«Da una piccola serra in stile Tiffany l'inizio di una passione infinita»

La sua coloratissima arte è arrivata lontano, fino in Giappone. Ma quei pezzi unici, così fragili, sono molto apprezzati anche in Ticino. Diego Feurer, nato a San Gallo nel 1955, è un artigiano, un artista del vetro. Uno dei pochissimi rimasti in Svizzera. Completamente autodidatta, Feurer ci ha aperto le porte del suo laboratorio di Tesserete.
Finalmente, raggiunta l’età della pensione, Diego Feurer può dedicarsi completamente alla sua passione: la lavorazione del vetro. «Vengo in laboratorio tutti i giorni», ci dice poco dopo averci aperto la porta del suo stipatissimo universo colorato. In passato ha lavorato come tecnico alla RSI, ma ha sempre mantenuto una percentuale lavorativa che gli permettesse di portare avanti il suo spiccato e originale lato artistico. «Sono completamente autodidatta», ci spiega mentre ci mostra la sua bottega. «Per la soffiatura, tecnica complicata e che per essere padroneggiata completamente richiede una scuola, ho fatto un corso a fine anni Novanta con Giles Bettison, un esponente dell’arte del vetro. Lì ho imparato a produrre le murrine», il vetro mosaico.
In giro per il mondo
Il laboratorio di Feurer è colmo di questi bellissimi oggetti d’arte, frutto di un lavoro complesso e dispendioso. Dei veri e propri gioielli di vetro, come le bocce natalizie esposte sopra un grande bancone. Fragili, sì, ma lavorate così finemente che si potrebbe stare ore a guardarle. «La passione per questa professione è nata tanto tempo fa», ricorda l’artigiano nato a San Gallo. «Ero giovane, volevo arredare il mio primo appartamento. Da qualche parte avevo visto una piccola serra per fiori e piante, costruita con la tecnica Tiffany. Mi è piaciuta a tal punto che mi sono detto: ‘‘Devo riuscire a riprodurla’’». E così è stato. Dopo aver cercato il materiale in svizzera tedesca, Feurer ha intagliato la sua prima opera. Da quel momento, non si è più fermato. Anzi, l’aver saputo affinare – anno dopo anno – la sua arte, gli ha permesso di esporre in molti Paesi. «In Giappone ho vinto un premio», racconta soddisfatto. Ma i suoi «pezzi» hanno trovato espositori anche negli Stati Uniti, in Germania e in Svizzera.
Tutto fatto in casa
A partire dal 2000, l’artigiano produce i suoi lavori a Tesserete, in uno degli atelier dello stabile Arca. «Prima di trasferirmi qui ho lavorato a Comano, poi a Ponte Capriasca», spiega. In questi giorni, Feurer sta lavorando a una commissione arrivata dalla chiesa di Bidogno. Quest’estate, una grandinata ha infatti distrutto alcune vetrate in mosaico. Bisogna restaurarle, portandole al loro antico splendore. «Per la lavorare il vetro servono temperature altissime», dice. «1.150 gradi centigradi». L’artigiano ci mostra quindi il forno per la vetrofusione, un grande «cassone» rivestito con delle pietre termoresistenti. All’interno, un piccolo contenitore dove - appunto - la materia prima viene fusa. «Ho costruito io quasi tutti i macchinari per la lavorazione del vetro», prosegue Feurer con ogoglio. Un artigiano a tutto campo, dunque. Seguendo passo dopo passo dei manuali americani, l’artista ha fabbricato l’intero set di macchinari e gli attrezzi. «In Ticino non ho colleghi soffiatori, sono l’unico a svolgere questa professione. In Svizzera, si contano quattro o cinque atelier come il mio».
Scatole dalla Germania
La materia prima, il vetro, arriva inscatolata dalla Germania. Feurer si serve infatti di piccoli cilindri di vetro bianco per creare alcune delle sue opere. «È vetro fatto a nuovo, non è riciclato», sottolinea. «Un tempo si produceva la materia prima da zero, con il quarzo o il silicio. Ma la fabbricazione del vetro comporta l’uso di alcune sostanze tossiche. Ci vogliono dunque dei filtri per aspirare l’aria dal locale. Tuttavia, costano un occhio della testa e nessun piccolo artigiano può permetterseli. Vengono usati soltanto nell’industria».
Il Campari rivisitato
L’oggettistica prodotta da Feurer è pressoché infinita. Comprende anche dei bicchieri e delle caraffe, «che io chiamo riciclo. Prendo delle bottigliette di Campari, le lavoro e ottengo dei piccoli bicchieri. Oppure sfrutto delle bottiglie di birra per produrre delle caraffe». Sì, il vetro è uno dei materiali più versatili in circolazione. Basta accendere la fantasia e lasciarsi trasportare. «Queste, invece, sono urne funerarie», dice l’artista-artigiano indicando quelli che a prima vista sembrano dei «semplici» vasi, riccamente intagliati. «Molti preferiscono regalare alle ceneri dei propri cari una ‘‘casa’’ elegante e raffinata, non immediatamente riconoscibile».
La lunga collaborazione Le collaborazioni di Feurer sono numerose. Detto della chiesa di Bidogno, il nostro interlocutore lavora spesso con Fra Roberto Pasotti, artista specializzato nell’arte sacra. Molte le testimonianze della loro collaborazione al convento del Bigorio, ma non solo. «Eseguo le vetrate per Fra Roberto, sì», dice. «Lui mi porta i suoi progetti e i suoi disegni in scala 1:1, io li ricopio e mi metto a tagliare il vetro. La materia prima, già soffiata e colorata, arriva dalla Germaina». Le vetrate hanno una struttura portante in ferro. Tuttavia, se l’oggetto da produrre ha dimensioni troppo importanti, viene diviso in parcelle più piccole. Altrimenti, il rischio è che il vetro si deformi sotto il suo stesso peso. Feurer toglie una lastra da uno scaffale. «Eccola, la materia prima per le vetrate». Dalla lastra, con pazienza certosina, il nostro interlocutore ricava i tasselli e le forme secondo il disegno originale grazie a quello che sembra un piccolo taglierino. «Questo è un tagliavetro: ha una rotellina, la cosiddetta punta Wolfram, che permette di rompere la tensione sulla superficie del vetro. Una volta inciso, è possibile ricavare manualmente il pezzo desiderato. Ma non mancano gli incidenti: se non si presta la dovuta attentzione, il tassello può rompersi». Delicatezza, raffinatezza e tanta fantasia: sono questi gli ingredienti principali di un mestiere secolare ma oramai diventato rarissimo.