Il racconto

Dal Ticino all'Africa, sempre con una mano pronta ad aiutarmi

Credevo che avrei attraversato il Gambia in soli tre giorni e invece, a causa di un'intossicazione alimentare, sono stato fermo nello stesso posto – Un bene, perché ho potuto conoscere una cultura nuova e affascinante
Alessandro Brönnimann
Alessandro Brönnimann
15.02.2025 09:30

Quinto capitolo

Fass, Gambia, 24 gennaio 2025. Binta ha 24 anni, una figlia di 8 e vive con i suoi due cugini e le loro famiglie, entrambi di 23 anni, sposati e con 3 figli ciascuno. Ognuno di loro ha un piccolo appartamento proprio, composto da un paio di stanze, ma praticamente vivono tutti insieme. Come si entra nel loro terreno c'è un gigantesco albero di mango che fa ombra sullo spazio di terra spoglia e polverosa su cui i bambini giocano, tutti insieme, indipendentemente dall'età. Poi le due piccole casette che ospitano le tre famiglie. Nella prima, la più piccolina, c'è il primo cugino, uno studente universitario di storia e, allo stesso tempo, professore di quelle che per noi sarebbero elementari e medie. Nella seconda, invece, c'è Binta con l'altro cugino. Sul retro, all'interno di tre pareti di lamiera, ci sono il bagno e la doccia che sono condivisi da tutti. Anche la cucina viene fatta sul retro, a turno o secondo le disponibilità, una famiglia per tutte.

All'interno del loro villaggio, che conta un qualche centinaio di persone, si trovano persone appartenenti a tre differenti etnie, con delle abitudini in comune ma anche qualche differenza culturale, una su tutte: la lingua. Qui tutti parlano almeno tre lingue, qualcuno anche di più. E così all'alimentari parlano una lingua, con la famiglia un'altra e per strada un'altra ancora, a dipendenza di chi ci si trova davanti si utilizza l'una o l'altra lingua, è incredibile.

Il motivo per cui sono finito a passare qualche giorno con Binta e la sua famiglia è molto semplice: sono stato male e lei mi ha ospitato. Avevo appena passato il confine con il Senegal, quando ho iniziato a sentirmi debole e con lo stomaco chiuso e sottosopra. Al primo ristorante che ho trovato mi sono quindi fermato per bere un tè, finendo però poco dopo a gonfiare il mio materassino per sdraiarmi e riposare in un angolo del locale. Lei lavorava lì, e come mi ha visto mi ha detto: «Riposati, stasera e per i prossimi giorni puoi venire a stare a casa da noi». Senza che nemmeno avessi chiesto nulla.

Sembra ironico che per il Gambia, uno Stato piccolino che si sviluppa lungo le rive dell'omonimo fiume al 13. grado di latitudine, avevo previsto un itinerario che mi avrebbe permesso di attraversarlo in tre giorni, prima di continuare verso sud. E invece, dopo questo intoppo e cambio di programma, sono stato sì tre giorni, ma nello stesso posto, immerso totalmente in una cultura nuova e affascinante a riprendermi da un'intossicazione alimentare.

Quello che sto ancora facendo fatica a capire, e per certi versi ad accettare pensando all'Occidente, è come sia possibile che ogniqualvolta io tenda il braccio c'è sempre qualcuno pronto a darmi una mano. Certo, forse avrei preferito scoprire qualcosina sul Gambia in uno stato di salute differente, però è andata così e anche queste esperienze fanno parte del viaggio.

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