Difesa, un nuovo inizio per tutti

Chi entra Papa in conclave ne esce cardinale. Era successo a Eva Herzog nel 2022, si è ripetuto oggi con Markus Ritter. Quando si era fatto avanti, dopo le rinunce di molti personaggi di calibro del partito, il presidente dell’Unione svizzera dei contadini era il grande favorito per la successione di Viola Amherd. Martin Pfister, candidato dell’ultima ora e semisconosciuto sul piano nazionale, era dato al massimo per outsider. Poi le distanze fra i due si sono pian piano accorciate, culminando con un clamoroso, anche se non sorprendente, sorpasso. Grazie alla sua efficace attività lobbistica e all’intransigenza con cui ha difeso il mondo agricolo, Ritter è diventato uno dei membri più influenti del Parlamento, ma si è fatto anche molti nemici. Che oggi gli hanno presentato il conto, grazie alla convergenza di interessi diversi: su tutti, quelli della sinistra per le sue posizioni nelle campagne di voto contro le iniziative ambientaliste e quelli dei liberali-radicali per il suo orientamento protezionista e la continua ricerca di finanziamenti per il settore primario. Si è così creato un riflesso anti-Ritter, facilitato dal fatto che lo sfidante Martin Pfister ha saputo giocare molto bene le sue carte presentandosi come politico posato, riflessivo, incline al compromesso e quindi idoneo alla politica di concordanza. E al tempo stesso più disposto di Ritter - almeno così è parso - a mostrare uno spirito di apertura a livello di collaborazioni internazionali. Con lui, la Svizzera centrale, più di vent’anni dopo l’uscita di scena di Kaspar Villiger, ritrova così un suo rappresentante in Governo, il terzo nella storia per il Canton Zugo.
Ma per il neoeletto la festa sarà di breve durata. È certo che, a parte lo sconfitto Ritter, in questo momento nessuno lo invidi visto il difficilissimo compito che attende il futuro capo del Dipartimento della difesa (la decisione formale è attesa per venerdì). Questa volta non si trattava di scegliere un consigliere federale «normale», ma qualcuno tagliato per raccogliere la sfida di «ricostruire» l’esercito e rimettere ordine in un settore fondamentale per la sicurezza del Paese. Pfister, politico di professione e colonnello di milizia, ha le carte in regola ma avrà anche pochissimo tempo per familiarizzare con la Berna federale. Le aspettative sono alte e il lavoro è duplice. Da un lato si tratta di mettere mano alle magagne - alcune si trascinano da anni - che affliggono il DDPS e che rischiano di condizionarlo ora che si prospetta un’impegnativa fase di potenziamento delle capacità difensive. In questo ambito rientrano anche la ricerca di un modus vivendi sul finanziamento dell’esercito con la «ministra» delle Finanze Karin Keller-Sutter e la nomina delle persone giuste nei ruoli chiave di capo dell’esercito e di responsabile dei servizi informativi (i due attuali titolari se ne andranno tra nove, rispettivamente dodici mesi) . Dall’altro, si tratta di affrontare le grandi questioni internazionali in un periodo di forti cambiamenti geopolitici, che richiedono risposte adeguate in termini di politica di sicurezza e di rapporti con i Paesi circostanti. Proprio quest’anno, su richiesta del Parlamento, il Consiglio federale si dovrà esprimere sugli obiettivi e l’orientamento strategico «di un esercito capace di difendere». Ne deriveranno chiare scelte di priorità, attorno alle quali Pfister avrà il compito di trovare un consenso. È soprattutto ma non solo una questione di soldi perché in questi ultimi anni il quadro si è fatto più complicato e la minaccia multiforme, con l’affermazione della guerra ibrida e di armi asimmetriche come gli attacchi ciber, la disinformazione, i droni e le nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale.
Per lo stesso Pfister c’è l’occasione di un nuovo inizio e di rendere nuovamente credibile il settore della difesa. Ma affinché tutto possa procedere al meglio servono anche due condizioni. La prima è che l’esercito non diventi ostaggio di lotte politiche fra partiti, che rischiano solo di indebolirlo. Non sarebbe una novità. Una situazione non molto differente da quella di oggi si era già verificata nel 2010. La seconda, data la serietà dei cambiamenti in atto in un contesto internazionale sempre più teso è che la responsabilità della politica di sicurezza sia assunta collegialmente dall’intero Consiglio federale e non venga delegata al solo dipartimento. Su questo tema serve il massimo della coesione. Un sano confronto è assolutamente indispensabile, anche perché ci potrebbero essere implicazioni importanti in termini di collaborazione con l’estero e di politica di armamento, ma poi andranno trovate soluzioni. Alla lunga le divisioni non portano da nessuna parte.