Processo

Dal maxi centro benessere al banco degli imputati

Alla sbarra per reati societari l’ex dirigente del Planet di Pazzallo e l’amministratrice unica di una società – I due respingono ogni addebito – L’accusa per loro chiede diciotto e sei mesi – Domani la lettura della sentenza
Valentina Coda
31.08.2022 19:42

L’uomo seduto al banco degli imputati è un volto noto alle nostre latitudini, così come il progetto mastodontico che ha creato e la montagna di debiti sulla quale, secondo gli inquirenti, è stato costruito. Una storia che ruota attorno a una società anonima e ad un buco finanziario di quasi mezzo milione causato dall’imputato, un 62.enne direttore della società ed ex dirigente del Planet Wellness Village di Pazzallo nei confronti del quale ci sono anche venti attestati di carenza beni. Una presunta, lunga, cattiva gestione che si è trasformata negli anni in una lista di capi d’imputazione: amministrazione infedele, omissione della contabilità, cattiva gestione, infrazione alla legge federale sull’assicurazione per la vecchiaia e i superstiti. L’uomo, però, non era solo davanti alla Corte delle assise criminali presieduta dal giudice Marco Villa. A processo c’era anche la prestanome della società anonima, accusata dal procuratore pubblico Daniele Galliano degli stessi reati, ad eccezione del più grave: quello di amministrazione infedele.

Il dietro le quinte

La vicenda ha origine nel 2017 e si inserisce nel contesto della realizzazione del nuovo Planet sul Pian Scairolo per un valore di circa 10 milioni di franchi. L’imputato, patrocinato dall’avvocato Costantino Castelli, decide di costituire una società anonima (fallita nel 2020) che doveva occuparsi della costruzione di tutti i reparti interni in cartongesso. Chiede così alla donna, una 37.enne del Luganese vicina alla famiglia dell’uomo e difesa dall’avvocato Giovanni Molo, di assumere la carica di amministratrice unica, senza doversi occupare di nulla. Secondo la pubblica accusa, però, il deus ex machina della società era sempre il 62.enne. La donna in aula ha infatti continuamente ribadito di essere «venuta a conoscenza dei fatti solo al momento della convocazione in Procura» e di «aver accettato la carica perché si fidava dell’imputato, ma di essersi disinteressata completamente dei relativi doveri». Dalla costituzione della società nel 2017 si crea una lunga scia di debiti e di creditori non pagati, così come gli oneri sociali e le imposte, che si trascina fino a gennaio del 2020, quando l’Istituto delle Assicurazioni sociali chiede alla Pretura di Lugano il fallimento della società.

I due respingono ogni addebito, ma per il procuratore pubblico si tratta di un’operazione immobiliare basata su «un’insufficiente dotazione di capitale per rapporto alle spese che avrebbe affrontato per la ristrutturazione dello stabile e di una grave negligenza nell’esercizio della professione o dell’amministrazione di beni». Durante il dibattimento (iniziato ieri e sospeso fino a questa mattina per consentire all’imputato di produrre dei documenti), il 62.enne ha dichiarato che «si occupava di gestire i lavori, non della parte amministrativa. Era una cantiere gigantesco e particolare, che a causa di opposizioni da parte di terzi ha dovuto essere concluso in sei mesi al posto che in due anni». L’uomo ha risposto allo stesso modo alla domanda sul perché avesse deciso di conferire alla donna la carica di amministratrice unica.

Fuoco incrociato

Durante la requisitoria è stato ribadito il ruolo di deus ex-machina dell’imputato. Inoltre il procuratore ha visto «un disegno» dietro tutta la vicenda. «La società era destinata a fallire fin dall’inizio – ha rilevato la pubblica accusa –, il capitale (100.000 franchi) è andato in fumo in due mesi e l’imputato non voleva figurare da nessuna parte. La società, costituita con un capitale nettamente minore rispetto al costo dei lavori programmati, non ha mai avuto vita propria, è sopravvissuta solo grazie ai prestiti ed è sempre stata in procinto di affogare». Per Galliano l’imputato «ha delinquito nonostante avesse gli estremi per non farlo. Sorprende inoltre che ci si trovi in aula con l’imprenditore che ha creato il centro benessere più grande della Svizzera. Non ha mai mostrato nessun segno di pentimento e quando si trova all’angolo dà la colpa agli altri. Questo non è un modo genuino di fare l’imprenditore. La donna, invece, si è trovata nei pasticci solo per aver fatto un favore a un amico di famiglia». Il procuratore pubblico ha chiesto 18 mesi sospesi per il 62.enne e 6 mesi sospesi per la 37.enne.

Per contro, dal banco delle difese, l’avvocato Costantino Castelli ha cercato di ribaltare completamente l’impianto accusatorio. «L’accusa dice che era una società bidone destinata a fallire, ma il mio assistito non è mai stato un organo di fatto della società e non ha mai avuto poteri gestionali. È un serio imprenditore, attivo da 40 anni in Ticino, senza precedenti e che ha dato lavoro a molte persone». Castelli ha anche evidenziato che «se una società accumula debiti, questo non presuppone il reato di amministrazione infedele. Tutti i rimproveri mossi dal procuratore sono privi di fondamento: la società non è stata costituita per fare utili, ma per gestire i lavori in cartongesso». Il legale dell’imputato ha chiesto il proscioglimento integrale dalle accuse.

Stessa richiesta da parte dell’avvocato Molo, che ha ribadito come la posizione della sua assistita «sia accessoria in questa vicenda, in quanto si insinua nelle piaghe di un rapporto familiare. Se la Corte dovesse stabilire che la società non era un’impresa bidone, allora decadrebbero tutte le accuse. La carica di amministratrice unica è rimasta solo sulla carta e l’imputata è completamente estranea ai fatti, quindi non c’è correità». Domani alle 15 la lettura della sentenza.