Ucraina

«Conosco Putin da 30 anni, ecco come può essere fermato»

Parla Marek Halter, scrittore ed ex presidente dell’Istituto Sakharov
Prisca Dindo
27.03.2022 06:00

Nella sua casa di Parigi il telefono squilla spesso. Marek Halter, 86 anni, scrittore di orgine ebrea, nato nel ghetto di Varsavia da una poetessa yiddish e un tipografo, è ricercato da giornali e tv di tutta Europa. La sua famiglia dopo l’invasione nazista in Polonia è fuggita in Ucraina e poi è stata trasferita a Kokand, nell’Uzbekistan. Ha fondato due centri universitari, uno a Mosca l’altro a San Pietroburgo, dove nel 1992 ha conosciuto Vladimir Putin. È stato presidente dell’Istituto Andrei Sakharov, è stato amico di Yitzhak Rabin, Shimon Peres e Yasser Arafat e ha partecipato alle trattative di pace tra israeliani e palestinesi. Ha scritto decine di saggi e collabora con diversi quotidiani a livello internazionale.

Marek Halter, come conobbe Vladimir Putin?
«A San Pietroburgo, ad una cena organizzata dall’allora sindaco Anatolij Aleksandrovič Sobčak. Avevamo appena inaugurato in città il secondo collegio universitario francese in Russia. Era il 1992. Il muro di Berlino era caduto tre anni prima. Seduto tra me e la ministra francese degli Affari europei Élisabeth Guigou c’era un giovane uomo. Biondo, lo sguardo timido. Non parlava né inglese né francese. Mi scusi, gli chiesi in russo, mi può gentilmente dire qual è la sua funzione? Mi rispose che era il responsabile delle relazioni internazionali all’interno dello staff del sindaco. Gli chiesi come facesse ad avere quel ruolo senza conoscere le lingue, ma lui mi spiegò che in realtà una lingua la parlava. Era il tedesco. Lo aveva imparato nei sei anni trascorsi nella Germania dell’Est. "Sa, allora - puntualizzò - ero un James Bond, uno 007 dell’Unione Sovietica". Era un ex funzionario del KGB, il servizio segreto dell’Unione Sovietica».

Un riferimento cinematografico particolare per un ex funzionario del KGB…
«Sì, mi incuriosì. Gli chiesi il nome. E lui mi rispose: sono Vladimir Vladimirovič Putin».

Quante volte l’ha incontrato?
«Diverse volte. Quando venne eletto presidente, ero al suo primo incontro con la stampa occidentale. In quell’occasione raccontò la sua vita. Ricordò suo padre, che venne ferito durante la guerra; la sua infanzia, trascorsa in un appartamento collettivo insieme a due altre famiglie ebree. Ricordò come queste famiglie si occuparono di lui quando perse i genitori. Lo conosco da quasi trent’anni».

Quando l’ha incontrato per l’ultima volta?
«Lo scorso gennaio. Il rettore dell’Università di Mosca organizzò la festa del mio compleanno nella capitale. Festeggiai i miei 86 anni in una sala del Cremlino messa a disposizione da Putin. Il presidente russo è pure passato a farmi gli auguri. E ha lasciato un messaggio che ha fatto leggere al suo consigliere. “Non si può non avere nostalgia dell’Unione Sovietica: ha saputo riunire in un sogno comune quindici repubbliche. Tuttavia sarebbe davvero insensato pensare di ricostruirla”».

O Putin ha perso la testa, come succede spesso agli uomini di potere, oppure ha avuto informazioni che nessuno di noi conosce

Un mese dopo ha invaso l’Ucraina…
«Già… Ecco perché al mio ritorno da Mosca dichiarai che non ci sarebbe stata alcuna guerra. Perché mi riferivo proprio al messaggio che mi scrisse meno di un mese prima al mio compleanno. Secondo me in quel lasso di tempo deve esser successo qualcosa che io non conosco. O ha perso la testa, come succede spesso agli uomini di potere. Oppure ha avuto informazioni che nessuno di noi conosce».

Come descriverebbe l’uomo Putin?
«Un politico non lo si conosce mai veramente. Non è un amico con il quale si esce a bere un caffè o una birra. Pensa alla sua carriera. Tuttavia posso dire che Putin è un personaggio molto russo. Nel romanzo Guerra e pace di Lev Tolstoj lui impersonificherebbe alla perfezione il generale Kutuzov».

Perché?
«Putin è un patriota. E siccome crede che la Russia sia stata umiliata dall’Occidente dopo la caduta del muro di Berlino, pensa di avere una missione: ridare alla Russia la giusta posizione nel mondo. Ossia tra la Cina e gli Stati Uniti. Le tre grandi potenze che secondo lui governano la terra».

E l’Europa?
«Putin la considera ormai come un subcontinente americano. Per lui l’Europa ha perso la forza di un tempo».

Secondo me Putin è solo. Ha ancora qualche consigliere del vecchio KGB che però non considera. Penso che l'unica persona che rispetta sia Lavrov

Secondo lei Putin è un uomo solo?
«Sì, secondo me è solo. Ha ancora qualche consigliere del vecchio KGB che però non considera. Penso che l’unica persona che rispetta sia Lavrov, il ministro degli Affari esteri. Lavrov è un uomo colto, conosce le lingue. Ma soprattutto conosce il mondo. Putin no. Sa come viene chiamato tra le mura del Cremlino? Il «Capo». Non il Presidente. Prima aveva sua moglie Ludmilla. Ma poi c’è stato il divorzio. Ed è pericoloso quando accanto a te non c’è più nessuno in grado di fermarti all’ultimo minuto».

Lei ha dichiarato più volte che per fermare le guerre ci vogliono parole, non armi. Perché?
«Mio nonno Abramo vide un giorno nel ghetto di Varsavia un nazista agguantare un ragazzino ebreo che vendeva delle sigarette. Il tedesco prese il revolver dal fodero e gli sparò un colpo in testa. Allora mio nonno, che era un religioso, fermò il nazista, lo guardò dritto negli occhi e gli chiese: “Warum?”. Il nazista fu così turbato da quella domanda, da quel semplice “Perché?”, che invece di uccidere pure mio nonno, se ne andò via. “Hier gibt es kein Warum” disse prima di girare i tacchi».

Durante l’invasione russa in terra ucraina non si può certo dire che il presidente Volodymyr Zelensky non abbia utilizzato le parole…
«Certo. Ma nei suoi messaggi Zelensky non si rivolge mai direttamente a Putin. Parla alla gente. Sono persuaso che se annunciasse in diretta tv: “Oggi mi rivolgo al presidente della federazione russa Wladimir Putin” e se proseguisse fornendo le garanzie che per altro ha già comunicato in questi giorni, Putin fermerebbe la guerra. Si siederebbe al tavolo delle trattative e discuterebbe insieme al presidente ucraino. Putin vuole essere riconosciuto come capo di una delle tre superpotenze. Vuole essere trattato con riguardo».

Ora si tratta di fermare questa guerra. Al più presto. Io credo che siamo ancora in tempo. 

È un po’ difficile utilizzare i guanti di velluto con uno che sta invadendo un Paese sovrano massacrando civili…
«Non abbiamo alternative. Sarà la storia a giudicare Putin. Ora si tratta di fermare questa guerra. Al più presto. Io credo che siamo ancora in tempo. Sa una cosa? Penso che se l’incontro si farà, si svolgerà a Gerusalemme. Credo che che Putin lo vorrebbe organizzare proprio lì. Sono sicuro che l’idea piacerebbe anche a Zelensky viste le sue origini ebraiche».

Se l’arma della parola fa cilecca cosa succederà in Ucraina?
«Il ruolo degli Stati Uniti è fondamentale. Gli americani intendono indebolire i russi. Il presidente statunitense Biden da una parte non vuole entrare in guerra, dall’altra si sposta in Europa per fornire sostegno all’Ucraina. In realtà il messaggio è per i cinesi: vuole mostrare loro che non conviene sfidare l’America. Se Putin esce con la testa alta dal conflitto, nel giro di tre mesi la Cina invade Taiwan. Per il momento sono gli americani che frenano Zelensky».

Putin non potrebbe fare marcia indietro?
«No. Sul piano politico perderebbe la faccia con il suo concorrente diretto, che è l’America. Significherebbe che la sua armata non è all’altezza. Ma anche agli occhi dei russi sarebbe una sconfitta. Non bisogna dimenticare che quello russo è un popolo patriota. Nei giorni scorsi ho scritto a Zelensky. Tra le varie proposte che gli ho suggerito per uscire dall’incubo, ce n’è una che riguarda proprio l’incontro con il presidente russo. Quel giorno - gli ho scritto - dovrà chiedere al mondo intero di far suonare le campane a festa e le sirene a tutto spiano».

E Zelensky che le ha risposto?
«Di tutto ciò che Malek mi propone - ha detto - la cosa più bella sono proprio le sirene».

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