L'intervista

«Dopo Francesco è possibile un papato di transizione»

Manlio Graziano, politologo ed esperto di geopolitica delle religioni, analizza gli scenari che si aprono davanti al conclave – «Un’anomalia l’assenza degli arcivescovi di Milano, Venezia e Parigi»
L’ultimo concistoro del dicembre 2024. In conclave entreranno 135 cardinali elettori. © Vatican Media
Dario Campione
23.04.2025 06:00

Manlio Graziano, docente di Metodologia dell’analisi geopolitica e di Geopolitica delle religioni alla Paris School of International Affairs di Sciences Po e alla Sorbona, si occupa da anni della dimensione internazionale della Chiesa. Tra i suoi studi più importanti sul tema ci sono Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, 2010) e Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015). L’ultimo suo lavoro è Disordine mondiale. Perché viviamo in un’epoca di crescente caos (Mondadori, 2024).

Professor Graziano, partiamo dalla fine. Dal bilancio di questo lungo papato. Qual è la sua lettura dei 12 anni del pontefice argentino sul soglio di Pietro?
«Mi concentrerei su un aspetto che giudico fondamentale, ovvero sul fatto che la Chiesa cattolica, oggi, è più debole di quanto non fosse nel 2013. Questo dipende, io credo, da due ragioni. La prima, indipendente dalla figura del Papa, è il cambiamento della situazione internazionale, che si è notevolmente aggravata e concentrata ovunque nel mondo. La seconda, è l’uso della religione e del cattolicesimo in particolare, uso che è sfuggito dalle mani della Chiesa stessa e del papato. Francesco - ripeto, in parte non per colpa sua ma per ragioni obiettive - non è stato in grado di controllare una specie di movimento centrifugo che, pur restando all’interno della Chiesa cattolica, ne contesta molto fortemente l’attuale politica. Questo vale specialmente per gli Stati Uniti, ma anche per la Francia. Sebbene negli Stati Uniti sia molto più evidente, anche a causa dell’esistenza di un’ala cattolica nella politica e nello stesso clero apertamente reazionaria. Bisogna sempre ricordarsi una cosa: nelle tre elezioni presidenziali in cui Donald Trump si è presentato, la maggioranza dei cattolici ha votato per lui. Un fatto abbastanza inusuale, dato che i cattolici americani sono quasi sempre stati dalla parte dei democratici. Questo allargarsi dell’elettorato cattolico per Trump è il segno che i fedeli, in generale, non hanno seguito le indicazioni del Vaticano e dal Papa. In particolare, per tutto ciò che ha riguardato i muri, l’immigrazione, l’attenzione verso i più deboli».

Emerge, in effetti, un po’ ovunque questa contraddizione dei leader cattolici di destra che adesso piangono il Papa, ma quando Francesco era vivo non ne hanno mai seguito le indicazioni pastorali o politiche.
«Certo, è così. Una maggioranza di cattolici si è spostata su posizioni, diciamo così, reazionarie. E come dimostrano tutte le indagini svolte in Paesi diversi, più si è praticanti, più si è a destra. In Francia, in generale, i cattolici contano poco, e potrebbero anche essere progressisti nella loro maggioranza. Ma più essi sono vicini alla vita della Chiesa, e quindi alla pratica religiosa, e più sono a destra nelle abitudini di voto. La differenza tra Francia e Stati Uniti è che, al di là dell’oceano, esiste una leadership di questo cattolicesimo reazionario. Sia nelle gerarchie della Chiesa sia nella società civile. Penso a uno Steve Bannon, che ha sempre cercato di fare da trait d’union fra i cattolici reazionari americani e le gerarchie ostili a papa Francesco. A Bannon, adesso, si è aggiunto anche il vicepresidente JD Vance, che tra l’altro è stato tra gli ultimi a vedere il Papa vivo ed è comunque un politico che si muove esattamente nella stessa direzione. Queste due leadership sono molto contigue e, in certi casi, si frequentano apertamente».

Viene in mente il Faith Office, l’ufficio della fede che Trump ha istituito con un ordine esecutivo pochi giorni dopo il suo reinsediamento alla Casa Bianca.
«Vede, uno dei grandi problemi di Francesco, al netto tutte le altre considerazioni relative alla gestione della Curia, è stato l’emergere di una specie di scisma interno. Uno scisma non scismatico, se mi passa il termine, di chi cioè non vuole uscire dalla Chiesa cattolica ma tenta in qualche maniera di ricondurla su posizioni più tradizionaliste. In uno dei miei studi avevo usato una formula: disfare la tela del Concilio Vaticano II, riportare cioè la Chiesa alle posizioni preconciliari. Un obiettivo, in verità, molto ambizioso».

Pensa che sia davvero possibile, dopo il papato di Francesco, fare un passo indietro così violento? Non è forse più facile che la Chiesa scelga di fermarsi a riflettere, magari per evitare di accumulare nuove e maggiori tensioni? Bergoglio ha comunque rinnovato quasi interamente il sacro Collegio, questo deve significare qualcosa.
«Sicuramente, e infatti io non penso che sia possibile fare un salto all’indietro tanto spettacolare, e comunque non in questo frangente. Può darsi, effettivamente, che possa esserci un periodo di transizione nel quale il successore di Francesco tenti di ricucire, di mettere insieme i vari pezzi. D’altra parte, la Chiesa è sempre stata capace in modo mirabile di tenere al suo interno posizioni non soltanto molto diverse, ma persino ostili tra loro, e quasi inconciliabili. Lo stesso Francesco ha coltivato questa caratteristica: a parte alcune prese di posizioni molto chiare ed esplicite nei confronti delle politiche di Donald Trump, non ha mai spinto verso una condanna decisa e definitiva. Ha lasciato sempre le porte aperte. Credo quindi che la cosa più probabile, per il momento, sia l’indicazione di un candidato di compromesso, con il quale gestire una fase di transizione. Per gli uni, questa fase di tradizione si dovrebbe concludere in una sorta di restaurazione della Chiesa preconciliare; per gli altri, si tratterebbe sostanzialmente di mantenere i piedi in tutte le staffe. Tuttavia, lo ribadisco, tornare indietro è impossibile. Non si tratterebbe soltanto di disfare ciò che ha fatto papa Francesco, ma di cancellare anche l’azione di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e, in parte, anche di Benedetto XVI, un pontefice sicuramente molto più tradizionalista ma che ha comunque mantenuto alcuni capisaldi della politica del Concilio Vaticano II, al quale, tra l’altro, aveva preso parte».

© Vatican Media
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Ma lei pensa che il ritorno alla Casa Bianca di Trump potrebbe essere determinante nella scelta del conclave? Potrebbe cioè indurre i cardinali a non apparire troppo ostili verso quel pezzo di mondo occidentale che sembra in questo momento orientato a destra?
«Non so quanto Trump possa incidere, sicuramente potrebbe pesare di più il sentimento generale della popolazione e del clero americani. La Chiesa ha subìto una metamorfosi esistenziale con il Concilio Vaticano II: mentre prima parlava ex cathedra e il popolo “obbediva”, silenziosamente faceva ciò che gli si diceva di fare, con la “democratizzazione” conciliare ciascuno si è ritenuto libero. Di dire, di pensare, di fare. Semplifico molto, ma questo, negli anni ’70, ha liberato una serie di posizioni che si sono schierate anche sull’estrema sinistra: dai preti spretati ai preti operai, ai preti guerriglieri».

Alla teologia della liberazione, che Bergoglio non amava minimamente.
«Esatto. Si è aperto il vaso di Pandora. Ed è anche per questo che alcuni prelati hanno potuto criticare Francesco fino addirittura ad accusarlo di eresia sul tema della comunione ai divorziati o del riconoscimento delle coppie omosessuali».

Lei ha scritto che la Chiesa conserva comunque una forza politica fatta di esperienza, organizzazione, centralizzazione, relazioni. Esiste ancora, secondo lei, questa forza politica? E il papato di Francesco l’ha indebolita o l’ha rafforzata?
«La forza politica della Chiesa cattolica esiste eccome, e d’altra parte basta vedere la corsa dei Capi di Stato ai funerali del Papa. La rete organizzativa e l’esperienza della Chiesa cattolica sono uniche nel mondo. Tuttavia, penso che questa forza sia stata indebolita, come dicevo prima, perché la situazione è cambiata e perché la gestione di papa Francesco è stata tutto sommato abbastanza incerta sia sul fronte esterno sia su quello interno. Tutta una serie di mandati istituzionali che lui aveva ricevuto nel 2013, non è stata portata a termine. Al momento della rinuncia di Ratzinger, gli osservatori più addentro spiegarono come il Papa tedesco, teologo e non politico, non fosse stato in grado di governare la Curia. Bergoglio aveva ricevuto precisamente il mandato di mettere le redini alla Curia. Ma non c’è riuscito».

Francesco è stato sicuramente un Papa molto amato. Paradossalmente, più dai progressisti che dai liberali, pur non essendo lui un progressista, almeno dottrinalmente. Le chiedo tuttavia se ha un senso parlare di schieramenti dentro la Chiesa. E come questi schieramenti possano eventualmente muoversi dentro il conclave. Bergoglio ha creato molti cardinali ai “margini” del mondo, il cambiamento nel sacro Collegio c’è stato. Questi cardinali, alla fine, seguiteranno a muoversi nel solco della direzione indicata da Francesco o cambieranno idea?
«È molto difficile dirlo. Non conosco gli elettori uno per uno, non posso quindi fare una valutazione precisa. In generale, in questi casi o in assemblee simili, e penso che sia sempre accaduto nei conclavi precedenti, ci sono posizioni minoritarie ma molto ferme, molto rigide, polarizzate. Poi c’è la palude. E la palude fluttua. Bisogna ricordare che questo è un collegio cardinalizio abbastanza strano. Come diceva lei, ci sono elettori che giungono altro che dalla fine del mondo. E, soprattutto, mancano figure importanti. È anomalo che l’arcivescovo di Milano non faccia parte del Collegio. E che non ne facciano parte nemmeno il patriarca di Venezia o l’arcivescovo di Parigi. Che cos’è questo? Un segno di cambiamento, di volontà di cambiamento? Certo, è presentato così. Ma potrebbe essere stato anche un errore di valutazione. Perché quelle sedi vescovili hanno un’importanza anche storica e strategica all’interno della Chiesa. Questo incide sulla possibilità di dare valutazioni precise sui cambiamenti in atto nel corpo vivo della comunità cattolica. In ogni caso, le figure chiave sono coloro i quali, partendo da posizioni chiare, dovranno manovrare nella palude. E lì, ci sono varie questioni da tenere in conto. I cardinali americani, ad esempio, potranno giocare la carta dei soldi. Il peso finanziario della Chiesa statunitense è enorme, ed è costantemente aumentato dall’inizio del ’900. L’obolo di San Pietro arriva in buona parte dagli Stati Uniti. Vero è che è stata un’invenzione francese: ma se la Santa Sede avesse dovuto vivere facendo leva sui soldi dei fedeli francesi, avrebbe già chiuso bottega da un pezzo».