«Dipendenti» e non più soltanto tossici, mentre gli anziani si scoprono più fragili
Poco meno di un migliaio di persone, in Ticino, deve affrontare «una sofferenza bio-psico-sociale dovuta o aggravata dall’abuso di sostanze o di condotte compulsive e patologiche nell’ambito delle nuove dipendenze». Un numero elevato, ma non tale da far gridare all’emergenza. Un numero in crescita costante - dai 640 del 2015 si è passati ai 977 del 2023, con un salto in avanti del 52% - ma che, in termini assoluti, sembra ancora ampiamente gestibile.
Questa mattina, a Bellinzona, in una conferenza stampa organizzata dal Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), il tema delle dipendenze è stato affrontato in modo ampio nell’àmbito della presentazione del Piano cantonale degli interventi nel campo delle tossicomanie (PCI), un lungo documento frutto del lavoro di una commissione di esperti durato qualche mese più del previsto, anche a causa della pandemia di Covid-19.
Nessuna emergenza
«Il PCI è uno strumento strategico previsto dalla legge e definisce gli orientamenti generali delle politiche nel campo delle tossicodipendenze - ha detto il direttore del DSS, Raffaele De Rosa - se è vero che le politiche adottate sinora sono sembrate efficaci e che non siamo in presenza di emergenze particolari, è altrettanto vero che il mercato delle droghe si è fatto complesso e dinamico e che non si può parlare più soltanto di stupefacenti ma di dipendenze in generale. Dipendenze - ha aggiunto De Rosa - legate ai comportamenti, al consumo di sostanze illegali ma anche legali, all’abuso di alcool e di farmaci, e alle mutate condizioni sociali»: lo stress sul lavoro, ad esempio, o la net-addiction, aggravata da un utilizzo compulsivo di Internet e dei social media.
L’approccio «soltanto punitivo, da codice penale, «non basta più», ha chiosato De Rosa. E forse, non è nemmeno utile. Perché il quadro della situazione si presenta alla stregua di un «campo vasto», nel quale le vecchie politiche potrebbero avere scarsa o nulla efficacia. In questo senso, illuminanti sono state le considerazioni di Daniele Intraina, direttore dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC) e presidente della commissione di esperti che hanno lavorato proprio alle basi del nuovo PCI.
«L’approccio al problema dev’essere oggi molto più ampio - ha detto Intraina - con interventi che devono andare necessariamente oltre lo statuto delle singole sostanze. Ci sono temi del tutto nuovi e difficili da affrontare come, ad esempio, l’invecchiamento della popolazione che soffre di dipendenze: strutture come le attuali case di riposo non sono spesso in grado di dare risposte sufficienti. Bisognerà aiutarle, destinando loro risorse per la formazione e creando posti specifici per questi pazienti. Ma problematiche inedite - ha aggiunto Intraina - emergono anche dalla crescita dello stress nei luoghi di lavoro, che può sfociare in consumi problematici. Da comportamenti compulsivi, penso al gioco d’azzardo. O dalla maggiore vulnerabilità delle giovani generazioni, sulle quali si dovrebbe lavorare aumentandone le competenze digitali e integrandone in questo senso l’apprendimento sia nelle scuole obbligatorie sia in quelle post-obbligatorie».
La persona al centro
Nuove dipendenze, quindi. E mutamento - talvolta radicale - di quelle storiche. Anche in Ticino, «assistiamo a una riduzione drastica dell’assunzione di eroina e di oppiacei - ha spiegato Monica Rivola, aggiunta al direttore della Divisione della salute pubblica e delegata ai problemi delle tossicomanie - ma crescono pure le cosiddette “politossicomanie”», ovvero le dipendenze multiple. Per contrastare le quali, ha confermato la stessa Rivola, il Cantone spende annualmente poco meno di 5,6 milioni di franchi.
Ma è stato il direttore sanitario di Ingrado, Alberto Moriggia, a insistere molto sulla trasformazione del fenomeno. E a segnare in qualche modo la rotta sui necessari adeguamenti delle politiche sistemiche di intervento. «Il tema caldo, oggi, è il crack - ha detto Moriggia - il cui consumo negli ultimi dieci anni è molto cresciuto. Il crack, che è in sostanza cocaina fumata, costringe a consumi più intensi e noi operatori abbiamo pochi farmaci con cui intervenire. Con il crack, la cura standard per le dipendenze non funziona». Per questo, bisogna lavorare soprattutto alla «riduzione del danno - ha aggiunto Moriggia - vale a dire approcciare la questione in modo ampio, entrando in relazione con i pazienti e avendo con loro un approccio pragmatico».
Anche il direttore sanitario di Ingrado, un centro di competenza attivo in Ticino ormai da oltre 40 anni, ha posto l’accento sulla questione dell’invecchiamento della popolazione alle prese con forme varie di dipendenza. «È forse il tema più urgente - ha detto Moriggia - i nostri pazienti invecchiano, ci sono consumatori “storici” che grazie alle terapie e alle riduzioni del danno si sono stabilizzati e vivono più a lungo, portandosi appresso un’enorme complessità. Cui si aggiunge, ovvio, il problema dell’invecchiamento. È una questione nuova, con implicazioni sociali, mediche e psichiatriche. Le strutture attuali hanno difficoltà a intervenire e le cure a domicilio possono mostrare limiti».
Meno preoccupante, invece, almeno in Ticino, la questione Fentanyl, il farmaco per la terapia del dolore che, soprattutto negli Stati Uniti, è diventato una delle droghe più diffuse e pericolose. «Si tratta di una sostanza molto più attiva degli oppiodi - ha detto Moriggia - ma sul nostro territorio non è ancora un problema. Attenzione, però: non è escluso che lo diventi. Il Fentanyl “illegale” è arrivato in Germania e in Italia e a Ginevra le autorità sanitarie dicono di avere alcune osservazioni in corso».
Il PCI sarà trasmesso adesso al Gran Consiglio per la discussione e l’approvazione delle necessarie modifiche di legge. «La nostra strategia cambia - ha ribadito De Rosa - in futuro dovrà mettere ancora di più al centro la persona e avere come obiettivi principali la prevenzione, il sostegno e la riduzione del danno».