L'intervista

Crimini di guerra? «La CPI indaga da 8 anni, ma non ci sono progressi»

Per comprendere meglio il contesto internazionale abbiamo parlato con Marco Sassòli, professore di diritto internazionale all'Università di Ginevra
© KEYSTONE/Sassòli
Jenny Covelli
14.10.2023 06:00

L’escalation del conflitto in Medio Oriente sta infiammando anche le discussioni. Soprattutto, in merito alla brutalità degli attacchi e alla conseguente condanna a livello internazionale.

Amnesty International ha dichiarato che «Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno flagrantemente violato il diritto internazionale e mostrato un agghiacciante disprezzo per la vita umana commettendo crimini brutali». E che «il blocco israeliano di Gaza equivale a una punizione collettiva, anch’esso un crimine di guerra». EuroMed Rights Monitor e Human Rights Watch accusano l’esercito israeliano di avere utilizzato bombe al fosforo bianco. L’assedio totale alla Striscia di Gaza è vietato dal diritto internazionale, ha dichiarato il capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha dal canto suo parlato di «retorica sui crimini di guerra»: «Non avete visto la carneficina nel sud di Israele? Con tutto il rispetto, se hai un missile nella tua maledetta cucina e vuoi spararmelo addosso, posso difendermi?».

Le guerre e i conflitti armati rientrano in un complesso sistema di diritto internazionale. «Il primo passo da intraprendere è constatare se nel conflitto è stato violato il diritto internazionale umanitario (DIU)», spiega al riguardo Marco Sassòli, professore di diritto internazionale all’Università di Ginevra. Le notizie degli ultimi giorni rendono questa premessa praticamente certa. «In secondo luogo, bisogna inquadrare le responsabilità dei singoli individui che hanno violato questo diritto». Classificare il conflitto come internazionale dipende dal riconoscimento della Palestina come Stato. «In tal caso Hamas può essere considerato, come da lui preteso, come un movimento di resistenza palestinese», prosegue il professore. «Finora, le autorità palestinesi non si sono distanziate dall’operato di Hamas e questo, secondo l’opinione prevalente, è sufficiente per inquadrare il conflitto nel contesto internazionale».

Paure politiche in seno alla CPI?

Dopo un esame preliminare iniziato il 16 gennaio 2015, il 3 marzo 2021 il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) Fatou Bensouda ha annunciato l’apertura di un’inchiesta formale sui crimini internazionali commessi nel territorio palestinese occupato dal 13 giugno 2014, data a partire dalla quale la Palestina ha accettato la giurisdizione della CPI con una dichiarazione a firma di Abu Mazen. «La CPI indaga sulla situazione in Medio Oriente da otto anni, ma non è emerso alcun progresso», precisa il professor Sassòli. «Con la guerra in Ucraina, invece, sono stati molto veloci. Sorge il dubbio che il procuratore nutra delle “paure politiche”». Spieghiamo. «Con l’emissione di un mandato di arresto internazionale per Vladimir Putin, il procuratore è diventato molto popolare negli Stati Uniti. Nel caso in cui emergessero “crimini di guerra” commessi da entrambe le parti in causa e il procuratore emettesse mandati di cattura contro i responsabili israeliani, oltre a quelli di Hamas, non otterrebbe lo stesso consenso da parte degli USA e di altri Stati occidentali che finanziano la CPI».

Che in Medio Oriente si stiano commettendo dei crimini è indiscusso. La difficoltà sarà trovare gli individui responsabili, soprattutto di provare la responsabilità dei dirigenti delle due parti. L’illegale deportazione e il trasferimento di bambini ucraini dalle aree dell’Ucraina occupate dalla Federazione Russa è attribuibile a Putin perché è stato lui a «metterci la faccia» in TV. Il caso, per la CPI, era chiaro. Con la possibile eccezione degli insediamenti israeliani nei territori occupati, nel caso di Israele e di Hamas la situazione è completamente diversa.

Il principio di proporzionalità

Lo scopo del diritto internazionale umanitario è proteggere civili, feriti, malati, prigionieri di guerra, internati, naufraghi, personale sanitario e personale che fornisce assistenza spirituale. Di particolare rilevanza sono i divieti di attacchi diretti contro i civili, uccisioni, presa di ostaggi e attacchi indiscriminati. Amnesty International denuncia da anni la «punizione collettiva» imposta da Israele con un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza. Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato «l’assedio completo»: «Non ci saranno elettricità, né cibo, né benzina, né gas», ha dichiarato. L’esercito israeliano ha quindi chiesto «l’evacuazione di tutti i civili di Gaza City dalle loro case per la loro sicurezza e protezione e lo spostamento nell’area a sud di Wadi Gaza». Hamas ha nascosto il quartier generale, munizioni e laboratori per costruire esplosivi nelle aree densamente abitate e vicino alle infrastrutture civili. E Israele continua a ribadire il suo «diritto a difendersi». Eppure, moltissimi civili continuano a morire. Su questo punto il professor Marco Sassòli è chiaro: «I combattimenti in una zona così densamente abitata come Gaza causano innumerevoli conseguenze per i civili, anche qualora il diritto umanitario venisse rispettato. Ciò che è di fondamentale importanza per il diritto internazionale è la valutazione di proporzionalità, che richiede una lunga analisi».

Per comprendere questo aspetto, il professore ricorre a un esempio: «Se la Francia decidesse di attaccare la città di Ginevra e la Svizzera si schierasse in sua difesa, un terzo degli immobili verrebbe distrutto. Anche se l’armata francese rispettasse il diritto umanitario, in una città densamente popolata come Ginevra i danni sarebbero enormi. La Confederazione potrebbe optare per l’evacuazione dei civili, ma non vige un obbligo in tal senso. Ed evacuare implicherebbe che altri Cantoni dovrebbero ospitare la popolazione e occuparsene. Anche chi combatte “in legittima difesa” deve rispettare il diritto internazionale. Non c’è reciprocità nel diritto umanitario».

«Fare la guerra tenendo conto dei civili»

I funzionari delle Nazioni Unite a Gaza sono stati informati dai loro ufficiali di collegamento militari israeliani che l’intera popolazione a nord di Wadi Gaza – circa 1,1 milioni di residenti – sarebbe stata trasferita a sud entro 24 ore. Per l’ONU un’evacuazione di tale portata è impossibile senza causare conseguenze umanitarie devastanti. «Si parla di un numero enorme di persone. L’unica soluzione sarebbe mandarli in Egitto. Ma questo potrebbe corrispondere a un crimine di guerra in quanto “trasferimento forzato”», aggiunge il professor Sassòli. «L’esodo potrebbe essere giustificato con la volontà di garantire la sicurezza della popolazione, e potere quindi bombardare i siti militari senza rischio per i civili, ma l’Egitto non ha alcun obbligo di ospitarli». Una constatazione che trova conferma nei dati di fatto: il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha esortato gli abitanti di Gaza a «essere forti» e a «rimanere sulla loro terra». L’Egitto, che sostiene una soluzione diplomatica e invita alla moderazione da entrambe le parti, si oppone all’idea di far entrare nel suo territorio i palestinesi in fuga dalla guerra. Inoltre, aggiunge il professor Sassòli, «l’idea del diritto umanitario non è di sgomberare i civili per permettere ai militari di farsi la guerra, ma che i militari devono fare la guerra tenendo conto dei civili».

Che la Corte penale internazionale si esprima a breve sul conflitto in Medio Oriente è improbabile. «La giustizia penale ha sempre tempi molto lunghi. Il fatto che ci siano vittime civili non è sufficiente per parlare di “crimini di guerra” se la proporzionalità viene rispettata. Inoltre, trovare gli individui responsabili richiede un lungo lavoro», conclude l’esperto di diritto internazionale. «La speranza è che, dopo otto anni, l’indagine del procuratore della CPI faccia progressi».

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