Di notte a Bellinzona il pronto soccorso è ormai presidiato

Alessandro Bressan da sei anni dirige l’ospedale San Giovanni di Bellinzona, una delle più grandi strutture sanitare del canton Ticino. Il suo punto di osservazione è privilegiato. E forse, proprio per questo, anche molto preoccupato. Il fenomeno della violenza in corsia, dice al Corriere del Ticino, «sta aumentando. Lo vediamo ogni giorno, soprattutto da quando ci siamo lasciati alle spalle la pandemia». Perché accada, è la questione irrisolta. La domanda alla quale non è facile dare risposte certe.
«Premetto una cosa - dice Bressan - noi che lavoriamo in ambito sanitario siamo consapevoli che parte dell’aggressività derivi dal fatto che il paziente voglia essere ascoltato subito in quanto è preoccupato per il suo problema clinico. Mi sembra comunque che certi atteggiamenti siano anche il riflesso di una società sempre più impaziente, inquieta. Una società in cui si vuole tutto e subito, in cui pure un’ora di attesa in pronto soccorso può diventare insopportabile».
Non è nemmeno da escludere che “molte persone, pagando premi di cassa malata elevati, «500 o 600 franchi al mese, si sentano in diritto di essere più esigenti, e di fronte a un problema, a un intoppo, si lascino andare a comportamenti aggressivi», osserva il direttore del San Giovanni. E quando in un ospedale si contano 20 mila accessi all’anno tra gli adulti e 10 mila tra i pazienti in età pediatrica, le occasioni di “scontro” rischiano di essere praticamente quotidiane.
Impatto forte
In orario serale e notturno, dalle 20 alle 7, a Bellinzona il pronto soccorso è ormai presidiato da un addetto alla sicurezza. «È un deterrente solido e anche un sostegno psicologico per chi lavora in reparto - dice ancora Bressan - per noi la priorità è prevenire, perché situazioni del genere hanno un impatto emotivo molto forte».
Se poi, nonostante ogni precauzione, succede qualcosa - e purtroppo succede - l’ospedale mette in moto un immediato sostegno psicologico. È avvenuto anche di recente: nel locale triage del pronto soccorso, nel tardo pomeriggio, «un paziente ha dato in escandescenze, spingendo contro la parete e quasi venendo alle mani con i nostri clinici», racconta Bressan. A quel punto scatta la richiesta di aiuto, «si schiaccia il tasto di allarme interno». Ma il danno è fatto. E tra gli operatori ci si interroga, con una certa angoscia, sui motivi che possono scatenare una simile reazione. «Accade che il personale sia in difficoltà, pur non avendone alcuna colpa. Se in pronto soccorso ci sono molti accessi, magari gravi, l’attesa dei codici di gravità inferiore si allunga. Noi formiamo i nostri collaboratori, anche a comunicare in modo corretto e continuo. Purtroppo, non sempre è sufficiente».
Sì, perché nella società del tutto e subito, non ci sono soltanto le preoccupazioni, magari giustificate, di chi ha un problema di salute. Ci sono pure le impazienze dei familiari, «che non si sentono informati né considerati - dice ancora Alessandro Bressan - o le incomprensioni legate a situazioni particolari: penso alle famiglie divise, ai figli che non si parlano tra loro, e così via».
Per tacere delle esternazioni social, talvolta trasformate in vere e proprie gogne mediatiche. «In ospedale, per motivi di privacy, è vietato filmare e fotografare - spiega il direttore del San Giovanni - ma ugualmente troviamo sui social media post con la faccia e il nome del medico o dell’operatore sanitario. In questo caso, contattiamo immediatamente chi ha scritto online, chiedendogli di cancellare il post».
Lettere di diffida
L’istituzione ospedale, conferma Bressan, ha purtroppo le mani legate dal punto di vista legale. Violenze verbali, ingiurie, spintoni, possono sfociare in una denuncia penale soltanto su querela di parte. E non sempre medici e infermieri vogliono agire in questo senso, riaprendo magari ferite non ancora del tutto rimarginate.
«C’è sicuramente un tema da sollevare - conclude il direttore dell’ospedale bellinzonese - riguarda la possibilità che l’istituzione sanitaria possa sostituirsi ai singoli nella denuncia. Credo che la politica e la magistratura dovrebbero occuparsi più a fondo di questo problema. Per quello che mi concerne direttamente, ho cominciato a mandare qualche lettera di diffida. Lettere dai toni risoluti e fermi. Per far capire che certi atteggiamenti sono inaccettabili e non possono essere tollerati».