Il punto

Dobbiamo aspettarci una guerra totale fra Israele e Hezbollah?

L'attacco sulle Alture del Golan potrebbe rappresentare una svolta, in questo senso, anche se – al netto della retorica e delle promesse – per Netanyahu potrebbe essere rischioso e complicato aprire un secondo fronte dopo Gaza
© Leo Correa
Marcello Pelizzari
28.07.2024 16:30

Sulle Alture del Golan, nel nord di Israele, le lacrime si mischiano alla rabbia. Molti, all’interno della comunità drusa, si sentono abbandonati. Traditi, anche. Da uno Stato, Israele, che ai loro occhi avrebbe fatto poco, troppo poco per proteggerli. L’attacco di sabato, con 12 vittime, tutte giovanissime, è il peggiore subito da Israele dal 7 ottobre 2023. I leader politici del Paese, a cominciare dal primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno puntato il dito contro Hezbollah, il movimento islamico sciita formatosi in Libano all’inizio degli anni Ottanta e finanziato dall’Iran. E l’esercito ha (re)agito di conseguenza.

Chi sono i drusi?

Ma lassù, al confine con il citato Libano, a prevalere oggi è proprio la rabbia. I drusi, riassumendo al massimo, sono un gruppo etnico arabo con una fede (monoteista) distinta dall’Islam (sebbene di derivazione musulmana), dall’ebraismo e dal cristianesimo. Si tratta di una fede, di nuovo riassumendo al massimo, che afferma l’unità di Dio, l’eternità dell’anima e la reincarnazione. Uscendo dal discorso prettamente religioso, i drusi si trovano nel mezzo di un conflitto, quello fra Israele e Hezbollah, che potrebbe trasformarsi in guerra totale. Con tutte le conseguenze del caso.  

La posizione, politica ma non solo, dei drusi di Israele, invero, è scomoda. C’è chi accusa questa comunità di essere vicina alla Siria, dato che il grosso dei drusi – parliamo di circa 730 mila persone – vive lì. «Ci aspettiamo che il nostro Stato ci protegga e punisca Hezbollah» sostenevano, all’indomani dell’attacco, diversi membri della comunità. Una sorta di appello, lanciato al cuore dello Stato Ebraico, affinché anche le minoranze vengano protette.

Quel legame con la Siria

A proposito di minoranze, i drusi nel corso dei decenni hanno subito e non poco i cambiamenti e gli sconvolgimenti nella regione. Nell’ultimo secolo, per dire, potenze esterne come Regno Unito e Francia hanno contribuito a disegnare e ridisegnare i confini. Quindi, sono arrivate le guerre fra Israele e i suoi vicini. Tradotto: i drusi, oggi, sono divisi principalmente fra tre Paesi, ovvero Siria, Libano e Israele. I drusi israeliani, riferisce fra gli altri il Times, hanno intrapreso un percorso duplice: da un lato, hanno mantenuto la loro identità e la loro cultura; dall’altro, si sono integrati nella vita politica israeliana. Molti esponenti della comunità, ad esempio, hanno raggiunto alti gradi nelle Forze di difesa israeliane.

Il discorso cambia, per contro, se parliamo dei drusi che popolano le Alture del Golan, più o meno 27 mila persone. Fino al 1967, infatti, facevano parte della Siria. Poi, è arrivata la cosiddetta Guerra dei Sei giorni mentre e, nel 1981, la rivendicazione da parte di Israele della sovranità sulla regione. Un passo, questo, che solo l’amministrazione Trump aveva riconosciuto. A differenza dei palestinesi nella Cisgiordania occupata, ai drusi delle Alture del Golan è stata subito offerta la cittadinanza israeliana. Pochi, sebbene questo numero negli ultimi anni sia in netto aumento, hanno accettato. Un po’ per lealtà verso il governo di Damasco, un po’ per timore che la Siria punisca chi accetta l’offerta. Il dato, dicevamo, è in aumento. E questo perché le nuove generazioni sono cresciute imparando l’ebraico e con la prospettiva di una piena integrazione nell’economia israeliana. Circa un quarto dei drusi del Golan, ora, ha la piena cittadinanza israeliana.

Una risposta, ma quale?

Il che ci riporta alla risposta, muscolare, attesa da Israele. Se è vero che, sabato, l’attacco lanciato dal Libano ha colpito una minoranza, è altrettanto vero che sul Golan sempre più persone hanno, come detto, la cittadinanza israeliana. Di qui il rischio che il conflitto fra Israele e Hezbollah, sin qui a bassa intensità, possa trasformarsi in una guerra a tutto campo.

Hezbollah aveva iniziato a lanciare, anche in maniera massiccia, razzi verso Israele all’indomani dell’attacco terroristico di Hamas, quindi l’8 ottobre. Entrambe le parti dispongono di arsenali importanti. Sebbene Hezbollah, ieri, abbia subito preso le distanze da quanto accaduto, Israele è convinto che sia stato proprio il movimento sciita a colpire. Il razzo, secondo le prime ricostruzioni israeliane, probabilmente era diretto verso una base militare sul monte Hermon, a cavallo fra Libano, Siria e Alture del Golan. È finito, invece, sulla cittadina di Majdal Shams. Prima che l’esito, letale, del lancio fosse noto, Hezbollah sui media di sua proprietà si era vantato dell’attacco.

Il punto, al di là del possibile errore di calcolo, è che questa escalation involontaria possa portare, nei prossimi giorni, se non mesi, a un’altra risposta pesante da parte di Israele. Benjamin Netanyahu, ancor prima di fare rientro dagli Stati Uniti, al netto della solita retorica ha promesso, anzi giurato che Hezbollah pagherà «un prezzo pesante». Detto in altri termini, mentre lo Stato Ebraico è ancora impegnato nella sua offensiva via terra a Gaza, potrebbe aprirsi un nuovo fronte di guerra a nord. Contro un avversario pesantemente finanziato dall’Iran, proprio come Hamas. Una domanda, concludendo, si impone: Israele riuscirebbe a sopportare un doppio confronto? Sulle Alture del Golan, nell'attesa, le lacrime si mischiano alla rabbia.