L'approfondimento

Di chi è la Crimea? Errori e propaganda

«Crimea», oggi, significa il più grave errore di politica internazionale dopo la fine della Seconda guerra mondiale
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Luca Lovisolo
25.04.2023 17:28

«Crimea», oggi, significa il più grave errore di politica internazionale dopo la fine della Seconda guerra mondiale. L’inconsapevolezza di questo errore persiste. Quando si dice che la guerra d’aggressione mossa dalla Russia sarà conclusa solo quando l’Ucraina tornerà a controllare il proprio territorio, vi è subito chi obietta: «Ma… anche la Crimea?» Sì, anche la Crimea. «Ma la Crimea è Russia!»

La costa settentrionale del Mar Nero, che include la Crimea, fu a lungo la cerniera fra Europa cristiana e mondo islamico. Intorno al 988, vicino all’odierna Sebastopoli, la tradizione vuole che fu battezzato Vladimir I, principe della Rus’. Con il battesimo iniziò la cristianizzazione della Rus’, ma Mosca ci vede la cristianizzazione della Russia. Ciò, a dire di Putin, fa della Crimea una parte irrinunciabile della storia russa. In realtà, il battesimo avvenne quando la Russia non esisteva neppure. Passeranno ancora secoli, prima che il principato della Moscovia sorga e diventi la Russia degli zar.

Nel basso Medioevo, veneziani e genovesi dominano per secoli la costa meridionale della Crimea, con la colonia di Caffa, i porti di Soldaia e Cembalo. Costruiscono fortificazioni che esistono ancora oggi. Controllano anche Vosporo, l’odierna Kerč’, punto strategico di attraversamento verso la terraferma. Non per caso Putin ha costruito qui il gigantesco ponte di 19 chilometri che pretende di costituire artificialmente una continuità storico-territoriale tra Crimea e Russia.

Mentre gli italiani dominano la costa, il resto della Crimea è parte di un potente khanato autonomo nella sfera ottomana, esteso ben oltre la penisola. È popolato dai tatari di Crimea, un’etnia turcofona sorta dall’assorbimento delle molte popolazioni vissute nella regione. Il khanato di Crimea combatte l’espansionismo dei russi e resiste sino al 1783, quando Caterina II ne fiacca l’ultimo resto di autonomia e lo annette alla Russia. Gli ottomani contrattaccano quattro anni dopo, ma la Russia prevale, grazie all’abilità del generale Suvorov e all’indaffararsi del celebre principe Potëmkin.

La «Guerra di Crimea»

Dopo meno di un secolo, nel 1853 la Crimea è centro di una guerra nota tout court come «Guerra di Crimea». La Russia tenta di espandersi verso ovest. Già allora la guerra è di valori, contro l’assolutismo dello zar, oltre che di commerci e religione. Contro la Russia combattono anche i piemontesi, al comando dei due fratelli Alfonso e Alessandro Lamarmora. Si distinguono nella battaglia sulla Cernaia (Čërnaja in russo, «fiume nero»), alla cui memoria è dedicata una delle principali vie del centro di Torino. L’assedio di Sebastopoli segna la sconfitta dei russi, che mantengono la Crimea ma devono rinunciare al delta del Danubio e ad altri domini.

Con la Rivoluzione d’Ottobre la Crimea cambia padrone più volte: nel 1917 nasce un’effimera Repubblica popolare di Crimea, fondata dai tatari, superata da una ancor più fugace Repubblica socialista della Tauride, proclamata dai Bolscevichi. Questi vengono scacciati a loro volta dagli ucraini, che nel 1918 vivono una prima, fragile indipendenza. Durante la guerra civile russa i Bolscevichi hanno la meglio e nel 1922 la Crimea entra nell’Unione sovietica come parte della Russia.

Anche in Crimea, come altrove nell’URSS, arrivano le deportazioni di Stalin. Il motivo per il quale nel Novecento la popolazione della penisola diventa a maggioranza russa è la sostituzione etnica con la quale anche gli ultimi tatari, che avevano resistito agli esodi indotti dalla politica coloniale zarista, vengono deportati in regioni lontanissime. Al loro posto, Stalin installa coloni russi.

Eppure, un anno dopo la morte di Stalin, accade l’inaudito. A raccontarlo è uno storico dal cognome celebre, Sergej Chruščëv: suo padre Nikita è appena salito alla guida del Partito comunista sovietico. Ucraina e Russia sono ambedue parte dell’Unione sovietica, ma restano entità giuridicamente distinte. La Crimea è russa, ma territorialmente unita all’Ucraina. I russi non riescono a svilupparla. Scarseggiano acqua ed elettricità, che possono arrivare solo dall’Ucraina. Chi viaggia in Crimea in quegli anni descrive un territorio in cui primeggiano le residenze di villeggiatura della vecchia nobiltà zarista, ma arido e arretrato. In Crimea, la modernizzazione del periodo staliniano non è arrivata.

Così, nel 1954 il governo sovietico regala la Crimea all’Ucraina. Il capo del Partito comunista ucraino, Aleksej Kiričenko, tenta invano di opporsi: sa che gestire la penisola sarebbe un fardello pesante, e così sarà. La Crimea moderna è in gran parte frutto degli ingenti investimenti attuati dagli ucraini dopo il 1954. Costruiscono anche il canale che devia verso la penisola parte delle acque del fiume Dnipro, risolvendo la cronica siccità del territorio.

Regalata all'Ucraina nel 1954

Ecco perché la Crimea non è – o non è solo – russa. Giuridicamente, la Crimea appartiene senza dubbio all’Ucraina, perché così ha voluto la Russia, regalandogliela nel 1954: nessun azzeccagarbugli può contraddire questa evidenza. Storicamente, la Crimea è figlia dei tanti popoli che ne hanno forgiato il destino: cumani, tatari, mongoli, ucraini, italiani e anche russi, arrivati buoni ultimi, però. In oltre 1500 anni di storia, dall’Impero bizantino a oggi, la Crimea è stata politicamente russa per 171 anni e la sua popolazione è a maggioranza assoluta russa da meno di un secolo, a seguito delle persecuzioni di Stalin. È un capolavoro della storiografia e della propaganda russo-sovietica, aver convinto il mondo che «la Crimea è Russia».

Nel 1991 l’Ucraina diventa indipendente. Molti discendenti dei tatari di Crimea che erano stati deportati da Stalin decidono di ritornare sulla terra dei loro avi. La Crimea beneficia di uno statuto speciale, per la sua particolarità storica ed etnica. La «Repubblica autonoma di Crimea» all’interno dell’Ucraina ha un proprio parlamento e una costituzione che riconosce il russo come «lingua parlata dalla maggioranza della popolazione, utilizzata in tutte le sfere della vita sociale, per la comunicazione tra le diverse etnie» (art. 10, cpv. 2), oltre all’ucraino e al tataro. Le spinte verso il separatismo filorusso non mancano, ma i dirigenti capiscono che lo statuto speciale all’interno dell’Ucraina conviene più di un’annessione alla Russia.

Nell’aprile 1992, pochi mesi dopo la fine dell’Unione sovietica, il destino della flotta militare del Mar nero è ancora indefinito. La sua base è in Crimea, perciò in Ucraina, ma non è chiaro se deve obbedire al comando russo o a quello ucraino. Nell’incertezza, Leonid Kravčuk, presidente dell’Ucraina, firma un decreto che sottomette la flotta al comando di Kyiv. Boris Eltsin, presidente della Russia, risponde indispettito con un decreto analogo, che la sottopone agli ordini di Mosca. Si giunge a un passo dallo scontro violento, nelle acque del Mar nero. Kravčuk racconta così quelle ore concitate: «Presi il telefono, chiamai Eltsin e gli spiegai cosa stava succedendo. Lui esitò, poi mi disse: Lei cosa propone? Gli risposi: emettiamo allo stesso momento due decreti uguali con i quali revochiamo entrambi il controllo sulla flotta. Poi, nominiamo insieme un comando congiunto». Dieci minuti dopo Eltsin richiama Kravčuk. La proposta è accettata. La flotta è sottoposta al comando di due Stati con un decreto firmato da due presidenti. Da questo singolare accordo nasceranno i trattati che hanno permesso, caso unico al mondo, l’insediamento di militari di un Paese, la Russia, sul territorio di un altro, la Crimea ucraina. I problemi non mancheranno, ma lo scontro è evitato.

La Russia invade la Crimea

Nel 2014 la Russia invade e annette la Crimea. L’idillio si rompe. Il battesimo di Vladimir o la difesa della lingua russa non sono che pretesti: per Putin, la Crimea, dal punto di vista politico e militare, è la testa di ponte ideale per cominciare a ricostituire il controllo russo sui territori ex sovietici. I pochi giornalisti occidentali che possono entrare in Crimea dopo l’invasione e riportano notizie non piegate alla propaganda di Mosca raccontano di una penisola dominata dalla paura, in chiunque non sia di etnia russa, non parli russo o non condivida la politica del Cremlino. I tatari, che erano tornati con le loro ataviche speranze, scappano di nuovo. Lo statuto di autonomia all’interno dell’Ucraina permetteva loro di guardare a un futuro europeo e di coltivare lingua e tradizioni. Oggi, nelle loro case abitano i nuovi coloni russi mandati da Putin, che replica le mosse di Stalin.

Il resto del mondo, intanto, si volta dall’altra parte. Se la comunità internazionale avesse reagito subito all’invasione della Crimea, nove anni fa, oggi non avremmo la guerra totale. È il peggior sbaglio che la politica deve rimproverare a se stessa dopo gli errori di sottovalutazione della pericolosità di Hitler e Mussolini, a inizio Novecento. E’ in Crimea che Stalin decide con Churchill e Roosevelt, a Jalta, la divisione dell’Europa, alla fine della Seconda guerra mondiale. Il suo fantasma è ancora lì, che ghigna sotto i suoi baffoni.

Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per la seconda clicca qui. Per la terza clicca qui.

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