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Cosa sta succedendo in Sudan?

È battaglia nella capitale tra i generali dietro al colpo di Stato che depose il dittatore Omar Hassan el Bashir – I paramilitari: «Controlliamo il palazzo presidenziale», ma l'esercito smentisce
© KEYSTONE (AP Photo/Marwan Ali)
Red. Online
15.04.2023 14:25

«La situazione è tesa. Lanciamo l'allarme. Le parti si impegnino a ripristinare un governo diretto dai civili». A parlare, una settimana fa, era l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, e il riferimento era al Sudan. «Il Paese si trova in un momento decisivo. È stato fatto molto lavoro e sono stati compiuti molti passi positivi verso la firma di un accordo definitivo. Ora è necessario compiere tutti gli sforzi per rimettere in carreggiata la transizione politica», si leggeva nel comunicato delle Nazioni Unite. Qualche giorno prima, avrebbe dovuto essere siglato l'accordo per l'uscita dalla crisi politica. Una firma che avrebbe dovuto rilanciare la transizione democratica dopo il golpe del 2021, il cui rinvio ha portato l'opposizione civile a indire manifestazioni di protesta. Attivisti pro-democrazia hanno urlato slogan contro soldati e paramilitari in occasione dell'anniversario di due rivolte che avevano rovesciato i golpisti nel Paese controllato quasi sempre dai generali.

L'escalation

Questa mattina, l'escalation. Scontri sono stati segnalati a Khartum, a colpi di armi da fuoco leggere e pesanti, sullo sfondo della rivalità che va avanti da settimane tra i due generali dietro al colpo di Stato del 2021. Testimoni hanno riferito di «combattimenti» ed esplosioni vicino al quartier generale delle forze paramilitari di supporto rapido (RSF) del generale Mohamed Hamdane Daglo nel Sud di Khartum. Alcuni giornalisti di AFP riferiscono di sparatorie ed esplosioni vicino all'aeroporto e nella periferia settentrionale.

I paramilitari sudanesi affermano di avere preso il controllo dell'aeroporto di Khartum e del palazzo presidenziale. Il New York Times riferisce che «i combattimenti, iniziati nella parte sud di Khartum, si sono rapidamente diffusi attraverso il Nilo fino alla città gemella di Omdurman, dove residenti hanno detto che uomini armati hanno circondato gli studi dell'emittente statale». Un funzionario delle Nazioni Unite ha ricevuto segnalazioni di combattimenti nei quartieri di Riyadh, Khartum 2, Manshiya e Soba. «Letteralmente ovunque», ha detto.

L'esercito sudanese, dal canto suo, ha dichiarato che i paramilitari hanno attaccato le sue basi a Khartum e altrove. «Combattenti delle Forze di supporto rapido hanno attaccato diversi campi dell'esercito a Khartum e altrove in Sudan», ha dichiarato all'AFP il portavoce dell'esercito, il generale di brigata Nabil Abdallah. «Gli scontri sono in corso e l'esercito sta svolgendo il suo dovere di salvaguardare il paese». Un'enorme esplosione è stata udita nella capitale sudanese, mentre l'aviazione sostiene di aver colpito basi paramilitari a Khartum. Lo riportano vari media tra cui Sky News Arabia. Le forze aeree governative avrebbero distrutto con aerei da guerra un campo appartenente alle Forze di sostegno rapido (FSR) nella regione orientale del Nilo.

Di cosa stiamo parlando?

La situazione fra esercito e paramilitari è tesa da mesi. Il generale Mohamed Hamdan «Hemedti» Dagalo, comandante delle RSF e vicepresidente del Consiglio sovrano, aveva pubblicamente respinto atti compiuti il 25 ottobre scorso dal presidente dello stesso Consiglio e comandante in capo dell'esercito, il tenente generale Abdel-Fattah al-Burhan, definendoli un «colpo di Stato».

Di recente erano emerse divergenze sul processo politico per una transizione alla democrazia basato sull'accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso, in particolare sulle questioni della sicurezza e della riforma militare. Il leader dell'esercito sudanese vorrebbero infatti integrare in tempi brevi le RSF nei propri ranghi mentre Dagalo vorrebbe un calendario che potrebbe durare fino a dieci anni. L'RSF, inoltre, vorrebbe essere sottoposta a una guida civile, riforma che l'esercito rifiuta, e chiede la rimozione di tutti gli elementi dei Fratelli Musulmani dalle forze armate come prerequisito per la riforma. Le dispute tra le due parti su queste e altre questioni stanno ritardando la firma dell'accordo finale per passare a un governo civile.

Il colpo di Stato

Il 25 ottobre 2021, il Generale Abdel Fattah al-Burhan prendeva il potere con un colpo di Stato interrompendo bruscamente una transizione democratica iniziata ad aprile 2019, quando il dittatore Omar Hassan el Bashir era stato deposto dopo 30 anni di governo. A novembre del 2021, Abdalla Hamdok, il primo ministro temporaneamente estromesso, aveva accettato di siglare un accordo con i militari, nella speranza di poter riprendere il percorso di transizione. L’accordo aveva provocato lo sgretolamento del sostegno di alcune delle principali forze della rivoluzione, tra cui le Forces of Freedom and Change (FFC), nei confronti di Hamdok, il quale aveva avuto difficoltà a portare avanti il suo programma di riforme politiche ed economiche. Nel giro di due mesi, Hamdok aveva dunque rassegnato le dimissioni, dichiarando l’impossibilità di proseguire la transizione democratica sotto un regime militare.

A fine ottobre 2022, la transizione era ancora in una fase di stallo. La UN Integrated Transition Assistance Mission in Sudan (UNITAMS), l’Unione Africana (UA), e l’organizzazione regionale IGAD avevano lanciato nel mese di giugno un meccanismo trilaterale per facilitare le negoziazioni tra la componente civile e quella militare. Tuttavia buona parte dei movimenti civili che avevano animato la rivoluzione del 2019, nutrivano ormai una totale sfiducia nei confronti dell’esercito, domandandone l’esclusione da un eventuale governo di transizione. E pure l’opposizione restava divisa.

Il Generale Abdel Fattah al-Burhan ha quindi ripetutamente accusato la parte civile di essere responsabile della situazione di stallo sia nel dialogo nazionale che nella formazione del governo di transizione a causa delle sue divisioni interne. Allo stesso tempo, ha annunciato la creazione di un Consiglio Superiore delle Sudan Armed Forces e delle Rapid Support Forces che avrebbe assunto il comando supremo di tutte le forze armate e sarebbe stato investito della responsabilità di gestire sicurezza e difesa, e le «relative responsabilità». Una mossa che ha svelato l’intenzione di al-Burhan di mantenere lo status quo.  Le cui ragioni – scriveva l'ISPI – vanno ben oltre l’esercizio del potere politico e hanno a che fare con il controllo dei gangli strategici dell’economia sudanese e di «un vero e proprio stato parallelo» (deep state): oltre 400 entità, tra aziende e società finanziarie attive nei campi più disparati controllate dall’élite militare.

Insomma, a un anno dal colpo di Stato, il Sudan era un Paese profondamente diviso, non soltanto sul fronte delle opposizioni e della società civile, ma anche su quello dell’élite militare. Con una persistente e catastrofica crisi economica, alimentare e umanitaria. E le promesse della rivoluzione di portare pace e stabilità, e un sistema politico inclusivo, rappresentativo e basato sullo stato di diritto sembravano dimenticate.

Oggi

Oggi, a un anno e mezzo dal colpo di Stato, la situazione sembra degenerata. «L'aviazione sudanese ha distrutto i campi di Tiba e Soba (a Khartum) che appartengono alle Forze di sostegno rapido» (i paramilitari, ndr.), si legge in un comunicato di cui riferiscono i media. L'esercito sudanese ha scritto su Facebook di aver preso il controllo del «comando delle forze speciali» delle RSF «senza incontrare resistenza». Sostiene inoltre che «il comandante delle RSF nello Stato del Nilo Bianco ha consegnato tutte le sue truppe, campi ed equipaggiamenti all'esercito» annunciando di aver intrapreso «la lotta al suo fianco». L'esercito sudanese, con un messaggio su Facebook, ha pure smentito che i paramilitari delle RSF abbiano preso il palazzo presidenziale di Khartum: "Le Forze di sostegno rapido diffondono false notizie da fuori del Sudan rivendicando il controllo del Comando Generale e del Palazzo Repubblicano».

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