Cosa succede nella testa di chi suona Bach?

Guardate le mani di un pianista mentre suona le Variazioni Goldberg di Bach. Alcuni passaggi sembrano al limite dell’eseguibilità. Dopo un lungo studio preparatorio, le note sembrano entrare nelle mani, anzi nel cervello e osserviamo delle capacità fuori dal comune. Velocità, interpretazione, memoria scaturiscono come se fosse lo stesso Bach ad abitare la mente dell’interprete. Come è possibile tutto ciò? abbiamo chiesto ad Anna Modesti (nella foto sotto), insegnante di didattica del violino, Conservatorio della Svizzera italiana . «Suonare è con buona probabilità una delle più complesse attività umane. Il sistema motorio è duramente impegnato in azioni finemente coordinate, rese più complesse dal fatto che devono poter essere eseguite “a tempo” e che spesso sono fortemente asimmetriche rispetto ai due lati del nostro corpo».

Ma la musica non è solo movimento.
«Tutto il sistema somatosensoriale è impegnato ad analizzare le sensazioni «corporee» (propriocezione, sensibilità tattili, cinestetica...). Il musicista muove tutto il suo corpo, non solo le mani, mentre il sistema uditivo si occupa di ascoltare quello che accade. Vi è anche l’anticipazione. Il cervello del musicista prevede per tempo l’esecuzione dei movimenti che dovranno realizzare la sua idea musicale: questo comporta il coinvolgimento di una serie di processi di previsione (sia uditivi che motori) e di processi di memoria sia a lungo che a corto termine».
In che modo, il nostro cervello permette di realizzare tutto questo?
«Semplificando, è quel che succede quando dobbiamo afferrare un oggetto: nel momento in cui avviciniamo la nostra mano all’oggetto, la sua forma si modifica “istantaneamente”, in perfetta coincidenza con l’inizio dell’atto motorio, permettendoci di afferrare l’oggetto in questione prendendolo da una conveniente angolazione, assumendo una presa coerente con la sua forma, esercitando una forza adeguata che tiene in considerazione sia il suo peso che la sua consistenza. Le teorie recenti sembrano convergere sul fatto che ciò che permette al musicista di realizzare il suo compito motorio sia l’esistenza, all’interno del nostro sistema nervoso, di meccanismi chiamati associazioni senso-motorie».
E il piacere provato nell’ascolto?
«In questo caso entrano in gioco due meccanismi. L’ascolto della musica attiva le aree del cervello del piacere, dove viene rilasciata dopamina. Se oltre ad ascoltare la musica guardiamo l’espressione del volto e i movimento del musicista, il nostro sistema nervoso – attraverso i neuroni specchio - «assorbe» queste espressioni – permettendoci dunque di rivivere anche le sue emozioni. Ecco dunque che attraverso i suoi movimenti, le sue espressioni, le qualità del suo suono, la musica è in grado di trasmetterci delle emozioni e di interferire anche con i nostri stati d’animo e con le nostre emozioni!».
«È LA PRATICA A PLASMARE IL CERVELLO»
Parla il neurologo per mestiere e pianista per passione Francesco Maulucci

Nel nostro cervello esiste una regione specifica dedicata a percepire e assaporare la musica? Lo abbiamo chiesto a Francesco Maulucci (nella foto sopra), neurologo per mestiere e pianista per passione. «No, non abbiamo un solo “bernoccolo” della musica ed è facile dimostrarlo. Se pratichiamo una risonanza magnetica funzionale ad un persona mentre ascolta della musica, notiamo che nel suo cervello si attivano tantissime aree».
Quali regioni cerebrali sono coinvolte?
«La corteccia uditiva primaria riceve le informazioni di tipo uditivo direttamente dalle orecchie, indipendentemente che sia un suono o un rumore. Ma già qui si hanno delle sorprese. In quest’area sono stati individuati dei “neuroni musicali”, cioè una popolazione di cellule che rispondono in modo specifico solo alla musica e non al rumore o al linguaggio. Sembrerebbe dunque che alla musica siano dedicati dei circuiti neuronali specifici e indipendenti dal linguaggio».
E in seguito?
«Dopo l’attivazione della corteccia uditiva primaria, il nostro cervello analizza in parallelo le diverse componenti della musica: ritmo, altezza, metro, melodia e timbro e lo fa attivando altre regioni cerebrali.»
Soprattutto nell’emisfero destro. È vero?
«No, è tutto molto più complicato. La discriminazione del ritmo, per esempio viene elaborata principalmente nell’emisfero sinistro e nel cervelletto destro, mentre il timbro e la melodia si trovano principalmente a destra. La situazione cambia ancora se ad ascoltare la musica sono dei musicisti».
Quindi i musicisti non hanno lo stesso cervello dei non musicisti?
«La pratica della musica plasma il cervello e lo specializza per questo compito. Nei musicisti tutto si sposta maggiormente a sinistra, anche il riconoscimento delle melodie. Probabilmente i musicisti hanno tendenza ad analizzare la musica in maniera più razionale, sviscerandone i diversi aspetti, e queste funzioni sono facilitate dall’emisfero sinistro. Che la musica utilizzi regioni specifiche per essere percepita e analizzata è poi chiaramente testimoniata da alcuni casi clinici».
In che senso?
«Ci sono pazienti che perdono in maniera specifica solo certe funzioni mantenendone altre. Alcune persone, per esempio, in seguito ad una lesione cerebrale non riescono più a riconoscere l’altezza di un suono, ma hanno la capacità di percepirne il timbro. Questi dati ci fanno dire che l’analisi della musica avviene in tante regioni diverse del cervello e alcune lesioni possono togliere una sola funzione e mantenerne altre».
E se ci spostiamo nel cervello di chi la musica la crea?
«I casi clinici sono pochi, ma sono molto interessanti. Il cervello di alcuni musicisti confermerebbe che musica e linguaggio, ritenute due funzioni vicine, sono in verità elaborate in regioni separate. Prendiamo per esempio il caso del compositore Vissarion Shebalin. In seguito ad un infarto cerebrale perse la capacità di parlare e di comprendere il linguaggio ma conservò le sue capacità musicali. Continuò a comporre e a impartire lezioni agli allievi con successo. Notevole anche il caso dell’organista francese Jean Langlais, non vedente, che in seguito ad un ictus perse l’abilità di leggere l’alfabeto Braille ma continuò a leggere spartiti musicali scritti in Braille».
«SIAMO ALLE SOGLIE DI UNA NUOVA RIVOLUZIONE»
Il parere di Caludio Städler presidente del comitato de “La settimana del cervello”

«Lo sviluppo straordinario delle neuroscienze ci invita a dialogare con il pubblico». È quanto sostiene Claudio Städler, primario di neurologia al Neurocentro dell’EOC. «Lo sviluppo scientifico appartiene a tutti, non solo a chi lavora in ospedale o in laboratorio. È per questo che esiste la “La settimana del cervello” un’iniziativa internazionale che intende sensibilizzare la popolazione sui progressi nell’ambito della ricerca sul cervello. Viene organizzata nella Svizzera italiana da un comitato oggi presieduto dallo stesso Städler, e si avvale del lavoro volontario di medici e ricercatori del Neurocentro (EOC), della Clinica sociopsichiatrica cantonale, da alcuni ricercatori dell’USI, appoggiandosi alle competenze de L’ideatorio USI. «Parlare di cervello interessa sempre di più la gente, in quanto le caratteristiche più intime e preziose dell’uomo come l’intelligenza, le emozioni, la memoria, la moralità, la creatività o il linguaggio scaturiscono dal nostro cervello. Occuparsi di malattie che toccano il cervello, significa anche chiedersi «chi siamo noi?» E le malattie che toccano il cervello sono molte ed hanno un impatto sociale importantissimo. «Basta citare alcuni disturbi e subito ci accorgiamo di quali sfide abbiamo ancora davanti: Malattia di Alzheimer, Ictus, Sclerosi multipla, Malattia di Parkinson, malattie neurodegenerative per non parlare di tutte le malattie psichiatriche, per prima la depressione, o l’autismo. Per molte di queste malattie le conoscenze e i trattamenti sono ancora insufficienti, nonostante i grandi progressi degli ultimi 20 anni». Quali prospettive abbiamo davanti? «La sfida è dar spazio ad una ricerca di qualità mantenendo nel contempo saldi i principi di una buona presa a carico clinica. E in questi anni abbiamo assistito ad un grande cambiamento anche sul nostro territorio, la medicina e la ricerca biomedica, si sono fortemente potenziate, in dialogo con la ricerca nazionale e internazionale. Ma il lavoro da fare resta lungo e complesso. Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione medica e scientifica, che sono certo avrà importanti ripercussioni non solo sulla vita delle persone con malattie neuro-psichiatriche ma anche sulla visione dell’uomo».