Corni delle Alpi: da Muzzano al Giappone con furore

Cos’hanno in comune corni delle Alpi e pipe? Il materiale di cui sono fatti (il legno), la forma (almeno vagamente) e la passione di chi li produce. Oggi parliamo proprio di loro – di quei professionisti che hanno recuperato e interpretato a modo loro attività tanto antiche quanto particolari – nella seconda puntata di approfondimento sui mestieri artigianali (nella prima ci eravamo concentrati sul settore tessile, leggi CdT dell’11 gennaio). Partiamo dagli ultimi due produttori di corni delle Alpi attivi nella Svizzera italiana.
I corni delle Alpi creati da Aldo Bugada, a Muzzano, sono andati lontano. «Uno è a Roma. Lo possiede il vallesano François Fournier, il maestro della banda musicale della Guardia svizzera pontificia. Un altro è finito nel Paese del sol levante». Acquistato da clienti molto speciali: un gruppo di pensionati e musicisti giapponesi con una passione sfegatata per il folklore svizzero: il Tamagawa Alphorn Club. «Sono davvero forti», dice Aldo. «Suonano il corno delle alpi ma pure lo schwyzerörgeli (una piccola fisarmonica, ndr.), cantano lo jodel e indossano i costumi tradizionali elvetici. Nel 2017 hanno attraversato la Svizzera in diverse tappe, viaggiando tra le montagne in cerca d’ispirazione e incontrando alcuni maestri». E sono arrivati anche in Ticino, alla falegnameria che il nostro interlocutore gestisce insieme al fratello, un’impresa di famiglia attiva dal 1937. «Erano interessati ai metodi di costruzione dei nostri corni delle Alpi e, in primavera, torneranno per comprarne alcuni. Parlano giapponese, pochissimo inglese. Quando ci scriviamo via e-mail c’è da morire dal ridere». Però, alla fine, in un qualche modo ci si capisce. Le passioni comuni avvicinano i cuori.
Fino a qualche anno fa l’artigiano luganese non aveva mai suonato uno strumento e non aveva la minima idea di cosa fossero le note musicali. Però, sfogliando il programma dei corsi per adulti organizzati dal cantone, è stato attratto da un’attività particolare. «I figli sono cresciuti e cercavo qualcosa da fare nel tempo libero insieme a mia moglie. Qualcosa di svizzero...». Così ha iniziato a suonare il corno delle Alpi e, in seguito, a costruirne (i primi prototipi sono del 2015). Attualmente il «nostro» produce una quindicina di strumenti l’anno – che si possono scomporre in tre parti per trasportarli con più facilità – impiegando per ognuno circa una settimana di lavoro. Un lavoro da certosino, non evidente nemmeno per chi è abituato a maneggiare il legno.

La costruzione, ci spiega, inizia con la scelta dell’abete di risonanza proveniente dai Grigioni. Questo viene tagliato in forma (da una macchina), lavorato a mano con precisione decimale, assemblato con boccole in alluminio e rivesto in midollino (midollo di giunco). L’anello della campana, il supporto del bocchino e l’appoggio del corno sono in noce massiccio recuperato in Val di Blenio. I bocchini, di varie dimensioni, prevedono «essenze» diverse: dal pero e prugno (maggiormente teneri) all’ulivo ed ebano (più duri). La tonalità dello strumento dipende dalla lunghezza che può variare dai 2 e 50 ai 4 metri. «Il costo di un corno buono – spiega l’esperto – va dai 3 ai 4 mila franchi».

Alcuni dei suoi strumenti, come detto, sono andati lontano ma parecchi sono rimasti in Ticino dove il corno delle Alpi pare andare forte (i corsi per adulti sono frequentati ed esistono diversi gruppi e associazioni). «Anche se non è nato nel nostro cantone», sottolinea Aldo. «E inizialmente non era nemmeno uno strumento musicale in senso stretto. Oltralpe era utilizzato già dal Medioevo per radunare le mucche al pascolo o per mandare segnali da una valle all’altra. Essendo un corno naturale, ossia un legno dalla sezione conica senza fori né altro, può emettere un limitato numero di note, una quindicina (i soli armonici). Ha però una notevole risonanza e può essere udito per diversi chilometri. Pensate che la domenica mattina da casa nostra, a Montagnola, sentiamo qualcuno suonarlo credo a Pura. Chissà chi è? Noi aspettiamo e quando smette attacchiamo un pezzo. Lui fa lo stesso. Ci divertiamo un mondo insieme ad uno sconosciuto».

Suona e produce completamente a mano corni delle Alpi anche il 35.enne Bruno Cattaneo di Roveredo Grigioni (nella foto sopra). «Il merito è di mio cognato che mi ha spinto a comprarlo dopo aver assistito ad un’esibizione. Mi ha fatto provare e quei due o tre versacci che sono riuscito ad emettere sono bastati per farmene innamorare». Poi l’amicizia con Martin Christen ha fatto il resto: «Fa lo spazzacamino qui in Mesolcina e suona il corno delle Alpi da quando aveva 5 anni. Suo padre era compositore di musica e il nonno costruttore di quello che è considerato lo strumento nazionale svizzero. Martin ci ha insegnato con pazienza e simpatia». Così nel 2011 è nato l’Eco della Mesolcina. «Un gruppo di amici pronto a tutto», dice il nostro interlocutore che, nello stesso anno, ha iniziato a costruire corni delle Alpi soprattutto d’inverno, quando l’attività è un po’ ferma. Ne produceva una decina l’anno, impiegando circa 60 ore di lavoro per ciascuno. «Mi sono informato sui libri e su Internet ma si trova poco... Ogni costruttore, infatti, custodisce gelosamente i propri segreti». Dopo diversi tentativi sono arrivati i primi rudimentali modelli. Gli ultimi sono stati giudicati estremamente validi a livello svizzero.
Purtroppo domenica 28 gennaio 2018 l’artigiano ha perso in poco tempo tutto il suo lavoro. Un rogo ha infatti mandato in cenere il laboratorio in cui produceva i suoi pregiati strumenti. Però lui non si è arreso e i suoi colleghi hanno lanciato una raccolta fondi per aiutarlo. «In queste settimane sto rivedendo i brevetti», ci confida. «E aspetto i permessi per costruire un nuovo atelier a Grono». Speriamo che tutto vada liscio così che i suoi corni delle Alpi possano presto tornare a suonare.