Iran

Di Farhad Meysami restano solo pelle e ossa

Guance scavate, costole esposte, sguardo perso nel vuoto — L'attivista, impegnato in uno sciopero della fame, è solo una delle vittime del regime di Teheran
© Web/BBC
Giacomo Butti
03.02.2023 19:45

Guance scavate, costole esposte, sguardo perso nel vuoto. Di Farhad Meysami, medico e attivista iraniano, rimane poco. Solo pelle e ossa. Terribili le immagini diffuse in giornata da BBC Persian: l’uomo, nato nel 1969, si trova nelle carceri iraniane dal 2018, condannato a cinque anni di reclusione per aver osato sostenere le proteste — quelle scoppiate nel 2022 non sono certo le prime — contro l’obbligo, per le donne iraniane, di portare l’hijab.

Mesi fa, Meysami ha voluto far sentire anche dalla sua cella la propria vicinanza ai manifestanti che, rischiando tutto, protestavano contro il contro il regime degli Ayatollah per l’uccisione di Mahsa Amini. E lo ha fatto iniziando — il 7 ottobre, secondo le informazioni fornite dal suo avvocato, Mohammad Moghimi — uno sciopero della fame.

Come nei campi di concentramento

Online, e sul suo profilo Instagram (inutilizzato dal 2018, momento del suo arresto), si trovano foto del “vecchio” Meysami. Un uomo magro, sì, ma in salute. Le foto pubblicate in queste ore propongono una versione irriconoscibile del dottore e attivista che (sempre secondo il suo avvocato, il quale ha lanciato l’allarme sui social) avrebbe perso qualcosa come 52 chilogrammi.  

Le immagini, diffuse sui social, hanno scatenato l’ira degli iraniani, che non hanno tardato a paragonare le condizioni di Meysami con quelle dei detenuti di campi di sterminio nazisti.

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In una lettera consegnata all’avvocato, pubblicata da BBC Persian, Meysami ha accusato il regime iraniano di attentare alla sicurezza, al sostentamento e alla dignità del popolo. Dalla famigerata prigione di Rajaei Shahr, alla periferia di Teheran, l’attivista ha quindi lanciato un appello per fermare l’esecuzione di manifestanti, rilasciare i prigionieri politici e fermare le vessazioni per imporre l’hijab. Meysami ha paragonato il proprio sciopero della fame a una “missione impossibile”, pur esprimendo la speranza che la propria azione individuale, in qualche modo, accendesse un maggiore sforzo collettivo.

Robert Malley, inviato speciale statunitense in Iran, ha così definito le foto: «Immagini scioccanti del dottor Farhad Meysami, un coraggioso sostenitore dei diritti delle donne che sta facendo lo sciopero della fame in carcere. Il regime iraniano ha ingiustamente negato a lui e a migliaia di altri prigionieri politici i loro diritti e la loro libertà. Ora minaccia ingiustamente la sua vita».

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La rivolta culturale

La magistratura iraniana, intanto, si è affrettata a proporre una narrativa alternativa: secondo l’organo di giustizia del regime degli Ayatollah, le foto divenute virali risalirebbero a quattro anni fa, periodo in cui Meysami aveva effettuato un altro sciopero della fame.

Ma Meysami è in buona compagnia. Nelle scorse ore, il regista iraniano Jafar Panahi — già condannato nel 2011 a 6 anni di carcere per un film colpevole di “propaganda anti-governativa” e arrestato nuovamente nel 2022 — è stato scarcerato 48 ore dopo aver annunciato uno sciopero della fame con il quale chiedeva di poter ottenere il rilascio su cauzione. Ieri, invece, un gruppo di oltre 500 accademici iraniani ha firmato una petizione online per il rilascio immediato di Saeed Madani, scrittore e sociologo colpevole, secondo il tribunale iraniano, di «formazione e gestione di gruppi antirivoluzionari» e «propaganda contro la Repubblica islamica dell'Iran»: «Siamo estremamente preoccupati per le azioni dell'Iran nel controllare e sopprimere gli accademici».

Secondo varie organizzazioni attive in Iran, più di 500 manifestanti sarebbero stati sin qui uccisi, quasi 20 mila arrestati.