Anniversari

Cosa ha lasciato il caso Kopp

Trent’anni fa le dimissioni della prima consigliera federale, complici le traversie giudiziarie del marito - La vicenda diede un impulso alla legislazione antiriciclaggio: il ricordo dell’avvocato Paolo Bernasconi
Elisabeth Kopp il giorno della partenza da Berna. (Foto Keystone)
Giovanni Galli
06.01.2019 15:10

BERNA - Trent’anni fa come in questi giorni, a Berna si vivevano momenti di forte tensione. La consigliera federale Elisabeth Kopp, la prima donna eletta nell’Esecutivo federale, si apprestava ad uscire bruscamente di scena. In Governo dal 1984, la giurista zurighese (allora 52 anni) dirigeva il Dipartimento di giustizia e polizia quando il Tages Anzeiger – siamo nel novembre del 1988 – alzò il velo sulla «Lebanon Connection», una grossa vicenda di riciclaggio di narcodollari (per un importo pari a 1,5 miliardi di franchi) portata alla luce dalle autorità giudiziarie ticinesi e zurighesi. Fra le società sospettate di aver preso parte alle operazioni c’era anche la Shakarchi Trading AG, attiva nella compravendita di oro, di cui era stato vicepresidente Hans W. Kopp, marito della consigliera federale, già condannato penalmente per truffa e falsità in documenti, e personaggio chiacchierato del mondo degli affari. La situazione di Elisabeth Kopp si complicò a inizio dicembre, due giorni dopo l’elezione a vicepresidente della Confederazione. Il quotidiano «Le Matin» rivelò che la consigliera federale, il 27 ottobre, aveva informato il marito che la Shakarchi era sotto inchiesta. Grazie all’informazione ottenuta in via confidenziale dalla moglie, Hans W. Kopp diede subito le dimissioni dal vertice della società. Il Consiglio federale convocò una seduta straordinaria, nella quale la direttrice del Dipartimento di giustizia e polizia ammise di avere informato il coniuge, consigliandogli di lasciare la Shakarchi. A seguito delle forti pressioni, il 12 dicembre 1988 Elisabeth Kopp annunciò le dimissioni per la fine di febbraio. Sostenne di non essere colpevole né moralmente né giuridicamente, in quanto a suo dire le informazioni le vennero passate in via «ufficiosa» da una collaboratrice dipartimentale e non in virtù della sua carica. Non considerò tuttavia le implicazioni politiche della vicenda, che le costarono la carriera. Il 20 dicembre, il procuratore di Basilea Città Hans Hungerbühler, venne nominato procuratore straordinario per fare luce sulla telefonata. Il magistrato, l’11 gennaio 1989, domandò la revoca dell’immunità della consigliera federale, che l’indomani si ritirò con effetto immediato, con oltre un mese e mezzo d’anticipo sulla data annunciata. Il 31 gennaio venne poi nominata una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta dal consigliere nazionale socialista Moritz Leuenberger. Kopp venne processata nel febbraio del 1990 dalla Corte penale federale per violazione del segreto d’ufficio, ma fu scagionata.

L’uscita dal Tribunale federale con il marito, nel 1990. (foto Keystone)
L’uscita dal Tribunale federale con il marito, nel 1990. (foto Keystone)

La genesi
Il caso Kopp non si limitò a destare scalpore per i suoi aspetti personali e politici. Fu anche la molla che fece della Svizzera un Paese precursore nella lotta al riciclaggio di denaro. L’articolo che punisce questo reato entrò in vigore il 1. agosto 1990. La sua genesi coincise con la parabola politica dell’ex ministro della Giustizia. Il primo impulso lo diede nell’estate del 1986 proprio l’allora direttrice del Dipartimento federale di giustizia e polizia, incaricando l’ex pp sottocenerino Paolo Bernasconi, esperto in criminalità economica e finanziaria, di allestire un avamprogetto di legge. Il secondo, e ben più decisivo stimolo, venne due anni più tardi dal caso che coinvolse il marito della consigliera federale.

La «Pizza Connection»
Nel 1986, ricorda l’avvocato luganese, «venni invitato come conferenziere all’assemblea annuale della Società svizzera di diritto penale. In prima fila sedeva Elisabeth Kopp. Avevo previsto un intervento sulla criminalità economica, ma poi mi concentrai sul tema del riciclaggio, dicendo che mancava una norma nel Codice penale. Citai ad esempio il caso del filone svizzero della “Pizza Connection”, nel quale l’anno prima, in veste di procuratore pubblico, mi vidi costretto a fare degli equilibrismi giuridici per riuscire ad ottenere in aula una condanna, proprio a causa dell’assenza di una norma che colpisse il riciclaggio. Ricordo che dovetti invocare la tesi del finanziamento del traffico di stupefacenti. Nel senso che gli imputati, con il provento del traffico di eroina che passava dalla Sicilia, avevano finanziato ulteriori traffici. Giuridicamente fu una specie di sotterfugio, comunque confermata dal Tribunale federale. Finita la conferenza, la signora Kopp mi avvicinò e mi chiese se fossi disposto a presentare una proposta di legge. Accettai e nel giro di un mese le consegnai il progetto».

Fino al 1990 la Svizzera non aveva una norme contro il «lavaggio» di denaro sporco

La punibilità
All’epoca in effetti il riciclaggio di denaro non era punibile. Il Codice penale prevedeva la punibilità di questa operazione finanziaria solo se era connessa ad altri reati, come il traffico di droga o il sequestro di persona. Contro certe operazioni c’era solo la Convenzione di diligenza delle banche, uno strumento di autoregolamentazione risultato poi inadeguato. Fino al 1990 poteva essere sanzionata unicamente la ricettazione, che riguardava solo beni materiali sottratti illecitamente. Si dovette attendere l’inserimento nel Codice penale del reato di riciclaggio per rendere punibile anche la ricettazione dei depositi bancari. La Svizzera all’epoca svolse un ruolo di pioniere nella lotta al «lavaggio» di denaro sporco. Ma il processo per arrivarci non fu spedito come l’allestimento dell’avamprogetto, ribattezzato nel frattempo «Lex Bernasconi». Il testo venne messo in consultazione solo nella primavera del 1988. Il 4 novembre, come detto, il Tages Anzeiger svelò il caso della «Lebanon Connection», che aveva avuto un antefatto in estate con l’arresto in Ticino, disposto dall’allora pp sopracenerino Dick Marty, dei fratelli Jean e Barkev Magharian, per sospetta violazione della legge federale sugli stupefacenti.

L’accelerazione
La consigliera federale presentò il risultato della consultazione a fine novembre. La maggior parte delle organizzazioni si dichiarò favorevole all’impiego di armi legali più efficaci nella lotta contro il riciclaggio, un ambito in cui la Svizzera stava fungendo da apripista. La stessa Kopp, criticata per la posizione ricoperta fino al mese prima dal coniuge, si dimostrò molto risoluta, dicendo che era stata lei stata a voler imprimere un colpo d’acceleratore al progetto con l’intenzione di voler presentare un messaggio entro la primavera successiva. Kopp tuttavia non riuscì a condurre in porto il dossier, perché dopo le rivelazioni di stampa d’inizio dicembre sulla famosa telefonata al marito diede le dimissioni e si ritirò definitivamente dal Governo in gennaio. Il testo fu ripreso dal nuovo direttore del dipartimento Arnold Koller. «La revisione venne accolta a larghissima maggioranza in Parlamento, con il voto contrario di un rappresentante ticinese», ricorda (un po’ divertito) Bernasconi. Da allora le normative hanno subito continui adeguamenti e altri sono all’orizzonte. «Il 2020 sarà un anno di grosse novità antiriciclaggio per gli intermediari finanziari. Il prossimo 1. gennaio entreranno in vigore una revisione della Legge federale antiriciclaggio, una nuova ordinanza della FINMA e la nuova Convenzione di diligenza delle banche. Gli obblighi antiriciclaggio saranno estesi a tutti i consulenti che prestano servizi a favore di società di sede, svizzere e straniere».