'Ucraina. E attenzione: al di là delle affermazioni di Buyanova riguardo al commento sul marito della donna, ovvero che non ha mai detto che l'uomo era un obiettivo legittimo dell'esercito di Kiev, una simile esternazione sarebbe comunque stata corretta. Detto in altri termini, il diritto internazionale e in particolare le Convenzioni di Ginevra consentono l'uso della forza contro combattenti nemici chiaramente identificati in determinate situazioni.

Durante il processo, l'accusa ha fornito dettagli riguardanti i messaggi e le immagini presenti nel cellulare di Buyanova. Niente, nella fattispecie, che fosse riconducibile alla conversazione con Akinshina. Eppure, quel materiale è stato comunque utilizzato per disegnare l'immagine di una persona con opinioni anti-russe e filo-ucraine. Secondo la difesa, messaggi e immagini non appartenevano a Buyanova. La pediatra, nel suo discorso finale, pronunciato in lacrime, ha chiesto alla corte di tenere conto della sua età, della sua salute fragile e dei decenni in servizio. Dicendo, poco prima della sentenza, di essere sconvolta. «Non riesco a capacitarmene» ha detto ai giornalisti.