L’intervista

«Dietro le Muse le potenze vive e intelligenti della natura»

Lo studioso Davide Susanetti ha da poco pubblicato un saggio sull’attualità delle fascinose figure mitologiche
Bassorilievo della danza delle Muse del danese Bertel Thorvaldsen all’Alte Nationalgalerie di Berlino.
Carlo Silini
26.10.2019 10:43

Altro che relegarla nei libri di scuola: la mitologia greca ha ancora molto da dire, anzi da «svelare», al mondo contemporaneo ipertecnologizzato. Prendiamo il mito delle Muse, le divine e fascinose ragazze che danzano nei boschi a cui lo studioso Davide Susanetti (nella foto sotto) ha dedicato il suo ultimo saggio.

Prendete in mano il libro La luce delle muse. La sapienza greca e la magia della parola, scritto da Davide Susanetti e edito da Bompiani, e sarete tentati di fare qualcosa di inatteso: utilizzare gli antichi miti greci per trovare il bandolo della matassa di una modernità scientifica e tecnologica che non crede più in nulla. «Le Muse sono acque mentali – scrive l’autore -acque superiori e celesti, in cui appaiono le immagini del mondo e dell’essere. Proprio per questo, chi si accosta a esse, chi vi si immerge, con esperienza totale, può afferrare una conoscenza altrimenti inaccessibile e, insieme a essa, una maestria che lo rende signore degli uomini e delle cose». Come dire che la luce per capire il nostro mondo complicato ed evoluto viene dagli antichi e non il contrario. Bella provocazione, quella di Susanetti, che partendo dal fascino delle Muse, le divine figlie di Zeus e Memoria, prova a spiegarci la verità dell’arte, della poesia e del simbolo, in un mondo che parla solo la lingua dei numeri. Ma è solo una provocazione? Ne parliamo con l’autore.

Davide Susanetti, lei pesca a piene mani dalla mitologia greca e la ripropone come una sorta di farmaco per i tempi moderni. Cos’ha da dire al mondo di oggi un gruppo di giovani donne che danzano e cantano nella nebbia, immerse nella natura?

«In generale, ritengo che il rapporto con l’antico sia un utile strumento di discontinuità: qualcosa che interrompe e sospende abitudini di pensiero, modi di usare il linguaggio, forme varie di reattività psicologica. Il suo interesse è, per certi versi, il medesimo di ciò che in tempi moderni è stato definito come eterotopia, ovvero un luogo, reale o metaforico, che designa un altrove e che annulla e purifica tutti gli altri spazi/tempi in cui siamo, in modo consapevole o meno, immersi. Le fanciulle che danzano attorno a una sorgente di acqua cristallina, la loro voce che risuona nel bosco e fra le rocce del monte ci riporta alle potenze vive e intelligenti della natura, ci riconduce ad un accordo tra il suono originario delle “cose” e il suono delle nostre parole, del nostro linguaggio, ma anche del nostro corpo. In molte mitologie, l’universo nasce dal propagarsi di una vibrazione che è insieme suono e luce, un suono che crea, una parola che dà forma. Un mito greco racconta che gli dei sentirono la necessità di partorire delle potenze che “ordinassero” e insieme “ornassero” il mondo. Le Muse, appunto. Kosmos, in greco, vuol dire “ordine” e insieme la sovrana “bellezza” che con esso coincide».

Le Muse ci indicano la via del ritiro nella natura: un ritorno al mito del buon selvaggio, all’uomo non ancora rovinato dalla civilizzazione?

«Non parlerei di buon selvaggio perché evoca qualcosa di ingenuo e primitivo. Al contrario, le Muse, come le Baccanti, le Ninfe e tutte le divine creature della natura sono espressione di una fondante e tradizionale sapienza. Quella sapienza che guarda al cosmo intero come cosa sacra e mirabile, come realtà complessa, tramata di energie visibili e invisibili al contempo, come un “tutto” dotato di pensiero e di coscienza. Un bellissimo frammento di Empedocle ci ricorda come un unico pensiero “si slancia” attraverso l’universo intero. L’universo come cosa sacra di cui l’uomo è parte risonante se non dimentica l’origine, se non si chiude nel guscio cristallizzato del suo piccolo io».

Il racconto delle Muse solletica anche l’anima femminile, se non femminista, della modernità. Però alla fine il bello e il brutto lo fa sempre Zeus, no?

«Il mondo del mito greco è popolato, all’origine, di figure femminili, che danno la vita e la custodiscono, che nutrono e alimentano le anime e i corpi. È un universo popolato di “madri” benevole e insieme terribili, quando il loro potere sacro viene violato. Certo, a un certo punto, vi è una supremazia maschile, quella di Zeus come sommo sovrano. Ma che avrebbe potuto fare se non avesse “ingoiato” e assimilato nel proprio corpo Metis, la dea dell’intelligenza astuta, se non si fosse congiunto con Memoria per generare le Muse, se, ancora prima, Gaia, la Terra, e Rea, la Grande Madre, non avessero trovato il modo di sottrarlo, appena nato, alla furia divoratrice del padre Crono, portando a Creta, dove Ninfe e api lo allevarono con il loro divino e vivificante potere? La mitologia greca mostra sì, come la città storica antica, è un’androcrazia che si impone, ma anche come il maschile, che governa, non possa mai dimenticarsi o offendere il regno del femminile. Quando Demetra si adira per lo stupro della figlia, nulla più nasce, nulla più cresce e i maschi devono capitolare».

Sul piano filosofico le Muse esprimono anche le «potenze del pensiero», nella fattispecie: la memoria, il canto e l’esercizio. Siamo però distanti dalle potenze del pensiero scientifico.

«Pitagora venerava le Muse e fece loro costruire addirittura un santuario perché senza l’armonia che esse rappresentano nulla poteva darsi in seno alla comunità degli uomini. E Pitagora, ben lo sappiamo, venerava del pari, la sapienza del numero e della geometria come chiave per comprendere i segreti del cosmo. Diciamo, piuttosto, che le Muse e Memoria, loro madre, rappresentano un particolare genere di “intensità” della mente e della coscienza, un’intensità che si può esprimere secondo le forme del pensiero “analogico”— e dunque del simbolo, del mito, della poesia — o secondo le forme del “digitale” calcolante e razionale. L’una cosa è connessa all’altra. Gli antichi sapevano molto bene come armonizzare i due emisferi del cervello e trarre da essi tutti i tesori che ne derivano».

Nel suo libro si spiega che le Muse consegnano ad alcuni privilegiati la verità e ad altri menzogne simili alla verità. Fake news, verrebbe da dire. Di cosa si tratta?

«La potenza che sa pronunciare la verità dell’essere è anche quella che conosce, per necessaria conseguenza, in che cosa consista la menzogna: è anche potenza che può ingannare e irretire quando chi si accosti ad essa non abbia le qualità e la preparazione necessarie a intendere il divino e l’invisibile. La verità immutabile dell’essere e il cangiante, illusorio gioco del divenire sono due volti di una medesima realtà. La dea che parla a Parmenide — un altro essere femminile, un’altra madre — gli indica come egli debba conoscere il “cuore che non trema della ben rotonda verità”, ma anche la dimensione mutevole delle “opinioni” e delle “apparenze” in cui i sensi e la vita dei mortali è immersa. Conoscere l’una come l’altra sfera è non solo la sapienza, ma possibilità di liberazione e di rigenerazione. Anche questo le Muse insegnano».

Le Muse appartengono all’era dell’oralità, vengono prima dei libri e delle biblioteche. Poi, si direbbe leggendo il suo libro, vengono relegate nelle pagine dei libri (come il suo), quasi dimenticate. È così?

«I mortali possono anche dimenticarsi delle Muse, spesso accade, ma loro sono sempre lì, nascoste, anche tra i corridoi di una biblioteca, tra una pagine e l’altra dei libri. Gli dei sono sempre, anche quando non si vedono o non ci si accorge della loro presenza. Una comune radice connette la parola e la luce. Ogni volta che la parola sia capace di illuminare e nutrire l’anima, vuol dire che le Muse sono lì ad aspirarla, vuol dire che si è entrati in una dimensione di coscienza altra dall’ottenebramento in cui di norma si vive. Quello che comunemente gli uomini definiscono pensare e parlare, non ha nulla a che fare con ciò che il pensiero e la parola propriamente sono».

Suggestivo è l’accenno al fatto che tra i poteri delle Muse ci sia anche quello della dimenticanza. Di cosa si tratta?

«Può colpire il fatto che le figlie delle Memoria — coloro che sanno “tutto ciò che è stato, che è e che sarà” e possono ispirare tale conoscenza nei mortali — siano anche le dee che fanno dono della dimenticanza, come racconta Esiodo. Ciò allude al potere della poesia, a un suo particolare aspetto che tuttavia non deve essere frainteso. Quando l’uomo ha il cuore disseccato dal dolore, turbato dalla sofferenze e dall’inquietudine, il dolce canto delle Muse e degli aedi, il “miele” divino della parola poetica — dice Esiodo — fa dimenticare ogni affanno, rasserena l’animo nell’ascolto delle storie degli dei e degli eroi. Non si tratta, tuttavia, di banale distrazione o intrattenimento, come potrebbe di primo acchito sembrare. Non si tratta di una parola drogata o stupefacente. Ma di una parola che allarga l’orizzonte della vita e lo sguardo dell’anima, che fa uscire dall’angustia dell’individualità sofferente, dischiudendo l’orizzonte non solo del cosmo e mostrando un ordine delle cose. Quelle storie di dei e di eroi sono vicende archetipiche, fondanti, attraverso le quali l’anima dolente, per così dire, si cura e si comprende, acquisendo, insieme alla serenità, una superiore consapevolezza».

Nelle prime pagine del libro lei scrive: «Occorre che si produca un radicale salto di coscienza», occorre «liberare l’energia della tradizione». A cosa si riferisce?

«Mi riferisco al fatto che il post-moderno in cui viviamo è un’età di transizione e di potenti trasformazioni. Come ci è stato più volte ricordato e come possiamo, credo, quotidianamente esperire, tutta una serie di “narrazioni” e di modelli, su cui la modernità si è sorretta e sviluppata, sono storicamente terminati. Un orizzonte contrastante, ricco e insieme confuso, appare: un plesso enorme di potenzialità che, tuttavia, vanno orientate affinché si produca un’evoluzione positiva dell’umano in forme di unità e di armonia sistemica crescente. Si sta entrando in un nuovo paradigma di pensiero, un paradigma in cui le punte più avanzate del pensiero scientifico e il portato delle tradizioni sapienziali antiche si toccano e si intrecciano, come molti studiosi segnalano. Penso ad esempio a Ervin Laszlo, di cui Feltrinelli ha recentemente ristampato “Risacralizzare il cosmo. Per una visione integrale della realtà”. Sono profondamente convinto che la tradizione sappia indicare le vie e i metodi per oltrepassare “l’umano, troppo umano”, non in direzione di un distruttivo superominismo tecnologico, ma come un “salto di coscienza” in cui si colga che tutto è collegato a tutto, che tutto è sempre qui e presente, se, come diceva Plotino, sappiamo orientare diversamente lo “specchio” interiore dell’anima divenendo diversamente consapevoli della realtà».

Leggendo il suo libro, la mitologia greca appare come qualcosa di più di un percorso culturale, sembra qualcosa di esistenziale, quasi una religione. Esagero?

«Le religioni vivono di dogmi e di fedi. Il sacro è tutt’altra cosa ed eccede ogni forma di religione storicamente creata. È, semplificando, uno sguardo integro e integrato sulla realtà, come dicevo prima, una coscienza del tutto. La tradizione greca, ma anche quella indiana o altre sapienze autenticamente tradizionali, conducono in quel luogo ove gli opposti si congiungono in unità, in cui l’uomo si può “realizzare” nella sua essenza divina. Non si tratta di religione, semmai di percorsi iniziatici in cui non è necessaria alcuna fede. Si tratta di osservare, sperimentare, lavorare su se stessi, secondo un certo metodo, e vedere quello che succede... D’altro canto, pensando alla Svizzera, un luogo come Ascona a Monte Verità, molto ha fatto e ha prodotto in tal senso, da Jung a Hillman, da Kerényi a Corbin, solo per fare alcuni nomi. Si tratta di non avere pregiudizi, di non rimanere cristallizzati in illusorie certezze, e avventurarsi autenticamente alla scoperta di sé e del reale».

CHI SONO

Ecco alcuni dati essenziali sulle Muse tratte direttamente dal testo di Susanetti. Partiamo dalla definizione. Secondo la mitologia greca, le Muse sono figlie di Zeus e di Mnemosine, figlia di Urano e di Gaia, personificazione della memoria. Zeus si unì a lei per nove notti di seguito e in un anno ne ebbe nove figlie, anche se il numero varia da leggenda a leggenda. La loro guida era Apollo. Nella mitologia rappresentavano l’ideale supremo dell’Arte, intesa come verità del «Tutto».

IL SIGNIFICATO DEL NOME

Secondo alcuni, Musa verrebbe proprio da mons, «monte», quasi che l’etimo del nome riflettesse l’orizzonte della loro abituale e prediletta dimora. Secondo altri, invece, Musa deriverebbe da un vocabolo di origine lidia, móus ovvero «sorgente»: le dee dalla voce meravigliosa avrebbero, a tutti gli effetti, la natura di creature «acquatiche», al pari delle Ninfe Naiadi che abitano le fonti e le rive dei fiumi (Mitografi Vaticani 3,8,22). Ma Musa potrebbe connettersi anche alla radice da cui derivano termini come «manthánein», apprendere, «mnéme», memoria, o «mens», mente: le fanciulle dell’Olimpo e dell’Elicona sarebbero, da questo punto di vista, potenze del pensiero. Platone, per parte sua, riteneva che il nome racchiudesse il medesimo senso del verbo «mósthai», aspirare, desiderare, ricercare.

QUANTE SONO

Come sull’evento della nascita, anche sul numero e i nomi delle Muse, le opinioni antiche si frastagliano, raccogliendo tradizioni di tempi e luoghi diversi: «Sono nove [...], ma alcuni dicono che sono solo due, altri tre, altri ancora quattro o sette». Per Pausania Mnéme, Aoidé e Meléte. Tre nomi parlanti che racchiudono il nucleo essenziale dell’opera a cui le dee presiedono: «Memoria», «Canto» ed «Esercizio». Una mente che ricorda, l’assiduità di una concentrazione tesa e di una pratica strenua, ed ecco che la poesia si sprigiona.

E ancora, le corde della lira (3): presso l’oracolo di Apollo, le Muse non potevano che essere tre, poiché erano venerate come signore dei tre mondi: il regno della terra e della luna, il dominio celeste dei pianeti e infine la sfera superiore delle stelle fisse ove sono gli dèi.

COME SI CHIAMANO

Ma quali sono, infine, questi nomi «attuali» che anche Esiodo, nel proemio della Teogonia, sciorina con animo devoto? Calliope, la «Bella Voce»; Erato, l’ «Amabile»; Euterpe, la «Dilettevole»; Polimnia, «Dai molti canti»; Clio, la «Sonora»; Melpomene, «Colei che danza e canta»; Talia, la «Fiorente»; Tersicore, la «Gioia della danza»; Urania, la «Celeste». Più tardi accadde che Calliope, con la lira tra le braccia, rappresentasse la poesia epica; Euterpe, con il flauto, la poesia lirica e l’elegia; Erato, con la cetra, la poesia che parla d’amore; Polimnia, avvolta in un velo, gli inni agli dèi; Clio, armata di rotoli e libri, il racconto della storia; Melpomene, con una maschera luttuosa, la tragedia; Talia, con una maschera ridente, la commedia; Tersicore, accompagnata da una lira e da un plettro, la danza; Urania, con un globo tra le mani, l’astronomia.

(Fonte: Davide Susanetti, Luce delle Muse. La sapienza greca e la magia della parola, Saggi Bompiani2019)