L’intervista

«Dalle ragazze madri a donne e bimbi maltrattati»

Parla Sandra Castellano, direttrice di Casa Santa Elisabetta
Lugano, Casa Santa Elisabetta per ragazze madri: Sandra Castellano direttrice della casa.(Foto Reguzzi)
Romina Borla
06.03.2019 06:00

In passato – come abbiamo visto – erano le ragazze madri in difficoltà, ripudiate dalla famiglia o lontane da casa, con i loro bambini, ad animare le sale di Casa Santa Elisabetta. Adesso invece sono donne vittime di violenza domestica (attualmente la categoria prevalente), mamme con problemi psichiatrici oppure di dipendenza. La casistica si è diversificata a partire dagli anni Novanta, si legge sull’opuscolo commemorativo di Manuela Maffongelli «Casa Santa Elisabetta, da 70 anni un tetto per le madri in difficoltà» pubblicato in collaborazione con l’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino.

L’asilo nido ospita bambini soli, con genitori che non si possono occupare di loro, i figli delle utenti della Casa e minori che hanno bisogno di protezione in esternato

«Oggigiorno i pregiudizi nei confronti di chi ha un figlio al di fuori di una relazione stabile sono praticamente scomparsi e la struttura si è trasformata, adeguandosi alle nuove esigenze sociali», ci spiega la direttrice Sandra Castellano mentre ci accompagna alla scoperta degli spazi dell’istituto, ristrutturati alla metà degli anni ‘90.

Il primo piano dell’edificio ospita l’asilo nido. Parecchi bambini, di diverse età, giocano e corrono. Condividono attimi di spensieratezza, se li gustano proprio, nascondendo la malinconia che emerge a tratti dai loro occhioni curiosi. «Accogliamo piccoli tra 0 e 6 anni con genitori (e parenti stretti) che non possono occuparsi di loro», riprende la nostra interlocutrice. «Ad esempio minori allontanati da un nucleo familiare in difficoltà o violento, figli di carcerati oppure di persone con gravi problemi psichici, tossicodipendenti, ecc. Ce ne occupiamo finché le autorità preposte riescono a verificare la situazione e trovare una soluzione valida per il loro futuro: ritorno nel nucleo d’origine, famiglia affidataria o ricovero in un altro istituto. Cosa spesso non evidente».

I figli delle ospiti

Naturalmente il nido accoglie anche i figli delle ospiti di Casa Santa Elisabetta, i quali dormono insieme alle madri, e minori che hanno bisogno di protezione durante la giornata ma la sera ritornano al domicilio. Ogni piccolo ospite, sottolinea l’intervistata, arriva su preciso decreto delle Autorità regionali di protezione (ARP) o delle preture.

Saliamo qualche gradino e arriviamo ai piani superiori, dove troviamo le stanze delle ospiti della Casa (una decina). «Ci occupiamo di loro 24 ore su 24», osserva Castellano. «I pasti sono garantiti, come pure è garantito il supporto per quello che riguarda sia le cure basilari di prima infanzia sia i problemi educativi. Lavoriamo molto sul concetto di genitorialità, cercando di favorire la costruzione di un rapporto virtuoso tra madre e figlio. Superata la fase di accoglienza, approntiamo infatti un progetto specifico per ognuna insieme agli enti di sostegno presenti sul territorio. Lo scopo dello stesso è di fare in modo che il tempo passato qui sia utile alla mamma – che in rari casi durante la giornata può essere impegnata in progetti lavorativi o formativi all’esterno della Casa – per chiarire la situazione, risolvere i suoi problemi ed evitare una recidiva».

Dalle minorenni alle ultraquarantenni

Ma chi sono le ospiti dell’istituto? L’età è variabile, afferma la nostra interlocutrice. Si va dalle minorenni alle quarantenni ed oltre, anche se in questo momento la categoria prevalente è quella delle 25-35.enni. «Incontriamo molte donne provenienti da Centro America, Sud America, Africa e Paesi balcanici. Nel 2017 le straniere erano il 40% del totale».

Avere a che fare con una cultura diversa dalla nostra non è evidente, sottolinea Castellano. «È spesso faticoso riuscire a far passare determinati messaggi. Come si fa, ad esempio, a parlare di genitorialità e di rapporto col figlio ad una donna che arriva da uno sperduto villaggio africano e non parla bene la nostra lingua? Anche i fattori religiosi contano. Se a questi si aggiunge una patologia psichiatrica il discorso si fa assai complicato...». Insomma, i casi di oggi non sono più quelli di una volta. «I problemi sono diversi, più difficili da risolvere. In ogni caso noi ci proviamo a dare una possibilità di riscatto a queste persone. È quello che conta». E la vita di quella che è una vera e propria comunità al femminile va avanti. «È facile che tra le utenti si crei un certo spirito di solidarietà», dice la direttrice. «Le mamme si raccontano, condividono esperienze. Certo, le spine non mancano. Non si possono scegliere le compagne di viaggio, ci si ritrova insieme, nel bene e nel male. A volte più situazioni difficili si sovrappongono e dobbiamo metterci una doppia dose di energia».

Prima di salutarci Castellano ricorda che l’istituto luganese (sopra, la sede di Lugano, foto Reguzzi) gestisce anche Casa Primula a Chiasso, con 4 appartamenti e un monolocale, dove possono vivere le ospiti di Casa Santa Elisabetta una volta terminato loro percorso di vita in via Borromini 13 (un passaggio soft prima della vita autonoma). Gli stessi spazi possono ospitare anche «esterne» che necessitano di protezione mandate dalle autorità. Casa Santa Elisabetta coordina anche quattro Punti di incontro – a Lugano, Locarno, Bellinzona e Chiasso – «luoghi neutri dove i genitori non affidatari possono incontrare i figli affidati all’altro alla presenza di una terza persona». E poi esiste l’Angolo, uno spazio all’interno della Casa dedicato all’ascolto dei minori sopra i 4 anni con genitori in fase di separazione conflittuale.

Baby blues e dintorni

Torniamo alle ragazze in dolce e «illecita» attesa del passato, abbandonate dal futuro padre del bebè, ripudiate dalla famiglia. Immaginiamo il momento del parto e tutto quello che segue. Cerchiamo di immaginarci lo smarrimento. Il dolore. Le tante domande senza risposta. La solitudine e la malinconia di casa. L’enorme bisogno di affetto. «Come oggi anche allora il puerpuerio era un periodo estremamente delicato per la neomamma», dice Maria Fazioli-Foletti, storica dell’arte incaricata del riordino del fondo di Casa Sant’Elisabetta. «Un periodo di cambiamenti ormonali e spossatezza, sia fisica che mentale, che potevano determinare uno stato di malinconia e inquietudine: il baby blues. Quando non si trattava di una vera e propria depressione post-partum con un carico di sofferenza enorme per la madre e, di conseguenza, anche per il bambino. Con l’aggravante – per quelle ragazze – di essere in un certo senso abbandonate dalla famiglia. Il “per me è morta, non la voglio più vedere” era infatti all’ordine del giorno». Dai documenti del fondo della Casa emergono infatti le tante lacrime versate nelle stanze in via Borromini 13. Lacrime che padre Aurelio cercava di arginare, coi suoi modi decisi. «Il religioso tentava spesso di mediare», osserva la nostra interlocutrice. «In certi casi invitava esplicitamente la famiglia della “poveretta” a manifestarsi per consolarla ma non sempre ci riusciva. Spesso, al momento della dimissione della ragazza, faceva promettere al padre o al fratello “mandato a prendere la sorella sciagurata” di trattarla bene». Chissà se le sue parole sono state ascoltate.

Il riconoscimento

«Prima degli anni Sessanta l’opera fece regolarmente capo al Servizio cantonale della pubblica assistenza, segnalando casi di madri in gravi difficoltà economiche», si legge su «L’infanzia preziosa, le politiche familiari nel Ticino dal Novecento a domani» (La Buona Stampa, 2011). «Nel 1988 il Dipartimento delle opere sociali riconobbe Casa Santa Elisabetta quale istituto per casi sociali ai sensi della legge sulla protezione della maternità del 1963 e concesse un sussidio per la ristrutturazione dell’edificio. Con il passare degli anni il soggiorno delle giovani ospiti si è parecchio prolungato, a testimonianza di un ampliamento della casistica (...) e dell’aumento dei casi delicati (...). La protezione della maternità continua ad essere l’obiettivo primario dell’opera. Ora la struttura può ospitare 10 bambini in esternato, 11 mamme e 13 bambini in internato. In Ticino vengono ospitate mamme con i loro bambini anche nella Casa delle Donne dal 1989 e in Casa Armònia dal 1991».

Ma chi sono le ospiti dell’istituto (sopra, un’immagine degli interni della Casa, foto Reguzzi)? L’età è variabile, afferma la nostra interlocutrice. Si va dalle minorenni alle quarantenni ed oltre, anche se in questo momento la categoria prevalente è quella delle 25-35.enni. «Incontriamo molte donne provenienti da Centro America, Sud America, Africa e Paesi balcanici. Nel 2017 le straniere erano il 40% del totale».

Avere a che fare con una cultura diversa dalla nostra non è evidente, sottolinea Castellano. «È spesso faticoso riuscire a far passare determinati messaggi. Come si fa, ad esempio, a parlare di genitorialità e di rapporto col figlio ad una donna che arriva da uno sperduto villaggio africano e non parla bene la nostra lingua? Anche i fattori religiosi contano. Se a questi si aggiunge una patologia psichiatrica il discorso si fa assai complicato...». Insomma, i casi di oggi non sono più quelli di una volta. «I problemi sono diversi, più difficili da risolvere. In ogni caso noi ci proviamo a dare una possibilità di riscatto a queste persone. È quello che conta». E la vita di quella che è una vera e propria comunità al femminile va avanti. «È facile che tra le utenti si crei un certo spirito di solidarietà», dice la direttrice. «Le mamme si raccontano, condividono esperienze. Certo, le spine non mancano. Non si possono scegliere le compagne di viaggio, ci si ritrova insieme, nel bene e nel male. A volte più situazioni difficili si sovrappongono e dobbiamo metterci una doppia dose di energia».

Prima di salutarci Castellano ricorda che l’istituto luganese gestisce anche Casa Primula a Chiasso, con 4 appartamenti e un monolocale, dove possono vivere le ospiti di Casa Santa Elisabetta una volta terminato loro percorso di vita in via Borromini 13 (un passaggio soft prima della vita autonoma). Gli stessi spazi possono ospitare anche «esterne» che necessitano di protezione mandate dalle autorità. Casa Santa Elisabetta coordina anche quattro Punti di incontro – a Lugano, Locarno, Bellinzona e Chiasso – «luoghi neutri dove i genitori non affidatari possono incontrare i figli affidati all’altro alla presenza di una terza persona». E poi esiste l’Angolo, uno spazio all’interno della Casa dedicato all’ascolto dei minori sopra i 4 anni con genitori in fase di separazione conflittuale.